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Rimborsi Pensioni, cosa accade dopo la decisione del tribunale di Napoli?
Pensioni

Rimborsi Pensioni, cosa accade dopo la decisione del tribunale di Napoli?

Massimiliano Cendon Domenica, 31 Maggio 2015

Dopo la notizia di ieri secondo la quale l'Inps è stata condannata al pagamento, con decreto ingiuntivo dal Tribunale di Napoli, di 3.074 euro a titolo di arretrati dopo la bocciatura del blocco biennale delle indicizzazioni delle pensioni da parte della Corte Costituzionale ci giungono molte mail di lettori interessati a comprendere se per via giudiziaria sarà possibile ottenere un ristoro superiore rispetto a quanto messo sul piatto dal Governo il prossimo 1° Agosto con il recente decreto legge 65/2015. Kamsin Il provvedimento dell'esecutivo riconosce relativamente al biennio 2012-2013 una rivalutazione del 40% per gli assegni tra 3 e 4 volte il minimo, del 20% per quelli tra 4 e 5 volte il minimo e del 10% per le pensioni tra 5 e 6 volte il minimo. Il decreto stabilisce che in relazione al biennio 2014-2015 il rimborso sarà pari al 20% di quanto previsto per il biennio precedente. Il tutto con rimborsi medi di 500 euro (da un minimo di 270 euro a un massimo di oltre 850 euro) da corrispondere il 1° agosto. Il pensionato che si è visto accogliere il ricorso percepirebbe una pensione di circa 2mila euro lordi mensili e pertanto rientrerebbe nella fascia di pensionati destinati a ricevere un bonus massimo di 750 euro.

Tutta la partita sui ricorsi si gioca a ben vedere sul valore retroattivo al provvedimento appena varato: il Governo ha intrapreso questa strada "sanando", se così possiamo dire, il vuoto creato dalla sentenza della Consulta lo scorso 30 Aprile anche per gli anni precedenti. Se i tribunali, ed in ultima analisi la Consulta (la quale ben potrà essere chiamata nuovamente a pronunciarsi sul punto dalle giurisdizioni inferiori), condivideranno tale impostazione non ci saranno benefici per i pensionati. In caso contrario si potrebbe aprire la strada per ottenere un rimborso nell'ordine delle migliaia di euro per recuperare quanto perso in tre anni e mezzo. La questione, senza addentrarci troppo in tecnicismi, è squisitamente giuridica e quindi per ora risulta difficile fare pronostici. Serve cautela.

Attualmente si può solo dire che l'Inps proporrà opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni, opposizione che si baserà quasi certamente sul nuovo decreto governativo che ha imposto uno stop ai rimborsi. A quel punto la palla passerà di nuovo ai giudici che probabilmente dovranno decidere anche su altre richieste avanzate dalle associazioni che tutelano i consumatori. Il Codacons, in particolare, condivide l'impostazione del Tribunale di Napoli ed ha avviato la raccolta delle firme per la presentazione di una class action.

Un altro fronte dei ricorsi che si potrebbe aprire è la mancata rivalutazione dei trattamenti superiori a 6 volte il minimo inps. Il provvedimento governativo, infatti, non attribuisce alcuna perequazione, per il biennio 2012-2013, ai trattamenti superiori a 2.810 euro lordi al mese all'epoca. Una mancanza che potrebbe anch'essa essere viziata da incostituzionalità secondo Federmanager e ManagerItalia le due associazioni che hanno portato quel passaggio della Legge Fornero davanti alla Consulta. Insomma la toppa messa dal Governo rischia di fare acqua da tutte le parti.

seguifb

Zedde

Pensioni / Esodati, il punto sulla settima salvaguardia. Lettera
Pensioni

Pensioni / Esodati, il punto sulla settima salvaguardia. Lettera

redazione Domenica, 31 Maggio 2015
La Rete dei Comitati aveva indetto per il 28 un presidio a Roma per sollecitare la 7' salvaguardia per gli almeno 49.500 non salvaguardati al 2018. Nell'incontro sono emerse "criticità" per i destinatari della legge 104 ma la disponibilità del Ministero del Lavoro a sostenere la settima salvaguardia.

