Nicola Colapinto

Nicola Colapinto

Nicola Colapinto, avvocato con specializzazione in diritto del lavoro, seguo le principali questioni giuslavoristiche e previdenziali per PensioniOggi.it. 

L'Inps ha rideterminato l'importo dell'assegno al nucleo familiare spettante ai pensionati della gestione pubblica dal 1° luglio 2012 al 30 giugno 2013, sulla base dei redditi da pensione e di diversa natura relativi al 2011.

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L'Inps ha provveduto a rideterminare l'importo dell'assegno al nucleo familiare spettante ai pensionati della gestione pubblica dal 1° luglio 2012 al 30 giugno 2013, sulla base dei redditi da pensione e di diversa natura relativi al 2011.

E' quanto ha comunicato l'istituto di previdenza pubblica con il Messaggio 3722/2014. L'assegno per il nucleo familiare ancora l'erogazione della prestazione assistenziale infatti sulla base dei redditi conseguito nell'anno solare antecedente al 1° luglio di ciascun anno. Se, dopo le verifiche, l'importo dell'assegno fruito dagli interessati per il periodo 1° luglio 2012-30 giugno 2013 risulti superiore a quello spettante secondo i termini di legge, l'eccedenza indebitamente erogata verrà trattenuta sulla pensione pagata il prossimo giugno.

L'Inps comunicherà con una lettera l'importo del debito e le modalita di recupero delle somme. Sarà applicata una trattenuta mensile nei limiti di un quinto dell'importo complessivo della pensione, comprensiva anche dell'indennità integrativa speciale se corrisposta come emolumento, al netto delle ritenute Irpef e con un recupero in un massimo di 60 rate. L'interessato potrà chiedere il chiarimento della propria posizione recandosi presso l'ufficio Inps che liquida la prestazione pensionistica.

La paga di un parroco è pari a mille euro netti al mese. Uno stipendio in linea con quanto porta a casa un operaio o un bracciante. Ma i preti non pagano vitto e alloggio.

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In media mille euro netti al mese. Lo stipendio fisso di un parroco, escluse le offerte per le messe. Praticamente quello che guadagna anche un operaio o un bracciante agricolo. Ma gli importi possono essere anche piu' bassi. A fine mese, un sacerdote italiano "prima nomina" trova in busta paga, al lordo delle imposte, 988,80 euro. Che salgono piano piano se riuscirà a far carriera per toccare i 1600-1800 euro lordi, che è lo "stipendio" di un vescovo di 65 anni, ai limiti della pensione. Il parroco, con 30 anni di sacerdozio alle spalle prende in media 1.063 euro netti al mese.

Sono queste le cifre del "minimo garantito" riconosciuto al clero italiano. Ma nulla impedisce che ciascun vescovo o sacerdote possa ricevere offerte o compensi per attività lavorative che superano tali cifre. A livello nazionale, l'Istituto centrale per il sostentamento del clero controlla che nessuno dei 35 mila sacerdoti diocesani italiani in servizio, più i 3 mila sacerdoti a riposo o malati, abbia un reddito inferiore a quelle cifre.

Il mensile dei sacerdoti e dei vescovi è basato su una specie di punteggio che grosso modo corrisponde all’anzianità. Ai parroci con maggiore esperienza viene erogato fino a 1200 euro, mentre per i vescovi fino a 3000 euro circa.  Nel primo anno di ordinazione ogni sacerdote ha una remunerazione calcolata su 80 punti. Il valore del punto è determinato dalla CEI ogni anno: per il quarto anno consecutivo ogni punto vale 12,36€  (il totale del mensile lordo è quindi di 988,80). A tale punteggio si sommano altri punti a seconda dell’anzianità (due punti ogni cinque anni) e dell’ufficio (al Vescovo, per esempio, spettano al massimo 40 punti aggiuntivi). Somma coperta in parte dalle parrocchie, il restante è garantito dal sistema del Sostentamento del Clero, composto dalle offerte liberali, dagli Istituti diocesani per il Sostentamento del Clero e dai fondi dell’8 per mille.

Mensilmente l’Istituto centrale per il Sostentamento del Clero (ICSC) provvede a comunicare il calcolo del punteggio che determina la remunerazione lorda dovuta. Calcolate le remunerazioni del sacerdote e le decurtazioni per imposte e contributi pensionistici al Fondo Clero istituito presso l’INPS , l‘ICSC  corrisponde lo stipendio netto direttamente sul conto di ogni sacerdote. Il sistema prevede un minimo (988,80 mensili lordi) e un tetto massimo (1.866,36 mensili lordi).  

Chi percepisce uno stipendio di altra natura (per esempio dal ministero dell’Istruzione in quanto insegnante) percepisce dall’ICSC solo quella quota che gli manca per raggiungere il tetto stabilito dai punti accumulati. Se lo supera l’ICSC funge da sostituto di imposta, e il sacerdote dovrà quindi versare la relativa somma maturata.

Ad esempio un sacerdote con 15 anni di incarico, parroco di una parrocchia media (2.000 abitanti), può arrivare a prendere circa 140,00 euro dalla parrocchia e 800,00 euro dal sistema dell’ICSC. Mentre un sacerdote che percepisce 700,00 euro di stipendio di insegnante, avrà dall’ICSC la somma di 200,00 euro. Un sacerdote che prende uno stipendio di 1.300,00 € non recepirà nulla dal sistema, ma dovrà versare la somma maturata della tassazione e dei contributi pensionistici. 

