Rossini V
Franco Rossini, già avvocato ed esperto in diritto del lavoro e della previdenza collabora dal 2013 con PensioniOggi.it.
Riforma Pensioni, via i limiti di età per la pensione anticipata
Lunedì, 22 Dicembre 2014I Lavoratori precoci potranno accedere alla pensione anticipata senza alcuna decurtazione sino al 2017. Da chiarire gli effetti sulle pensioni già decurtate.
Kamsin Passa indenne al Senato l'emendamento che mette la parola fine alla penalizzazione sino al 2017. Dal prossimo 1° gennaio si potrà andare in pensione anticipata al perfezionamento di 42 anni e mezzo di contributi (41 anni e mezzo le donne) senza dover piu' tenere d'occhio l'età anagrafica per evitare di far scattare le penalizzazioni.
Vediamo dunque di tradurre in parole chiare cosa cambierà dando per scontato che, ormai, il testo della legge di stabilità è blindato e la Camera dei Deputati non potrà apportare, quindi, ulteriori modifiche all'emendamento.
Innanzitutto bisogna delimitare il campo di applicazione della misura. Essa riguarda i lavoratori che escono con la pensione anticipata, cioè con 42 anni e mezzo di contributi (un anno in meno per le lavoratrici) indipendentemente dall'età anagrafica, sia che si tratti di dipendenti sia di autonomi. La pensione anticipata è, del resto, per sua natura svincolata dall'età anagrafica (si può accedere anche a 58 anni di età purchè si siano raggiunti per l'appunto i 42 anni e mezzo di contributi) ma per disincentivare l'ingresso alla pensione la legge Fornero del 2011 ha previsto un meccanismo secondo il quale in assenza di almeno 62 anni di età l'assegno viene decurtato.
Di quanto? Il taglio è pari all'1% per ogni anno di anticipo sino a 60 anni e del 2% per ogni anno ulteriore rispetto all'età dei 60 anni. A conti fatti pertanto un lavoratore che ha 60 anni e decide di lasciare incorre in un taglio del 2%, taglio che sale al 4% se ha 59 anni e così via. Scopo della norma è, infatti, quello di incentivare il lavoratore a restare sul posto di lavoro sino, almeno, a 62 anni e limitare l'esborso per le Casse dell'Inps.
Queste sono le regole base. Non condivisibili per molti ma, almeno, chiare. Il legislatore tuttavia le ha subito modificate, complicandole notevolmente (con l'articolo 6, comma 2-quater del Dl 216/2011 convertito con legge 14/2012), prevedendo che il sistema di penalizzazioni sopra esposto non trova applicazione, sino al 31 dicembre 2017, qualora l'anzianità contributiva sia composta da sola prestazione effettiva da lavoro (piu' alcuni, ma limitatissimi e tassativi, periodi di contribuzione figurativa).
Tradotto in parole povere significa che sono graziati dalla penalizzazione solo gli "stacanovisti", quei soggetti che hanno lavorato ininterrottamente per 42 anni e mezzo (41 anni e mezzo le donne) senza mai aver perso o lasciato il posto di lavoro se non per malattia, maternità obbligatoria, servizio militare e congedi o permessi per l'assistenza di disabili. Periodi diversi da quelli predetti, se fruiti, vanno recuperati e sostituiti con periodi lavorativi. Ma questa "grazia" comunque termina il 31 Dicembre 2017.
Cosa cambia dunque con il ddl di stabilità? Che viene esteso questo beneficio a tutti i lavoratori. Dunque anche coloro che hanno periodi di contribuzione diversa da quella effettiva da lavoro potranno, dal 1° gennaio 2015, evitare la penalizzazione. Piu' semplicemente chiunque raggiungerà i 42 anni e mezzo di contributi (41 anni e mezzo per le lavoratrici) non avrà applicata la decurtazione. Ma resta, almeno per ora, il termine del 31 Dicembre 2017 con la speranza che, uscito il paese dalla crisi, un nuovo intervento elimini o sposti in avanti questo limite temporale.
La tabella sottostante mostra i cambiamenti se la modifica passerà definitivamente in Parlamento.
Restano da comprendere gli effetti di questa misura sugli assegni già decurtati prima dell'introduzione della novella. L'emendamento precisa infatti che la novità ha effetto dagli assegni con decorrenza dal 1° gennaio 2015. Quanto perso dai lavoratori che hanno visto l'assegno decurtato prima dell'entrata in vigore della misura non potrà essere, dunque, recuperato.
seguifb
Zedde
Pensioni, dal 2016 scatta l'aumento dell'età pensionabile
Sabato, 20 Dicembre 2014Dal 1° Gennaio 2016 tutti i requisiti anagrafici per il conseguimento delle prestazioni pensionistiche si innalzeranno di 4 mesi. E' l'effetto dell'adeguamento alla speranza di vita.