Kamsin Egregio Direttore vorrei condividere con Lei e con i lettori del vostro quotidiano online, pensionioggi.it, l'esito della manifestazione che si è svolta l'altro giorno, il 28 maggio, davanti alla sede dell'Inps e al ministero del lavoro.

La nostra delegazione ha chiesto all'Inps di chiudere sollecitamente la rendicontazione delle 6 salvaguardie approvate. Ciò per dare immediate risposte ai colleghi salvaguardati che attendono ancora la certificazione e, sopratutto, per quantificare con maggior esatezza i residui del Fondo Esodati indispensabili per finanziare la 7' salvaguardia la proposta della quale è pericolosamente ferma in Commissione Lavoro alla Camera.

Dai vertici tecnici dell'INPS abbiamo ottenuto piena condivisione delle nostre denunce, piena consapevolezza della drammaticità del problema degli "esodati non salvaguardati" e piena collaborazione ed impegno a rispondere sollecitamente alle nostre richieste. Nell'incontro sono comunque emerse alcune criticità che impediscono la rendicontazione definitiva delle 6 salvaguardie causate anche da alcune responsabilità del Ministero del Lavoro relativamente alle categorie salvaguardate degli esodati agricoli e quelli beneficiari della legge 104.

Al termine dell'incontro la delegazione si è spostata quindi presso il Ministero del Lavoro. I due piu' stretti collaboratori del Ministro hanno risposto alle contestazioni e sollecitazioni della nostra delegazione con confortante spirito collaborativo ed hanno riconosciuto i ritardi nella preparazione degli atti propedeutici alla 7' salvaguardia ma hanno dimostrato comunque che il Ministero intende sostenere un settimo provvedimento di salvaguardia. Ritardi giustificati dagli urgenti adempimenti che il Ministero ha dovuto adottare in conseguenza alla ben nota sentenza della Corte sulla indicizzazione delle pensioni.

Siamo stati comunque rassicurati circa il fatto che nelle prossime settimane il Ministero farà tutto il possibile per recuperare i ritardi accumulati procedendo alla attenta verfica dei risparmi emergenti dalle 6 salvaguardie e destinati al Fondo Esodati (con la garanzia che tale Fondo non sarà intaccato per altri fini ma esclusivamente per la salvaguardia degli "esodati"). Gli impegni verso un nuovo provvedimento sono stati confermati e ci si è dati appuntamento per un nuovo incontro nella seconda metà del mese di giugno per fare il punto della situazione.

Non illudiamoci: la strada per ottenere la 7' salvaguardia che abbiamo chiesto è ancora lunga ed irta di ostacoli ed il nostro obbiettivo lo si potrà solo raggiungere continuando con l'impegno di tutti senza il quale alcuna iniziativa della Rete o del singolo Comitato può risultare utile e men che meno efficace.

Seguifb

Zedde

Pensioni

Riforma Pensioni, Treu: la flessibilità è una realtà nel resto d'Europa. Dobbiamo adeguarci

redazione Domenica, 31 Maggio 2015
L'ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, appoggia le ipotesi di riforma della Legge Fornero per ridare maggiore flessibilità in uscita. Il punto critico riguarda l'entità e la modalità delle riduzione.

Kamsin «Il premier Renzi ha riaperto il tema della "pensione flessibile", già considerato dagli esperti e da varie proposte legislative, ma rimasto finora dormiente. L'esigenza di riconsiderare la questione è indubbia; a condizione di "maneggiare con cautela", per le implicazioni non solo finanziarie, ma sociali e psicologiche, di ogni intervento in materia pensionistica». Lo scrive l'ex Ministro del Lavoro, Tiziano Treu, in un articolo comparso ieri sul Sole24ore.

