Pensioni
Rimborsi Pensioni, Ecco quanto spetta dopo la decisione della Consulta
E' possibile simulare quanto dovrà essere corrisposto ai pensionati titolari di prestazioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps nel 2012
Kamsin La sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 che ha sbloccato l'indicizzazione degli assegni nel biennio 2012-2013 superiori a tre volte il trattamento minimo inps (1.404 euro lordi) porterà diversi denari nella tasche dei pensionati italiani. Come già anticipato sulle pagine di questo giornale l'effetto sarà mediamente pari a poco piu' di mille euro in piu' l'anno per gli assegni dai 1500 ai 1800 euro lordi per poi salire gradualmente al crescere dell'importo base dell'assegno, senza alcun limite. Ed è proprio questo il problema. Lo stralcio del comma 25 dell'articolo 24 del Dl 201/2011 operato dalla Consulta produce effetti nei confronti di tutti gli assegni, anche quelli d'oro che vedrebbero così cifre molto superiori.
Si pensi infatti che un assegno di 4mila euro al mese dovrebbe ricevere ben 2.500 euro l'anno in piu', mentre uno da 5 mila (circa 10 volte il trattamento minimo inps) dovrebbe vedersi restituiti almeno 3mila euro all'anno. Una distorsione che, da quanto si apprende, sarà corretta dal Governo attraverso un decreto legge ad hoc al quale stanno già lavorando i tecnici del MEF e dell'Inps. In pratica si introdurrà un "tetto" oltre il quale la rivalutazione del biennio 2012-2013 non sarà piu' riconosciuta riducendo, di conseguenza, gli oneri per lo Stato.
Per aiutare i lettori a districarsi in questa materia abbiamo dunque elaborato un apposito programma, qui sotto disponibile, che consente rapidamente di simulare, previo inserimento del valore dell'assegno prima del blocco dell'indicizzazione, cioè nel 2011, quanto deve essere restituito dall'Inps ai pensionati per tutto il periodo in cui ha operato questa norma, cioè dal gennaio 2012 al maggio 2015, e quanto dovrà essere corrisposto a partire dal 1° giugno 2015. Già perchè l'aumento verrà acquisito nel valore dell'assegno in via permanente. Si precisa che la cifra che viene visualizzata nel programma è al lordo delle ritenute fiscali e non considera, per quanto riguarda i rimborsi, gli interessi che l'istituto dovrà corrispondere a norma di legge.
Aggiornamento del 25 Maggio. Il Governo ha varato il decreto legge 65/2015 con il quale, sostanzialmente, non ha riconosciuto alcuna indicizzazione per gli assegni superiori a 6 volte il minimo inps ed un bonus molto ridotto per gli assegni ricompresi tra 3 e 6 volte il minimo il 1° Agosto 2015. Qui è possibile verificare in anteprima a quanto ammonteranno i rimborsi stabiliti dal Governo.
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Riforma Pensioni, Poletti svela le due proposte allo studio del Governo
Il Ministro del Lavoro passa in rassegna gli interventi all'esame del Governo per favorire la staffetta generazionale e l'accompagnamento alla pensione di coloro che hanno perso il lavoro.
Kamsin Un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro, magari con penalizzazioni, a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva; un prestito pensionistico per chi ha perso il posto di lavoro ma non ha ancora compiuto l'età pensionabile con obbligo di restituzione delle somme una volta conseguita la pensione. Sono queste le due misure allo studio del Governo per riformare la legge Fornero secondo quanto dichiarato ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in risposta ad una interrogazione dell'Onorevole Gnecchi (Pd).
Il Ministro del Lavoro conferma che il Governo sta completando lo studio di due tipologie di misure: da un lato favorire il ricambio generazionale dall'altro risolvere «prioritariamente» le difficoltà delle persone che, a seguito degli effetti della «riforma Monti-Fornero» e della crisi economica, si sono trovate senza lavoro e non hanno ancora maturato i requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico.
Quanto al primo ordine di interventi Poletti ha indicato che è «stata già avviata un'attenta riflessione sulle misure volte a favorire la cosiddetta staffetta generazionale. In tale direzione, vi sono attualmente numerose ipotesi in campo e il Governo sta individuando le soluzioni più idonee nella consapevolezza delle difficoltà legate alle possibili fonti di copertura.» L'obiettivo secondo Poletti è predisporre «interventi normativi finalizzati a prevedere forme di flessibilità di pensionamento che possano, così, favorire il ricambio generazionale».