Kamsin E' ufficiale. Dal 1° gennaio 2016 si andrà in pensione quattro mesi più tardi. E' stato firmato lo scorso 16 dicembre il decreto interministeriale Lavoro-Economia che dispone il secondo adeguamento dei requisiti pensionistici, dopo il primo adeguamento scattato lo scorso 1° gennaio 2013. L'adeguamento interesserà tutte le tipologie di prestazione: la pensione di vecchiaia, la pensione anticipata, pensione anticipata contributiva, l'assegno sociale, le pensioni in regime di armonizzazione, le pensioni dei lavoratori usurati di cui al Dlgs 67/2011, la totalizzazione, eccetera. Gli adeguamenti interesseranno anche coloro che, a vario titolo, mantengono in vigore la vecchia disciplina di pensionamento (si pensi, ad esempio, ai lavoratori salvaguardati).
Dal 1° gennaio 2016, pertanto, si potrà conseguire la pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi di età anagrafica oppure, la pensione anticipata, con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne). Le cose andranno peggio per le lavoratrici del settore privato che vedranno, oltre all'adeguamento alla stima di vita, anche un innalzamento di un anno e mezzo per la vecchiaia dovuto alla parificazione dell'età pensionabile con i lavoratori uomini: l'età passerà da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi (mentre le autonome subiranno un incremento da 64 anni e 9 mesi a 66 anni e 1 mese).
Ecco dunque nella seguente tavola gli effetti dell'adeguamento con le stime per il futuro (per verificare le conseguenze verifica anche con il pensionometro di pensionioggi.it quando potrai andare in pensione).
Non solo. Dal 1° gennaio 2019 ci sarà un terzo adeguamento pari ad ulteriori 4 mesi. Dal 2019 in poi gli adeguamenti saranno a cadenza biennale: 2021, 2023, 2025 e così via (gli aumenti sono stimati in circa 2-3 mesi a biennio). In ogni caso la legge ha stabilito che l'età per la nuova pensione di vecchiaia dovrà essere pari almeno a 67 anni dal 2021 (cioè se in base agli incrementi alla speranza di vita non si raggiungerà questo livello, si procederà in modo automatico).
Si tratta della cd. «clausola di garanzia» già introdotta per effetto della legge di stabilità del 2012 (art. 5, legge n. 183/2011), e che in virtù della nuova formulazione normativa ha anticipato i propri effetti dal 2026 al 2021. Essa produce in pratica la garanzia che, ferme restando le disposizioni che regolano gli adeguamenti dei requisiti anagrafici in base agli incrementi della speranza di vita, a partire dalla prima decorrenza utile del pensionamento dall'anno 2021, l'età minima per la pensione di vecchiaia non potrà essere inferiore ai 67 anni. Qualora tale età minima non dovesse essere automaticamente raggiunta per effetto dell'applicazione dei citati adeguamenti alla speranza di vita, si dovrà provvedere all'adeguamento immediato mediante apposito decreto direttoriale da emanarsi entro il 31.12.2019.
Seguifb
Zedde
Pensioni, così i limiti alla penalizzazione nella pensione anticipata
Giovedì, 18 Dicembre 2014Un emendamento contenuto nella legge di stabilità metterà però la parola fine al taglio almeno sino al 2017. La disciplina attualmente vigente è piuttosto complessa.
Kamsin In attesa che quel complesso sistema di penalizzazione che oggi colpisce i lavoratori che vanno in pensione anticipata con meno di 62 anni di età vada in soffitta (nella legge di stabilità per il 2015 è stato approvato un emendamento che porrà fine alla penalizzazione almeno fino al 2017), appare utile, anche per rispondere ai tanti quesiti che ci giungono, fare un attimo il punto della situazione.
La disciplina attualmente vigente prevede infatti, per scoraggiare l'accesso alla pensione anticipata (cioè per chi matura 42 anni e 6 mesi di contributi, 41 anni e 6 mesi le donne) in età troppo giovani, un sistema di disincentivi per chi non ha compiuto almeno 62 anni.