Bisogna non dare l'impressione che si vuole rifare un'altra riforma delle pensioni precisa Treu. «L'impianto dell'attuale normativa non va alterato; serve qualche modifica per rimediare ai disagi reali da essa creati, inparticolare alla sua eccessiva rigidità. La flessibilità, se bene amministrata, è utile in molti aspetti del lavoro. Lo è anche per permettere alle persone di adattare i tempi e i modi del pensionamento alle proprie condizioni di vita e di lavoro.

Del resto simili forme di flessibilità sono adottate in molti paesi europei, le cui buone pratiche possono fornire spunti utili. Una pratica largamente usata, e proposta anche da noi (ad esempio dal ddl a prima firma Damiano), è quella di ammettere un anticipo di pensionamento entro una fascia definita, con riduzione della prestazione pensionistica. Il punto critico, da cui dipende anche il costo dell'intervento, riguarda la quantità e le modalità della riduzione. Una soluzione possibile è di applicare la logica del metodo contributivo alla quota della pensione retributiva, oppure in toto, ricalcolando l'intera pensione con il metodo contributivo, come è oggi previsto per le donne (fino alla fine di quest'anno). Un simile ricalcolo comporterebbe una riduzione considerevole del trattamento, si stima fra il 20 e il 30%, che è ritenuto difficilmente sostenibile specie per le pensioni mediobasse. Le penalizzazioni previste nel ddl Damiano sono più contenute: il 2% per ogni anno di anticipo rispetto all'età di riferimento (66 anni), fino a un massimo dell'8 per cento.

Ma per questo motivo la proposta è alquanto costosa (oltre 8 miliardi a regime), mentre quella del ricalcolo contributivo potrebbe costare la metà. Ricordo peraltro che nei Paesi ove si è scelta questa strada le riduzioni previste sono consistenti: si va dal 3,6% per ogni anno di anticipo della Germania (con riduzioni per certi soggetti), al 5% della Francia (fino a un massimo di 5 anni), al 67% della Spagna. Una soluzione più graduale, seguita con varianti da Francia e Spagna, prevede che i lavoratori a cui manchino 2-3 anni all'età di pensionamento possano accedere a un lavoro part time, acquisendo il diritto a una pensione parziale (fino a un massimo da stabilire), così da minimizzare la perdita del reddito.

In tali casi si prevede la possibilità che i contributi pensionistici continuino a decorrere per intero al fine di garantire il raggiungimento della pensione prevista per un lavoro full time. Tale soluzione permetterebbe alle aziende di assumere giovani come apprendisti o a part time (senza peraltro un obbligo in tal senso). Una variante di tale ipotesi è la cosiddetta staffetta generazionale, prevista in altri Paesi (Germania) e avanzata anche da noi, in base alla quale la perdita di reddito e di contributi conseguente al part time è compensata dalle aziende e in parte dallo Stato. Si tratta di una soluzione rivelatasi costosa e quindi non facilmente sostenibile. D'altra parte l'accettazione del part time da parte del pensionando risulta difficile, se non gli è garantito in tutto o in parte almeno il pagamento dei contributi. Questo spiega lo scarso esito della sperimentazione di tale soluzione avviata in qualche regione (Lombardia).

L'esito non sarebbe diverso per la ipotesi di seguire questa strada nelpubblico impiego prevista nella normativa Madia, se non ci fosse qualche modo di compensare i part timers volontari. Le aziende potrebbero essere disposte a sostenere parte degli oneri se la loro prestazione fosse agevolata, o non gravata essa stessa da tasse e contributi. La proposta meno costosa (meno di 1 miliardo) è quella studiata a suo tempo dal ministro Giovannini e ripresa dal ministro Poletti, che prevede di corrispondere al lavoratore il quale voglia pensionarsi 2-3 anni prima dellimite legale, un anticipo della pensione, magari raccordato al livello degli ammortizzatori (si ipotizzano 700 euro mensili).