Il Ministro annovera esplicitamente tra le possibili linee di intervento:
a) l'introduzione di un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva;
b) l'introduzione di un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro, con penalizzazioni, a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva. Questa ipotesi dovrebbe prevedere che al trattamento pensionistico venga applicata una riduzione sulla quota calcolata con il sistema retributivo pari ad una certa percentuale per ogni anno mancante all'età di vecchiaia.
Sostanzialmente si tratta delle stesse proposte all'esame della Commissione Lavoro della Camera (ddl 857 e ddl 2945 promossi dall'ex-ministro del Lavoro, Cesare Damiano)
Quanto alle misure di sostegno al reddito il Ministro ha fatto presente «che si sta valutando anche la possibilità di introdurre, in via sperimentale e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, un assegno di pensione anticipata alternativo alle prestazioni di sostegno al reddito. Tale strumento - prosegue Poletti - sarebbe in grado di colmare il gap temporale esistente tra la cessazione degli interventi di sostegno al reddito e il raggiungimento dei requisiti per l'accesso al pensionamento, consentendo ai lavoratori dipendenti la possibilità di percepire un assegno temporaneo fino al perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia, con successiva restituzione da parte del pensionato della somma complessivamente percepita».
Per il reperimento delle risorse necessarie a finanziare tali interventi il Ministro ha indicato che si può anche valutare di reintrodurre il divieto di cumulo fra redditi da pensione e redditi da lavoro: «Nell'ambito dell'approfondimento in atto sul tema, tali proposte potranno essere valutate e concorrere con le altre ipotesi in campo al fine di adottare misure che possano favorire quanto più è possibile le nuove generazioni» ha concluso Poletti.
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Decreto Pensioni, lunedì pronte le linee guida. Il provvedimento ufficiale slitta a fine mese
Zanetti:"Se si dovesse fare tutto in fretta presentando lunedì il dl definitivo l'unica scelta sarebbe quella di inserire la sola gradualità in base all'entità dell'assegno".
Kamsin L'affaire rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps (oltre cioè i 1450 euro lordi al mese) non sarà deciso a breve. Nel consiglio dei ministri di lunedì prossimo il Governo avrebbe in programma infatti la discussione delle sole linee guida ma il decreto vero e proprio (che fisserà tempi, soglie e modalità di rimborso) sarà adottato tra qualche settimana. A fine maggio o agli inizi di giugno. Fonti vicine all'esecutivo fanno sapere che serve maggior tempo per studiare le coperture per restituire i denari sottratti con il blocco nel biennio 2012-2013 dell'indicizzazione degli assegni cassato dalla Consulta. Il sospetto è comunque che si voglia far passare la tornata elettorale per sterilizzare gli effetti di una decisione impopolare sulle urne.
Il Viceministro Morando ha indicato l'altro giorno in Senato infatti la strada da seguire: una sorta di equilibrismo tra i rilievi della Consulta e le esigenze di bilancio dello Stato. Non c'è alcun obbligo, afferma Morando, di restituire tutto a tutti: se così si facesse, rispettando alla lettera la decisione della Corte, si creerebbe un buco nel bilancio e salterebbe la regola del debito ed il deficit del 3% concordato con l'Ue.
L'ipotesi suggerita da Morando è invece quella di rimuovere le due ragioni che hanno portato la Corte a bocciare la normativa: perché «sospendeva l'indicizzazione per due anni e non per uno, come era accaduto in precedenza»; e perché il blocco riguardava anche pensioni più basse rispetto agli interventi del passato e non prevedeva un'applicazione progressiva, in base al reddito, dei tagli alla rivalutazione. In sostanza per rispondere alla sentenza l'esecutivo da un lato dovrebbe prevedere un meccanismo di indicizzazione decrescente al salire del reddito pensionistico e alzare la soglia oltre la quale non si prende nulla. Dall'altro però potrebbe limitarsi a restituire l'indicizzazione persa per uno solo dei due anni di blocco e non per entrambi.
Il metodo è condiviso anche dal sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti di Scelta Civica che ha sottolineato come "per avere il tempo di prevedere una progressività non solo a partire dagli assegni superiori a tre volte il minimo, fino ad una certa soglia che Sc indica a 5mila euro lordi (circa 10 volte il trattamento minimo), ma anche per una gradualità che tenga conto dell'allineamento tra assegno e contributi servono ancora alcune settimane di tempo".