La pensione, invece, viene corrisposta grazie al fondo del Clero istituito all’Inps a partire dal 65 anno di età. Si tratta di cifre modeste che non si allontanano molto dalle cifre appena indicate.

Chi ha una pensione più che vantaggiosa (a carico dell'Italia) è, invece, l'Ordinario Militare. Al momento di lasciare l'incarico, a 65 anni, questo arcivescovo, per legge, viene equiparato ad un generale di corpo d'armata con il relativo vitalizio accordato ai militari di quel rango.

Quanto all'età pensionabile il "Il decreto “Salva Italia” del governo Monti (convertito nella legge n. 214/2011), che ha ampiamente messo mano al sistema pensionistico per i lavoratori comuni, non ha modificato il Fondo di previdenza per il Clero che quindi vede requisiti pensionistici diversi rispetto alla generalità dei lavoratori italiani. Nel fondo clero restano infatti sufficienti 65 anni per quei soggetti che possano far valere un'anzianità contributiva pari o superiore ai 40 anni.

Il Ministro del Lavoro annuncia che saranno intensificati i controlli contro il lavoro nero ed in particolare contro l'uso abusivo delle partite iva e collaborazioni a progetto

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Il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, ha chiarito che saranno rafforzati i controlli sull'utilizzo improprio delle tipologie contrattuali c.d. flessibili e, in particolare, delle collaborazioni a progetto e delle partite Iva che possono mascherare rapporti subordinati.

Secondo il comunicato diffuso dal Dicastero di Via Veneto l'obiettivo è quello di superare le 19 mila posizioni lavorative già «riqualificate» nel 2013. La novità vuole spingere i datori a regolarizzare i rapporti che oggi, con l'approvazione del Dl Poletti, rendono più facile il ricorso al lavoro dipendente e mettono al riparo l'imprenditore dal rischio di contenziosi e garantiscono ai lavoratori tutele come nel contratto a tempo indeterminato.

Per Poletti "ll ricorso a contratti di collaborazione a progetto o a partite Iva è legittimo quando sia giustificato da ragioni oggettive legate alle esigenze produttive ed organizzative delle aziende che vi ricorrono; non lo è quando viene fatto per mascherare un rapporto di lavoro subordinato e per evitare possibili contenziosi, sfuggendo agli obblighi previdenziali ed assistenziali verso il lavoratore che viene così a trovarsi in condizioni di precarietà, con scarse tutele e pressoché inesistenti prospettive di stabilizzazione".

Il nuovo corso, specifica Poletti, è arrivato: le aziende non hanno più alibi. E questo perché secondo il decreto legge che porta il suo nome "mette al riparo l'imprenditore dal rischio di contenziosi e garantisce al lavoratore le stesse tutele del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato".

Poletti ribadisce l'importanza di continuare nella riqualificazione delle collaborazioni. Nel 2013 vi sono stati ottimi risultati con la "riqualificazione" di 19.000 posizioni lavorative attivate con contratti di collaborazione a progetto e partite IVA, delle quali 15.495 nel settore dei servizi, 1.629 in quello industriale, 1.099 nell'edilizia e 165 in agricoltura.

La doppia annualità è lo speciale trattamento una tantum riconosciuto in favore dei superstiti delle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, del dovere e dei soggetti ad essi equiparati.
Sull'apprendistato si dovrà specificare se la facoltà della formazione pubblica riguardi datori di lavoro o solo le regioni.

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Sono diversi i nodi che dovranno essere sciolti sul decreto Poletti, il dl 34/2014, entrato in vigore lo scorso 21 marzo 2014 che ha iniziato il suo percorso di conversione in legge in Parlamento. Oltre le modifiche che alcuni partiti vogliono introdurre, sulle quali c'è stata la dura presa di posizione dell'esecutivo che ha indicato la sua contrarietà ad uno stravolgimento del decreto, ci sono anche altri aspetti più delicati e meno "politicizzabili". 

Si tratta in particolare di chiarire il regime applicabile ai contratti a termine in corso di validità affinché le imprese possano fruire della più ampia facoltà di prorogare fino ad otto volte, contenuta nel decreto. Anche sull'apprendistato si dovrà specificare se la facoltà della formazione pubblica debba riguardare i datori di lavori o le regioni. La differenza non è da poco perché solo nel primo caso si può ottenere una semplificazione importante per le imprese; questa del resto è l'idea contenuta nel Decreto Poletti che tuttavia si appresta ad interpretazioni diverse.

 Ma anche la specificazione che la deroga al tetto del 20 per cento dell' organico complessivo ai fini della stipulazione di un contratto a tempo determinato prevista in favore delle imprese che impiegano fino a 5 dipendenti, possa essere estesa anche agli studi professionali.

Sono queste le principali modifiche che i consulenti del lavoro hanno indicato ieri in audizione informale alla Commissione Lavoro della Camera. Il governo comunque ribadisce che non vuole stravolgimenti nel testo che allunga la causalità dei contratti a termine fino a 3 anni e concede fino ad 8 volte la possibilità di proroga.

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