L'anticipo andrebbe restituito dal lavoratore al raggiungimento dell'età pensionabile con opportune rateizzazioni, senza interesse e con eventuali aiuti da parte delle aziende. Tale soluzione potrebbe essere utile in particolare peri lavoratori anziani che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali. Sarebbe un'alternativa utile agli attuali interventi sfavore degli esodati. Del resto Paesi che non prevedono anticipi di pensionamento, come Svezia, Regno Unito e Danimarca, prevedono a favore dei soggetti cui manchino alcuni anni all'età di pensione (2-4 anni) la possibilità di godere di indennità di disoccupazione o di invalidità, magari facoltizzando i comuni a chiedere a tali soggetti un impegno in lavori socialmente utili. Una simile soluzione è stata prospettata anche in Italia in recenti disegni di legge parlamentari. Le varie soluzioni qui indicate possono essere applicate anche in modo alternativo, secondo valutazioni che tengano conto delle condizioni personali ed economiche del caso».

seguifb

Zedde

Pensioni

Rimborsi Pensioni, Codacons lancia la class action: il decreto ha valore solo per il futuro

redazione Sabato, 30 Maggio 2015
L’eliminazione dell’adeguamento all'inflazione nel biennio 2012-2013 ha danneggiato circa 4 milioni di pensionati beneficiari di assegni previdenziali superiori ai 1.400,00€/mese lordi.

Kamsin La decisione del Tribunale di Napoli, sezione lavoro, che ha accolto il ricorso di un pensionato presentato prima che il governo annunciasse il decreto sui rimborsi delle pensioni, apre la strada a migliaia di pronunce analoghe in tutta Italia in favore dei pensionati. Lo afferma il Codacons, in una nota con la quale ribadisce il diritto di milioni di pensionati a ricevere quanto illecitamente sottratto con la Legge Fornero nel 2011.

Secondo i consumatori infatti, "il decreto vale per il futuro, ma non cancella i diritti acquisiti dai pensionati nel passato, e la sentenza della Consulta interessa proprio le pensioni pregresse per le quali è ampiamente legittimo proporre ricorso". Per il Codacons si tratta di una decisione importantissima, che avalla la class action avviata alla quale, dice l'associazione, hanno già aderito oltre 5.000 pensionati attraverso l'invio di una diffida all'Inps e al Ministero del lavoro. L’eliminazione dell’adeguamento all'inflazione nel biennio 2012-2013, scrive il Codacons, ha danneggiato circa 4 milioni di pensionati beneficiari di assegni previdenziali superiori ai 1.400,00€/mese lordi i quali dovrebbero ricevere indietro una somma pari a migliaia di euro e non poche centinaia come ha messo a disposizione il decreto legge 65/2015 varato il 21 maggio dal Governo Renzi dal 1° agosto.

Il Presidente dell'associazione, Carlo Rienzi, lo aveva indicato chiaramente nei giorni scorsi: «non accetteremo “magheggi” da parte dell’esecutivo. L’INPS deve attuare immediatamente la sentenza, e per questo abbiamo presentato  una formale diffida all’Istituto pensionistico, che deve avviare nuovi conteggi sulle somme da restituire ai pensionati e accreditarle già nel prossimo assegno (comprensive di interessi legali e rivalutazione).  La lesione dei diritti di chi, pur avendo lavorato e contribuito a determinare la propria pensione, ha subito una lesione dei propri diritti patrimoniali riconosciuta dalla Consulta, non può essere accettata».

seguifb

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Pensioni

Rimborsi Pensioni, Un tribunale condanna l'Inps al pagamento integrale degli arretrati

redazione Sabato, 30 Maggio 2015

L'Inps è stata condannata al pagamento, con decreto ingiuntivo, al pagamento di 3.074 euro a titolo di arretrati dopo la bocciatura del blocco biennale delle indicizzazioni delle pensioni da parte della Corte Costituzionale con la sentenza numero 70/2015 alla fine del mese di Aprile. Kamsin E' quanto è stato stabilito in un decreto ingiuntivo del 29 maggio dal Tribunale di Napoli, sezione lavoro, che ha accolto il ricorso di un pensionato partenopeo presentato prima che il governo annunciasse il decreto sui rimborsi delle pensioni secondo quanto riferito dall'avvocato Vincenzo Ferrò, che ha assistito il pensionato. Nel provvedimento, ha indicato l'avvocato, all'Inps viene anche richiesto di rivalutare il trattamento pensionistico in via permanente per tenere conto dell'effetto maggiorativo degli aumenti dovuti nel biennio 2012-2013 sull'assegno attualmente in pagamento.

