Riforma pensioni, un nuovo taglio alle pensioni d'oro? Forse

Giovedì, 30 Ottobre 2014
La proposta del Movimento Cinque Stelle di chiedere un ulteriore contributo ai pensionati d'oro non è nuova ma deve fare i conti con il taglio già chiesto dal Governo Letta nel 2013.

Kamsin Ieri il movimento Cinque Stelle ha proposto una mozione alla Camera dei Deputati per chiedere all'esecutivo un nuovo intervento sulle cd. pensioni d'oro. La proposta del M5S chiede al Governo di "valutare se sussistono i presupposti per assumere iniziative volte aintrodurre un'imposta sostitutiva per i redditi da pensione caratterizzata da un maggior numero di aliquote fiscali che consentano una più incisiva progressività, in modo tale da tassare maggiormente i redditi di pensione superiori ai 90 mila euro e destinare il maggior gettito alla riduzione del carico fiscale dei redditi di pensione meno elevati ed all'aumento delle pensioni minime". 

A ben vedere la proposta, è una delle tante che cercano di fare casse sulle prestazioni generose, cioè oltre i 4-5mila euro netti al mese, trattamenti determinati con il sistema retributivo e che quindi creano un forte squilibrio per le Casse dello Stato.

In diverse occasioni il legislatore ha cercato di cancellare i trattamenti pensionistici pagati sulla base di normative pregressi molto generosi non più sostenibili delle finanze pubbliche. In molti casi, tuttavia, questi interventi sono stati dichiarati incostituzionali dalla Consulta.

Come si ricorderà da ultimo la sentenza 116/2013 ha cancellato quella normativa introdotta nella manovra estiva del 2011 (Dl 98/2011), che aveva previsto un taglio del 5 per cento per le prestazioni superiori a 90.000 euro annui lordi e del 15 per cento per la parte eccedente i 200.000 euro. La misura, peraltro, era eccezionale e si sarebbe dovuta applicare solo per il periodo tra agosto 2011 e dicembre 2014. Secondo la Consulta tuttavia l'intervento non era in sintonia con la Carta Costituzionale in quanto provocava una disparità di trattamento rispetto ai lavoratori, non pensionati, che avevano redditi superiori a 300 mila euro per i quali il contributo si sarebbe fermato al 3 per cento.

Pochi anni prima con la sentenza 211/1997 la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare, invece, che il legislatore per salvaguardare l'equilibrio di bilancio può modificare la disciplina pensionistica fino a ridurre l'entità del trattamento anche se questo già iniziato.

In tal senso l'ultima legge di stabilità, la legge 147/2013, approvata dal governo Letta ha reintrodotto il contributo di solidarietà per ridurre i trattamenti pensionistici superiori a 91.251 euro con un taglio che è pari al 6, 12 o 18 per cento a seconda dell'importo del trattamento annuo in godimento. Per venire incontro ai rilievi della Consulta, tuttavia, questa volta è stato stabilito che le somme trattenute vengano destinate dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie per concorrere al finanziamento degli interventi volti ad ampliare la platea dei lavoratori salvaguardati. In tal modo, l'intervento governativo tenta di ridistribuire la ricchezza tra i lavoratori.

Zedde

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