Nei confronti di tali lavoratori, dipendenti e autonomi, si applica, sulla quota di trattamento pensionistico relativa alle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 2011, una riduzione pari ad un punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso alla pensione rispetto all’età di 62 anni; tale percentuale annua è elevata a due punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a 60 anni. Tanto per fare un esempio, un lavoratore che ha compiuto i 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva nel 2014 ma ha solo 58 anni di età potrà andare in pensione accettando una decurtazione del 6% circa (1% + 1% per i 60 e i 61 anni; 2% + 2% per gli anni 59 e 58).
La predetta riduzione, tuttavia, non si applica qualora, come recita l'articolo 6, comma 2-quater del Dl 216/2011 nei confronti di coloro che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva per la pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, a condizione che tale anzianità contributiva derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria, per la donazione di sangue e di emocomponenti, come previsto dall'articolo 8, comma 1, della legge 21 ottobre 2005, n. 219, e per i congedi parentali di maternita' e paternita' previsti dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 nonche' per i congedi e i permessi concessi ai sensi dell'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Per effetto di tale norma è possibile accedere alla pensione anticipata, sino al 2017, anche se non sono stati compiuti i 62 anni, senza alcuna penalizzazione. Attualmente, pertanto, per non subire il taglio risulta essenziale verificare la composizione dell'anzianità contributiva maturata in quanto solo i periodi di prestazione effettiva da lavoro, unitamente a quelli individuati nell'articolo citato, risulteranno utili ad escluderla.
La tabella seguente consente di tenere sott'occhio la disciplina attualmente vigente.
Dal prossimo anno, però, questo complesso sistema, che costringe i lavoratori ad uno slalom tra i periodi contributivi accreditati sul proprio conto assicurativo andrà, come detto, in soffitta. E tutti coloro che matureranno 42 anni e 6 mesi (41 anni e 6 mesi le donne) entro il 2017 potranno non subire alcuna riduzione dell'assegno.
Zedde
Pensioni, ok alla totalizzazione per i titolari di assegno di invalidità
Martedì, 16 Dicembre 2014La preclusione alla totalizzazione dei periodi assicurativi per chi ha già una pensione non opera nei casi in cui venga meno la titolarità dell'assegno ordinario di invalidità per mancata conferma, ovvero, a seguito di revisione, dello stato di invalidità.
Kamsin Chi è titolare dell'assegno ordinario di invalidità potrà liberamente esercitare la totalizzazione in caso di mancata conferma dell'assegno stesso, ovvero, a seguito di revisione, dello stato di invalidità. E' quanto ha precisato l'istituto di previdenza con il messaggio inps 9626/2014.
La normativa attuale, com'è noto, prevede che l'esercizio della totalizzazione dei periodi assicurativi sia preclusa ai titolari di assegno ordinario di invalidità in quanto tali assegni costituiscono trattamento pensionistico autonomo. L'esercizio della totalizzazione, infatti, ai sensi della Circolare Inps 9/2008 è escluso laddove l'assicurato sia titolare di un trattamento pensionistico erogato da una delle gestioni destinatarie della normativa della totalizzazione, anche nel caso in cui si debbano cumulare periodi contributivi maturati in gestioni diverse da quella o quelle nelle quali sia stata già liquidata una prestazione a favore dell'assicurato. In pratica, salvo la pensione ai superstiti, quando l'assicurato ha già in godimento una pensione, compreso l'assegno di invalidità, e ha contributi versati in un'altra gestione, non può totalizzarli per ottenere un'unica pensione.
L'Inps però, con il messaggio citato, ha aperto ad una maggiore flessibilità interpretativa indicando che il divieto resta solo fino a che all'interessato non venga tolto il trattamento di invalidità. Pertanto, da oggi, chi è titolare di un assegno di invalidità e lo perde a seguito, ad esempio, della revisione dello stato di invalidità potrà liberamente esercitare la totalizzazione nazionale per conseguire, ove abbia contributi accreditati in diverse gestioni, il trattamento di anzianità in totalizzazione (40 anni e 3 mesi di contributi piu' la finestra mobile di 21 mesi) oppure il trattamento di vecchiaia (65 anni e 3 mesi di età piu' la finestra mobile).
Zedde
Riforma Pensioni, ecco come saranno tagliati gli assegni dal 2015
Mercoledì, 10 Dicembre 2014Un emendamento approvato al Ddl di stabilità taglia, dal 1° gennaio 2015, gli assegni d'oro dei "grand commis" di Stato. Ma la misura rischia di travolgere anche qualche pensione di "latta".
Kamsin Il ddl di stabilità approvato in prima lettura alla Camera contiene una importante misura che blocca la crescita della pensione per alcune tipologie di lavoratori per i quali, dal 2012, è scattato il calcolo contributivo.