Da qui la considerazione che, aggiunge, "il compromesso ideale, non per motivi elettorali ma per una reale equità, sia varare al cdm di lunedì delle norme procedurali sulle pensioni senza cifre ma solo i criteri generali della gradualità rinviando di qualche settimana la soluzione definitiva con soglie e relative coperture".
Inoltre "per inserire il principio della progressività anche in base all'allineamento con i contributi serve un po' di tempo in più per fare i calcoli necessari, assicurando però una decisione finale che non sia a rischio iniquità".
seguifb
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Pensioni, Poletti: servono nuove risorse per tutelare gli esodati
Secondo il Ministro del Lavoro è necessario un apposito intervento normativo per tutelare gli esodati rimasti fuori dalla IV e VI salvaguardia per l'esaurimento dei posti disponibili.
Kamsin Il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti ha risposto ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati all'interrogazione sollevata dagli Onorevoli Fedriga e Simonetti (Lega Nord) sull'insufficienza dei posti relativi ai lavoratori che assistevano disabili nel 2011 destinatari della IV e VI salvaguardia (atto 5-05507).
Il Ministro ha indicato che con specifico riferimento alla quarta salvaguardia, dai dati forniti dall'INPS lo scorso 3 aprile, «risulta che sono state certificate 4.886 posizioni, a fronte di una platea di 2.500 lavoratori salvaguardabili prevista dall'articolo 11-bis del decreto-legge n. 102 del 2013. A tale proposito il Governo, consapevole della rilevanza del problema, ha ampliato attraverso la sesta salvaguardia (introdotta dall'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge n. 147 del 2014), di altre 1.800 unità la platea di tali lavoratori».
Per quanto riguarda i lavoratori appartenenti a tali categorie che non hanno potuto beneficiare delle salvaguardie, Poletti ricorda che l'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012, ha previsto «l'istituzione di un Fondo in cui dovranno confluire le eventuali economie aventi carattere pluriennale rispetto agli oneri programmati per l'attuazione delle operazioni di salvaguardia in corso e le cui risorse saranno destinate al finanziamento di ulteriori misure di salvaguardia».
Il comma 3 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 102 del 2013 ha previsto che i risparmi di spesa complessivamente conseguiti a seguito dell'adozione delle misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico (di cui al comma 18 dell'articolo 24 della legge 22 dicembre 2011, n. 214) confluiscono nel richiamato Fondo per essere destinati al finanziamento di misure di salvaguardia pensionistica.
In conclusione il Ministro ha indicato che le «criticità segnalate possono trovare una soluzione definitiva mediante l'adozione di una specifica disposizione normativa per cui è necessaria reperire la specifica copertura finanziaria, sebbene la platea dei lavoratori in parola, a differenza di molti altri, dispone di un reddito derivante da lavoro».
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Rivalutazione Pensioni, Morando al Senato: non restituiremo tutto. Documento
Riportiamo le dichiarazioni ufficiali del Vice ministro dell'economia e delle finanze Morando rilasciato ieri, in Commissione Bilancio al Senato, sugli effetti, sul bilancio dello Stato, delle recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di Robin tax e di rivalutazione delle pensioni. Kamsin Il vice ministro ha indicato alla Commissione che il Governo non ha ancora assunto delle determinazioni sulle puntuali modalità di adempimento del dispositivo della sentenza in materia di rivalutazione delle pensioni, cosa che avverrà nelle prossime settimane. Ma ha avvertito che la decisione della Consulta lascia spazio di manovra al Governo per non restituire quanto sarebbe dovuto.
Cio' perchè, a detta del Viceministro, la sospensione introdotta con il Salva Italia nel 2011 ha avuto una durata biennale ed ha inciso anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato a differenza di quanto previsto dalla normativa precedente e a quella successiva che la Corte stessa ribadisce di considerare legittime. Pertanto secondo Morando, la sentenza della Corte può e deve essere pienamente rispettata attraverso un intervento che rimuova quelle componenti dell’intervento del dicembre 2011 che la Corte censura.
Dal punto di vista tecnico, la vicenda si è originata con il decreto-legge n. 201 del 2011, la cui relazione tecnica è, dunque, la base di riferimento per la quantificazione dell'ammontare di risorse coinvolto. Dato il rilievo che l’intervento sulla parziale deindicizzazione delle pensioni aveva per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, la relazione stessa illustra la platea degli interessati e definisce i risparmi attesi, sia al lordo, sia al netto del prelievo IRPEF.