Ministero, ricorsi dovranno tenere conto decreto - I cittadini che ritengano di vedere leso un proprio diritto hanno pieno titolo fare ricorso, "ma i ricorsi dovranno tenere conto del decreto del governo. E' quanto ricorda il ministero del Lavoro, ribadendo quanto già affermato dal ministro Giuliano Poletti sulla possibilità di ricorrere contro i rimborsi parziali previsti dopo la sentenza della Consulta sulle pensioni.

"Dal punto di vista della legittimità - aveva sottolineato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti- noi siamo convintissimi di aver pienamente ottemperato a quanto la Corte ha in qualche modo sottolineato come limiti della normativa precedente per cui ha scelto di cassare quella parte della norma"

seguifb

Zedde

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Riforma Pensioni, Damiano: l'iter inizia mercoledì alla Camera. No al ricalcolo degli assegni

redazione Sabato, 30 Maggio 2015
Il Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, Cesare Damiano, precisa che da Mercoledì 3 Giugno si inizierà a discutere della cd. flessibilità in uscita.

Kamsin “L’Inps ha dichiarato che entro giugno presentera’ una sua proposta sul sistema della previdenza e dell’assistenza: non sappiamo se questo sia il suo mestiere”. Lo sostiene, in una nota, Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera.

“Quello che a noi interessa – spiega – e’ che sia il Governo a presentare rapidamente un progetto di riforma che dia gambe alle dichiarazioni del premier e del ministro Poletti sul tema della flessibilita’ da introdurre nel sistema pensionistico”. “Alla Commissione Lavoro della Camera – prosegue – sono depositati alcuni disegni di legge presentati da tutti i partiti. Dal prossimo 3 giugno cominceranno, con Poletti, le audizioni che coinvolgeranno successivamente l’Inps e le parti sociali. La proposta principale, del Pd, prevede che si possa andare in pensione a partire dai 62 anni con 35 di contributi e con una penalizzazione massima dell’8%. Oppure con 41 anni di contributi indipendente dall’eta’, una misura questa che aiuterà i lavoratori cd. precoci”.

“Basandoci su queste proposte – aggiunge Damiano – chiediamo al Governo di trovare una soluzione nella legge di Stabilita’. E’ giunto il momento di restituire ai pensionati e ai lavoratori: lo si puo’ fare anticipando, in modo flessibile, l’uscita dal lavoro e non mettendo nuovamente le mani nelle tasche dei pensionati”. “Sentiamo circolare la proposta di un ricalcolo con il sistema contributivo delle pensioni in essere liquidate con il sistema retributivo: si tratta di una ipotesi che respingiamo, non solo perche’ non si possono continuamente mettere in discussione i diritti acquisiti, ma anche perche’ sarebbe socialmente insostenibile”.

Seguifb

Zedde

Pensioni, Inps: i militari escono a 57 anni e con un assegno doppio rispetto al contributivo

redazione Venerdì, 29 Maggio 2015
Il 90% degli assegni previdenziali dei lavoratori del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico ha un'età alla decorrenza inferiore a 57 anni e subirebbe quindi una decurtazione del 40-60% se si calcolasse con il contributivo.

Kamsin Il 90% delle pensioni del comparto difesa e sicurezza (Difesa, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco e Forestale) è quasi due volte l'importo che si dovrebbe percepire se quei trattamenti previdenziali si ricalcolassero con il metodo contributivo. Lo scrive l'Inps, in un nuovo round dell'operazione trasparenza: il 90% degli assegni ha un'età alla decorrenza inferiore a 57 anni e subirebbe quindi una decurtazione del 40-60% se si calcolasse con il contributivo.

