Lavoro Intermittente, I Ccnl non possono vietarlo
I chiarimenti in una nota dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro che recepisce il recente orientamento della Corte di Cassazione. Alle parti sociali è preclusa la facoltà di interdirlo.
Il nuovo orientamento
Il Documento precisa il ruolo della contrattazione collettiva che, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 81/2015, è chiamata ad individuare le esigenze che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale "anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell'anno". A riguardo, la Corte di cassazione con la sentenza da ultimo richiamata ha precisato che la normativa si limita a demandare ai contratti collettivi la facoltà d'individuare le esigenze per le quali permettere il lavoro a chiamata «senza riconoscere esplicitamente alle parti sociali alcun potere d'interdizione in ordine alla possibilità d'utilizzo di tale tipologia contrattuale; né un siffatto potere di veto può ritenersi implicato dal richiamato “rinvio” alla disciplina collettiva che concerne solo il particolare aspetto di tale nuova figura contrattuale». In sostanza alle parti sociali è affidata l’individuazione delle sole "esigenze" che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale senza il potere di interdire l’utilizzo di tale tipologia contrattuale nel settore regolato. Il principio, spiega l'Inl, supera le indicazioni fornite dal ministero del lavoro che, peraltro, apparivano contrastanti. Nell'interpello n. 37/2008 infatti, il ministero del lavoro stabiliva che «la contrattazione collettiva può aggiungere nuove previsioni a quelle già fissate dalla legge, ma non eliminarle», mentre nella nota prot. n. 18194/2016 stabiliva che «la contrattazione collettiva, anche aziendale, può vietare il ricorso al lavoro intermittente».
Le nuove istruzioni
Il nuovo orientamento, pertanto, conferma che nell’ambito dell’attività di vigilanza non si dovrà tener conto di eventuali clausole sociali che si limitino a "vietare" il ricorso al lavoro intermittente. In tali casi occorrerà quindi verificare se il ricorso al lavoro intermittente sia invece ammissibile in virtù della applicazione delle ipotesi c.d. oggettive individuate nella tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 ovvero delle ipotesi c.d. soggettive, ossia "con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni".
Settore dell'autotrasporto
In merito al settore autotrasporto, per il quale la contrattazione collettiva non ha individuato specifiche esigenze per il ricorso al lavoro intermittente, il documento spiega che, in assenza di ipotesi soggettive, bisogna far riferimento al citato rd n. 2657/1923 il quale, tra l'altro, annovera le attività del «personale addetto al trasporto di persone e di merci: personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell'ispettorato dell'industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità». In base alla formulazione della norma e alla punteggiatura utilizzata, spiega l'Inl, il ministero del lavoro ha precisato che la discontinuità è riferibile alle attività del solo personale addetto al carico e allo scarico, quale ulteriore «sotto categoria» rispetto a quanti sono adibiti al trasporto tout court, «con esclusione delle altre attività ivi comprese quelle svolte dal personale con qualifica di autista».
Documenti: Circolare Inl n. 1/2021