Nel dettaglio si tratta, per l'anno 2012 di 3,8 miliardi lordi e 2,9 miliardi netti, per l'anno 2013 di 6,7 miliardi lordi e 4,9 netti, per l'anno 2014 di 6,7 miliardi lordi e 4, 9 netti, per l'anno 2015 6,6 miliardi lordi e 4,9 netti, con andamento analogo negli anni successivi, per arrivare al 2018, quando l'onere è quantificato in 6,4 miliardi lordi e 4,7 miliardi netti.
La relazione metteva quindi in aperta evidenza che l’intervento di "blocco" dell’adeguamento 2012-2013 aveva un effetto permanente di riduzione della spesa previdenziale, pari, al netto delle imposte, a più di 4,5 miliardi l’anno (la relazione tecnica limita l’esame al 2018, ma è evidente che gli effetti erano destinati a perdurare anche oltre questa data). La relazione tecnica originaria viene aggiornata, al momento del passaggio da una Camera all’altra, dopo ciascuna lettura: si chiama "relazione tecnica al passaggio": sulla questione che qui interessa, la tabella originaria subisce una rilevante modificazione. Per l'anno 2012 si hanno, infatti, 2,4 miliardi lordi e 1,8 netti, per l'anno 2013, 4,2 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2014, 4,2 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2015, 4,1 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2016 4,1 lordi e 3,0 netti, per l'anno 2017, 4,1 lordi e 3 netti, per l'anno 2018, 4 lordi e 2,9 netti.
Questi mutamenti sono stati determinati dalla diversa definizione dei presupposti del calcolo. La relazione tecnica originaria assumeva a base la quota percentuale del monte pensioni corrispondente a pensioni superiori a due volte il minimo INPS: si trattava di circa il 76,5 per cento di tale grandezza. Nella relazione tecnica di passaggio la quota è quella relativa a pensioni superiori a tre volte il minimo: circa 54 per cento del monte pensioni pagato e da pagare nel 2011 e nel 2012. Non è un particolare di poco conto: il "peso" del blocco, che prima gravava su tre euro ogni quattro del monte pensioni complessivo, ora grava su un euro ogni due.
Governo e Parlamento avevano dunque tenuto ben presente l’esigenza di contemperare i due obiettivi in gioco: realizzare subito importanti risparmi di spesa, per evitare il possibile collasso finanziario, senza penalizzare gli interessi della platea dei pensionati più poveri, se conferma il rilievo della misura di "blocco" dell’adeguamento rispetto alla correzione complessiva del tendenziale realizzata dal decreto-legge (del resto resa evidente anche dal prospetto riepilogativo collocato dalla Ragioneria generale dello Stato in apertura della relazione tecnica di passaggio), ma si dà conto di significative variazioni intervenute nella lettura parlamentare del decreto-legge.
Risulta quindi acclarato che, in sede di conversione, è dato riscontrare non solo la presenza della documentazione tecnica circa le "attese maggiori entrate", di cui parla la sentenza, (che sono però da intendersi come "minori spese"), ma anche lo sviluppo di un confronto politico circa i caratteri dell’intervento e il suo impatto sociale. Si può dunque concludere che la dialettica Governo-Parlamento si sia pienamente sviluppata proprio sul tema del ragionevole equilibrio tra "esigenze finanziarie" (sottolineate dal Governo con la decisione di "coprire" con l’indicizzazione al 100 per cento le pensioni fino a due volte il trattamento minimo) e i "diritti oggetto di bilanciamento". Equilibrio - malgrado la forte correzione introdotta (il monte pensioni pagate interessato dal blocco ridotto del 25 per cento circa) - che si può ritenere ancora troppo spostato verso le "esigenze finanziarie". Non si può negare, tuttavia, che questo equilibrio sia stato consapevolmente ricercato. E che questa ricerca si sia sviluppata assumendo a base informazioni tecniche "di dettaglio".
Ci si può chiedere se fosse veramente difficile la "contingente situazione finanziaria" di quel fine novembre – inizio dicembre 2011. La sentenza sembra dubitarne quando afferma che la disposizione concernente l’azzeramento del meccanismo perequativo si limita a richiamare genericamente la contingente situazione finanziaria, e poco oltre a dire che tale diritto (quello ad una prestazione previdenziale adeguata), costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio". Il comma 25 dell’articolo 24 del decreto-legge recita testualmente: "In considerazione della contingente situazione finanziaria".