Nella nuova pubblicazione della serie della trasparenza dell'Istituto, si precisa che gli iscritti al Comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico sono circa 536.000. L'Inps ricorda che in Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, Corpo nazionale dei vigili e Corpo Forestale dello Stato, ancora nel corso del 2015, i lavoratori possono accedere al pensionamento di vecchiaia con limiti di età inferiori rispetto al resto del personale dipendente dello Stato (cosiddetto personale civile) iscritto alla Cassa dei dipententi dello Stato: per i lavoratori del comparto sicurezza l’età massima per la permanenza in servizio è ricompresa tra i 61 anni e tre mesi e i 66 anni e tre mesi.

Ancora, questi lavoratori maturano il diritto alla pensione di anzianità a 57 anni e tre mesi con 35 anni di anzianità contributiva, oppure - a prescindere dall’età anagrafica- con 40 anni e tre mesi di contributi. Gli iscritti che, alla data del 31 dicembre 2011, hanno già raggiunto la massima anzianità contributiva prevista (aliquota massima di pensione pari all’80% della retribuzione pensionabile), possono accedere alla pensione di anzianità all’età di 53 anni e tre mesi.

I lavoratori del comparto sicurezza usufruiscono inoltre di maggiorazioni di servizio in relazione alla natura del servizio svolto. Dal 1° gennaio 1998, l’accredito di queste  maggiorazioni convenzionali è stato limitato ad un massimo totale di 5 anni. Dallo studio - che documenta come le pensioni del
Fondo con decorrenza successiva al 2009 si rapportano con le prestazioni che sarebbero state erogate applicando il metodo contributivo - si evince che più del 90% dei trattamenti in essere subirebbe, con il calcolo contributivo, una riduzione dell’importo compresa tra il 40% e il 60%.

Seguifb

Zedde

 

Esodati, subito un nuovo decreto per tutelare gli ultimi 50mila lavoratori

redazione Venerdì, 29 Maggio 2015
L'ulteriore provvedimento potrebbe essere a costo zero per le casse dello stato dato che avanzano oltre 60mila posti nelle precedenti sei salvaguardie.

Kamsin Risolvere una volta per tutte il problema degli esodati prima di approvare la flessibilità in uscita. Lo hanno ribadito ieri, ancora una volta, i Comitati di categoria sotto la sede dell'Inps a Roma. Gli esodati tecnicamente sono coloro che avevano siglato accordi per l'uscita dal mondo del lavoro prima del 2012 e che, per via della Legge Fornero, sono rimasti senza lavoro e senza pensione. Il Parlamento sino ad oggi ha varato ben 6 provvedimenti ed ha ripristinato le vecchie regole previdenziali nei confronti di 170mila lavoratori. Eppure da qui al 2019 ci sono altri 49.500 lavoratori che con le vecchie norme avrebbero maturato la pensione e che, invece, sono rimasti esclusi da ogni tutela.

I denari per aiutarli però già sono stati stanziati osservano gli interessati: l'Inps ha utilizzato solo 110mila posizioni delle oltre 170mila disponibili e, pertanto, pur mettendo da parte altre 10mila posizioni al vaglio dell'istituto, avanzano almeno altri 50mila posti da poter impiegare per estendere i profili di tutela sino al 2019. In parlamento sono stati presentati già due provvedimenti in tale direzione, uno da parte del Pd l'altro dalla Lega. Il primo, piu' prudente, ne salva solo 26 mila estendendo sino al 6 gennaio 2017 (dal 6 gennaio 2016) i termini per entrare nella salvaguardia; l'altro, quello leghista, pone come unico limite quello del completo esaurimento delle risorse all'uopo stanziate dai precedenti provvedimenti. In entrambi i casi, ricordano i Comitati, si può fare quest'operazione senza chiedere risorse aggiuntive al Tesoro.

seguifb

Zedde

Riforma Pensioni, Sacconi presenta il ddl sui pensionamenti flessibili. Ecco il testo

Bernardo Diaz Venerdì, 29 Maggio 2015
Il Presidente della Commissione Lavoro di Palazzo Madama, Maurizio Sacconi, ha depositato il progetto di legge delega per introdurre i pensionamenti flessibili. Nel ddl previsti anche sconti pensionistici per le lavoratrici madri.