L'emendamento approvato, salvo stravolgimenti nel corso dell'iter del ddl in Senato, prevede, infatti, che l'importo complessivo del trattamento determinato con il calcolo contributivo "non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l'applicazione delle regole di calcolo vigenti prima dell'entrata in vigore del Dl 201/2011 computando, ai fini della determinazione della misura del trattamento, l'anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione, integrata da quella eventualmente maturata fra la data di conseguimento del diritto e la data di decorrenza del primo periodo utile per la corresponsione della prestazione stessa".
In primo luogo la misura si rivolge a coloro che erano nel 2011 nel sistema retributivo e cioè coloro che potevano vantare almeno 18 anni di versamenti al 31 dicembre 1995 e che vanno in pensione con la massima anzianità contributiva. In tale condizione si trovano due macro-categorie di lavoratori:
Con Requisiti Ante Fornero - Si tratta dei lavoratori la cui anzianità massima risulta fissata in 40 anni di contributi. Sono coloro che hanno maturato un diritto a pensione entro il 2011 o, qualora si tratti dei salvaguardati o di altre categorie particolari di lavoratori per i quali sono mantenuti i vecchi requisiti (si pensi, ad esempio, al comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico), anche dopo il 2011. Per questi soggetti si precisa che l'anzianità contributiva eccedente i 40 anni di contributi, maggiorata con il periodo di finestra mobile - in genere 12 mesi anche se, in taluni casi, può arrivare sino a 21 mesi -, non sarà piu' utile ai fini della determinazione del trattamento pensionistico.
Con requisiti Post Fornero - Si tratta dei lavoratori che non hanno maturato un diritto a pensione con la vecchia normativa e che, quindi, dovranno accedere con i nuovi requisiti post-fornero. Nei loro confronti la contribuzione valida ai fini pensionistici si fermerà a 42 anni e mezzo (41 anni e mezzo le donne). La contribuzione in eccedenza non sarà piu' utile a guadagnare una prestazione piu' elevata. In altri termini chi andrà oltre questi tetti non cumulerà più nulla e la sua pensione non crescerà più.
La norma inoltre, per come è stata formulata, è retroattiva (sollevando anche alcuni profili di incostituzionalità): pertanto coloro che, ad esempio, sono andati in pensione nel corso del 2013 e del 2014 si vedranno decurtati gli assegni a partire dal 1° gennaio 2015 (anche se non saranno toccati gli assegni già liquidati).
La seguente tabella può aiutare a comprendere le innovazioni contenute nel ddl di stabilità:
Gli effetti - La norma produrrà i suoi effetti principali nei confronti delle pensioni degli alti funzionari di stato (magistrati, docenti universitari, medici, avvocati dello stato eccetera) che com'è noto possono restare in servizio sino a 70 anni (e sino a poco tempo fa anche sino a 75 anni) riuscendo, in tal modo, a maturare molti anni di contributi aggiuntivi rispetto ai fatidici 40 anni previsti nel vecchio sistema. Ebbene, per effetto anche di coefficienti di trasformazione piu' elevati, calcolati sino a 70 anni di età, le prestazione pensionistiche di tali lavoratori possono attualmente superare agevolmente l'80% dell'ultima retribuzione (si arriva anche al 110%), il tetto invalicabile previsto con la vecchia normativa. Pertanto in tali circostanze, la decurtazione, potrà anche essere "significativa".
Se questi lavoratori sono i principali destinatari della misura presentata dal Governo non si può escludere a priori che sia colpito, in maniera però meno significativa, anche qualche pensionato d'argento o di "latta", come stanno denunciando in questi giorni i sindacati. Potenzialmente, infatti, possono essere interessati anche gli assegni di quei lavoratori "comuni" che hanno perfezionato 40 anni di contributi nel 2011 e che, pur potendo uscire subito, si sono attardati sul posto di lavoro oltre il primo periodo di decorrenza utile. Vale la pena di notare, tuttavia, che la maggior parte di questi soggetti sono andati in pensione entro il 2012 e, dunque, in tal caso, non vedranno ridursi il proprio assegno pensionistico.
Nella nota tecnica che accompagna l'emendamento non si parla di risparmi di spesa ("dipendono dalla scelte comportamentali conseguenti") ma si dice che se ci saranno risparmi verranno utilizzati nell'ambito della previdenza. Le economie derivanti dalla misura affluiranno, infatti, in un apposito Fondo, istituito presso l'INPS, finalizzato a garantire l'adeguatezza delle prestazioni pensionistiche in favore di particolari categorie di soggetti, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Zedde