Ma quel comma è parte – quantitativamente essenziale, come già visto – dell’articolo 24, che così recita, al comma 1: "Le disposizioni del presente articolo (tutte, compresa quella recata dal comma 24) sono dirette a garantire, il rispetto degli impegni internazionali e con l’Unione Europea, dei vincoli di bilancio, la stabilità economico-finanziaria e a rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul PIL, in conformità dei seguenti principi e criteri: equità e convergenza intra e intergenerazionale, con clausole derogative soltanto per le categorie più deboli".
[...omissis..] C’è chi sostiene che la sentenza non lasci spazio ad alcuna interpretazione: dichiarato illegittimo il comma 25 dell’articolo 24 del decreto 201, essa determinerebbe il ritorno alla legislazione vigente in materia di indicizzazione delle pensioni prima del dicembre 2011. Con le conseguenze finanziarie che sono ben illustrate dalla relazione tecnica originale al Decreto e alla relazione tecnica di passaggio sopra richiamata. Il Ministro dell’economia ha già messo in evidenza che, in questo modo, gli effetti sui conti pubblici sarebbero tali da determinare, contemporaneamente, la violazione della regola del 3 per cento nel rapporto indebitamento/PIL; la violazione della regola relativa al ritmo di avvicinamento all’Obiettivo di Medio Termine (il pareggio strutturale); la violazione della regola del debito.
Conseguenza inevitabile: la riapertura immediata della procedura di infrazione, per violazione delle tre regole fondamentali del Patto di Stabilità e Crescita Europeo. Ma è la stessa Corte, nella sentenza, a chiarire che non è questo il significato della sua decisione. Al punto 5 della sentenza, la Corte – nel dichiarare fondata la questione prospettata con riferimento agli articoli 3, 36 primo comma e 38, secondo comma, della Costituzione – ripercorre gli interventi legislativi messi in atto nel corso degli anni in tema di indicizzazione delle pensioni, e conclude che la disciplina generale prevede che soltanto le fasce più basse siano integralmente tutelate dalla erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche. Al punto 6 della sentenza la Corte esamina il susseguirsi nel tempo degli interventi di sospensione del meccanismo perequativo, e conclude richiamando la sentenza della Corte stessa n. 316 del 2010, con la quale ha reputato non illegittimo l’azzeramento (si intende ovviamente l’azzeramento dell’adeguamento ai prezzi), per il solo anno 2008, dei trattamenti pensionistici di importo elevato. Nel punto 7, la Corte rileva infine che quanto disposto dal comma 25 dell’articolo 24 del decreto salva Italia si discosta in modo significativo dalla regolamentazione precedente. Non solo la sospensione ha una durata biennale; essa incide anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato.
La Corte rileva altresì’ che le soluzioni adottate dal decreto salva Italia si differenziano anche dalla legislazione ad esso successiva: nel 2014-2016, infatti, la legge n. 147 del 2013 (legge di Stabilità) ha stabilito che la perequazione si applichi - con la tecnica degli scaglioni - al 100 per cento sulla quota di pensione fino a tre volte il minimo, al 95 per cento per la quota di pensione da tre a quattro volte il minimo, al 75 per cento per la quota di pensione fino a cinque volte il minimo, al 50 per cento per la quota di pensione fino a 6 volte. E ha bloccato integralmente la perequazione per il solo 2014 e solo per le fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo.
Il giudizio della Corte sulla norma dichiarata illegittima trova quindi fondamento sulla riscontrata diversità dell’intervento del dicembre 2011 rispetto alle misure precedenti e successive (che la Corte stessa ricorda di aver considerato legittime con sue sentenze del passato; e mostra di continuare a considerare legittime anche nel presente, quando illustra – senza avanzare riserve - le caratteristiche dell’intervento deciso con legge di Stabilità per il triennio 2014-2016).
Due le ragioni del giudizio di diversità, rispetto ai precedenti, dell’intervento del decreto salva Italia: la durata biennale (e non annuale) del blocco dell’adeguamento ai prezzi; la mancata progressività del blocco, in rapporto alle diverse fasce di pensione percepita (sopra tre volte il minimo, l’adeguamento ai prezzi è interamente bloccato su tuttol’importo della pensione, non solo sulla quota eccedente tre volte il minimo). La Corte, dunque, ritiene che per queste due ragioni – durata e mancata progressività – la norma violi il principio di adeguatezza (articolo 38, secondo comma della Costituzione) e quello di sufficienza (articolo 36, primo comma della Costituzione) del trattamento pensionistico.
