La pensione di Guerra riduce l'Assegno sociale

Dario Canova Giovedì, 20 Giugno 2019
Nonostante la loro natura risarcitoria una norma di legge continua a riconoscere la rilevanza delle pensioni di guerra ai fini della concessione dell'assegno sociale.  
Le pensioni di guerra incidono sull'assegno sociale. Nonostante la loro natura risarcitoria, riconosciuta dall'articolo 5 della legge 261/1991, le prestazioni di guerra incidono negativamente sull'assegno sociale. Si tratta di una questione controversa, frutto della schizofrenia del legislatore, che tuttavia colpisce soprattutto le vedove di grandi invalidi di guerra che intendono cumulare la pensione di guerra di reversibilità, determinata in misura tabellare, con l'assegno sociale e alle relative maggiorazioni.

La questione

In linea generale tutti i trattamenti pensionistici di guerra, riconosciuti nel testo unico delle pensioni di guerra (DPR 915/1978), in virtù della loro natura risarcitoria, ai sensi dell'art. 5 della legge 8 agosto 1991, n. 261, non costituiscono reddito. Tali somme sono, pertanto, irrilevanti ai fini fiscali, previdenziali, sanitari ed assistenziali ed in nessun caso possono essere computate, a carico dei soggetti che le percepiscono e del loro nucleo familiare, nel reddito richiesto per la corresponsione di altri trattamenti pensionistici, per la concessione di esoneri ovvero di benefici economici e assistenziali. Tale principio trova, come unica eccezione, la pensione sociale o l'assegno sociale rispetto a cui i trattamenti pensionistici di guerra sono computati nel reddito degli interessati, in forza del rinvio che l'art. 77, comma 2, del testo unico in materia di pensioni guerra come riformato dalla legge 261/1991 fa alle norme speciali, di cui all'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 e dall'articolo 3 del decreto legge 30/1974 che, ai fini del computo dei redditi da considerare per la pensione sociale (oggi assegno sociale) ricomprende(va) espressamente anche le pensioni di guerra. La questione è dunque particolarmente delicata in quanto la stessa legge se da un lato dichiara il valore risarcitorio della prestazione dall'altro lo annulla nei confronti dei soggetti economicamente più bisognosi ed anziani come i percettori dell'assegno sociale. 

Il panorama legislativo

La schizofrenia legislativa appare, inoltre, di tutta evidenza se consideriamo la rilevanza delle prestazioni pensionistiche di guerra ai fini della concessione delle maggiorazioni sociali. L'articolo 38 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002) ha, infatti, garantito l'incremento al milione dell'assegno sociale (circa 190 euro al mese aggiuntivi per chi ha raggiunto i 70 anni) anche ai percettori di pensioni di guerra. In sostanza il legislatore, con l'intervento del 2001, ha contraddetto se stesso riconoscendo la rilevanza delle pensioni di guerra ai fini dell'assegno sociale ma non ai fini della concessione della sua maggiorazione, una vera e propria ingiustizia normativa che colpisce in modo particolarmente pesante gli interessati. Si sono infatti verificati casi in cui, a seguito dell'istituzione della maggiorazione sociale, la pensione di guerra, non solo non svolge la funzione risarcitoria sua propria, ma finisce con il danneggiare il soggetto, perché in sua assenza potrebbe fruire dell'assegno sociale incrementato, per un importo superiore alla pensione di guerra in godimento. 

Si noti, peraltro, che recentemente l'art.50, co. 3, del DL 248/2007 convertito con modificazioni, dalla legge 31/2008 ha introdotto indirettamente un'ulteriore grave discriminazione, a danno dei pensionati di guerra: Con tale intervento, infatti, il legislatore ha stabilito l'irrilevanza ai fini della concessione della pensione o assegno sociale del vitalizio corrisposto agli ex deportati nei campi di sterminio (legge n. 791 del 1980) e ai perseguitati politici e razziali (legge n. 96 del 1955) ma non ha esteso l'irrilevanza anche ai pensionati di guerra, acuendo l'irragionevolezza della normativa del 1991 e sollevando anche diversi profili di costituzionalità.

In definitiva vi sono molteplici ragioni di carattere giuridico ed etico per sostenere ormai che i trattamenti pensionistici di guerra debbano essere esclusi dal computo del reddito per l'accesso all'assegno sociale.  Si noti, peraltro, che il notevole decremento fisiologico del numero dei pensionati di guerra, attualmente superiore al 10 per cento annuo e destinato ad aumentare in misura esponenziale, causa costantemente in ogni esercizio finanziario un avanzo economico rilevante, che può ampiamente coprire l'onere finanziario derivante dalla previsione dell'esclusione dei trattamenti pensionistici di guerra dal computo del reddito per l'accesso all'assegno sociale. Non a caso in parlamento giacciono diverse proposte di legge ed interrogazioni parlamentari per risolvere la questione. Il timore è che, come al solito, il silenzio della politica debba essere colmato dalla magistratura. 

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