Kamsin Pensioni flessibili a partire da 62 anni di età e 35 anni di contributi con una penalità massima dell'8% sull'assegno pensionistico, sconto fino a due anni per le lavoratrici madri, possibilità di ricorrere al part-time per i lavoratori che hanno compiuto l'eta' pensionabile e per chi assiste familiari con disabilità, politiche di invecchiamento attivo per i lavoratori con maggiore anzianità. Sono questi i dettagli della legge delega in materia di Riforma del sistema previdenziale depositata in Senato la scorsa settimana dal Presidente della Commissione Lavoro di Palazzo Madama, Maurizio Sacconi, dopo le aperture dei giorni scorsi da parte del Premier.

«Con questa proposta, ricorda Sacconi, attribuiamo una delega al Governo per superare quelle rigidità introdotte dalla Legge Fornero nel 2011; lasciamo all'esecutivo il compito di adottare la legislazione di dettaglio. La cornice entro la quale l'esecutivo dovrà muoversi è comunque chiara e, sostanzialmente, rispecchia le varie proposte che in questi ultimi anni sono state depositate in Parlamento su cui pare oggi esserci un'ampia condivisione, anche da parte dell'esecutivo» ha indicato Sacconi. 

Quattro i punti cardine di Riforma oggetto del disegno di legge che, se approvato dal Parlamento, dovrà sviluppare il Governo. Il primo riguarda il tema delle pensioni flessibili da attuare con "l’invarianza degli oneri", cioè senza creare ulteriore deficit sul bilancio pubblico, almeno nel medio-lungo termine. In concreto la flessibilità si tradurrà nella possibilità di accedere alla pensione a partire da un minimo di 62 anni e 35 anni di contributi (una sorta di quota 97) con una decurtazione dell'8% sull'assegno previdenziale calcolato "rispetto all’importo massimo conseguibile a requisiti pieni secondo i rispettivi ordinamenti previdenziali di appartenenza". Piu' si allontana l'uscita minore sarà poi l'entità della riduzione. Il decalage lo stabilirà comunque il Governo: la legge delega prevede solo che la riduzione per ogni anno di attesa non possa essere superiore al due per cento (in teoria dunque in corrispondenza dei 66 anni la penalità sarebbe eliminata).

Il secondo punto riguarda il riconoscimento di specifici benefici previdenziali per le lavoratrici madri: ai fini della maturazione del requisito di anzianità anagrafica il disegno di legge prevede una valutazione doppia dei periodi di astensione dal lavoro per maternità e per puerperio, per un periodo massimo di due anni, nonchè, per ciascun periodo di sospensione lavorativa entro due anni dall’evento del parto, di una contribuzione figurativa di base per la durata massima di sei mesi per ciascun evento. 

Il Governo è infine poi delegato ad incentivare, con particolare riferimento ai soggetti che hanno maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento o che sono impegnati in attività di cura e di assistenza ai propri familiari, il ricorso al contratto di lavoro part-time, nonché a predisporre un piano nazionale per il prolungamento della vita attiva orientato a valorizzare le competenze dei lavoratori in età più avanzata, anche attraverso attività di tutoraggio e di affiancamento ai neo-assunti come di conseguente riorganizzazione del lavoro sia in ambito pubblico che privato.