Dunque, la sentenza della Corte può e deve essere pienamente rispettata attraverso un intervento che rimuova quelle componenti dell’intervento del dicembre 2011 che la Corte censura. Stiamo lavorando per mettere a punto un intervento che abbia le caratteristiche suggerite dalla sentenza della Corte. È necessario farlo in tempi brevi, ma anche secondo modalità e con scelte e tecniche di copertura finanziaria che consentano di rispettare le regole fissate, in materia di tenuta dei conti pubblici e di decisione di bilancio, dalla Costituzione e dal Patto di Stabilità e Crescita che lega l'Italia agli altri Paesi dell’Unione.
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Pensioni, il decreto sui rimborsi slitta alla prossima settimana
L'Inps, per voce del presidente Tito Boeri, si è detto pronto ad avviare le operazioni di rimborso, quale che sia la scelta del governo.
Kamsin Slitta probabilmente a lunedì la decisione del Governo sulle pensioni. Renzi e Padoan hanno chiesto un mini-rinvio per mettere a punto un provvedimento che sarà «rispettoso della sentenza della Consulta e in linea con gli obiettivi di bilancio indicati nel Def», come ha ribadito ieri sera il ministero dell'Economia annunciando una «soluzione a breve». Si conferma quindi che il governo non intende aumentare il deficit oltre il 2,6% già indicato.
Partita dunque aperta sull'entità e sulle modalità del rimborso (calcola l'effetto sull'assegno della sentenza) anche se sembra prevalere l'ipotesi di procedere ad un adeguamento parziale e graduale. Circa 3-3,5 miliardi andranno comunque trovati tra «tesoretto» (1,6 miliardi di differenza tra deficit tendenziale e programmatico) e incasso dal rientro dei capitali, entrambe coperture che avranno comunque bisogno di una clausola di salvaguardia perché saranno verificate solo in sede di assestamento. All'interno di questo margine si sta ancora valutando una griglia di soluzioni, che guardano a limitare i rimborsi. Per il futuro il tema sarebbe poi affrontato con la legge di stabilità.
Sull'ipotesi di rimborsi parziali chiosa anche il viceministro all'Economia Enrico Morando (Pd), che ne ha parlato ieri in un'informativa alla Commissione Bilancio del Senato: «L'interpretazione in base alla quale la sentenza comporterebbe un ritorno alla legislazione precedente non è fondata», e in sostanza non c'è alcun obbligo di ridare tutto a tutti. La strada da percorrere, ha spiegato Morando, è invece quella di rimuovere le due ragioni che hanno portato la Corte a bocciare la normativa: perché «sospendeva l'indicizzazione per due anni e non per uno, come era accaduto in precedenza»; e perché il blocco riguardava anche pensioni più basse rispetto agli interventi del passato e non prevedeva un'applicazione progressiva, in base al reddito, dei tagli alla rivalutazione. In sostanza per rispondere alla sentenza l'esecutivo da un lato dovrebbe prevedere un meccanismo di indicizzazione decrescente al salire del reddito pensionistico e alzare la soglia oltre la quale non si prende nulla. Dall'altro però potrebbe limitarsi a restituire l'indicizzazione persa per uno solo dei due anni di blocco e non per entrambi.
Questa ipotesi non è solo di scuola. In queste ore è al vaglio dei tecnici e dei giuristi di Palazzo Chigi e Mef per valutarne la percorribilità. Di sicuro una decisione del genere ridurrebbe nettamente l'impatto dell'operazione. Va tenuto conto che nel 2012 la perdita del potere d'acquisto fu del 3% mentre nel 2013 scese all'1,2%. Limitando la restituzione a un solo anno è evidente che l'impegno potrebbe essere più che dimezzato. Anche se dal punto di vista politico è chiaro che la soluzione offrirebbe il fianco alle polemiche. Il presidente dell'Inps Tito Boeri ha auspicato ieri una misura basata sull'equità non solo tra i redditi e ma anche tra le generazioni. Secondo Boeri la restituzione, in virtù degli «importanti effetti redistributivi», «sia basata sull'equità non solo tra chi ha di più e chi ha di meno ma anche anche tra chi ha avuto di più e chi è chiamato a dare di più ma avrà di meno».
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