La modifica centrale resta comunque l'introduzione della flessibilità in uscita. «Ogni sistema previdenziale, tanto più se organizzato in base al criterio contributivo, - ricorda Maurizio Sacconi - è caratterizzato da regole flessibili con riferimento all'età di accesso alla prestazione previdenziale in quanto ovunque si ravvisa la necessità di consentire, entro limiti definiti e con prestazioni ridotte, la possibilità di uscire anticipatamente dal mercato del lavoro date le crescenti complessità nella vita, non solo lavorativa, delle persone. Solo la più recente riforma del 2012 ha invece rigidamente determinato l'allungamento dell'età di pensione senza disporre transizioni graduali né, ancorché limitate, eccezioni. Non a caso essa ha indotto il fenomeno largamente accettato e riconosciuto dei cosiddetti "esodati" che ha già comportato impegni di spesa per circa 12 miliardi ed ha ulteriormente allargato il divario nella società tra i destinatari di diverse regolazioni relative all'età di pensionamento».

Documenti: il testo del disegno di legge S.1941

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Pensione anticipata, la Sicilia approva i prepensionamenti sino al 2020

Alberto Brambilla Giovedì, 28 Maggio 2015
Oltre un migliaio i dipendenti pubblici della Regione Sicilia potrebbero presentare domanda per il prepensionamento sino al 2020.

Kamsin Corsa all'uscita anticipata per i dipendenti della Regione Siciliana. Una norma contenuta nella recente Legge Finanziaria approvata dall'Assemblea Regionale agli inizi di Maggio apre le porte al pensionamento anticipato per piu' di migliaio di dipendenti pubblici sino al 2020 in barba alla Legge Fornero e alla normativa statale.

L'articolo 52 della legge regionale 9/2015 consente, infatti, ai dipendenti dell’Amministrazione regionale che, sulla base dei requisiti previdenziali vigenti prima dell'introduzione della Legge Fornero, avrebbero maturato la pensione entro il 31 dicembre 2020 di presentare domanda per il collocamento in quiescenza entro il 14 luglio 2015, cioè entro 60 giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore (la legge è entrata in vigore lo scorso 15 maggio). A quel punto l'ente regionale avrà un anno di tempo dalla maturazione del diritto a pensione (con la vecchia normativa) per procedere al collocamento in quiescenza (cfr: Circolare Regionale del 25 Maggio 2015). Complessivamente si stima in poco piu' di un migliaio i lavoratori che potrebbero presentare domanda ed uscire con un anticipo di diversi anni rispetto ai requisiti previsti per la generalità dei dipendenti pubblici. Basti pensare che per centrare l'uscita sono sufficienti nel triennio 2016-2018 61 anni e 7 mesi unitamente a 35 anni di contributi ed il quorum 97,6; oppure 40 anni di contributi.

Chi usufruirà dello scivolo anticipato dovrà mettere in conto alcune penalità sull'assegno. La Finanziaria ha infatti introdotto dei tetti al trattamento erogabile nei confronti di quei dipendenti che hanno continuato a godere, in deroga alla legge statale, di un calcolo dell'assegno particolarmente favorevole (cioè retributivo sino al 2003 e contributivo per le anzianità maturate successivamente). Nei confronti di tali lavoratori la Legge regionale ha imposto un tetto al trattamento pensionistico pari al 90% della media dei trattamenti stipendiali degli ultimi cinque anni. Chi matura un diritto tra il 2017 ed il 2020 subirà invece una decurtazione della quota retributiva tale da determinare una riduzione complessiva del 10 per cento sul trattamento pensionistico complessivo annuo lordo finale. L'applicazione della riduzione non potrà, tuttavia, superare l’85% della media dei trattamenti stipendiali degli ultimi cinque anni.

Sulla normativa appena approvata rischia di attivarsi però anche un contenzioso.  La domanda per il pensionamento non presuppone, a differenza di quanto prevede la disciplina nazionale, alcuna dichiarazione di esubero da parte dell'Ente. Ed è proprio quest'ultimo passaggio ad essere finito sotto la lente d'ingrandimento dei tecnici di Palazzo Chigi che contestano tale misura osservando come, nell’avviare la fase di riduzione del personale la Regione dovrebbe procedere alla dichiarazione di esubero, indicando in partenza il numero di quanti sono i dipendenti in eccesso. Come avviene nel resto d'Italia.

seguifb

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