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Statali, la Conferenza unificata approva le tabelle di equiparazione per la mobilità

 

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Statali, la Conferenza unificata approva le tabelle di equiparazione per la mobilità

Bernardo Diaz Martedì, 12 Maggio 2015
Statali, la Conferenza unificata approva le tabelle di equiparazione per la mobilità
Le tabelle di equiparazione servono a disciplinare i trasferimenti dei dipendenti pubblici nei casi di mobilità non volontaria fra diversi comparti. Per la mobilità volontaria si applicano invece in automatico le regole dell'ente di destinazione

Kamsin Il decreto per regolare la mobilità dei dipendenti pubblici, con le relative tabelle di equiparazione che dovrebbero permettere di inquadrare il lavoratore nella nuova amministrazione con una retribuzione il più possibile vicina a quella di provenienza ha ricevuto l'ok della Conferenza Unificata ed attende ora il via libera della Corte dei Conti. Per poi essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Si avvia dunque a compimento uno dei tasselli fondamentali della Riforma Madia della scorsa estate, un provvedimento che sarà utilizzato in primis per trasferire i dipendenti in esubero nelle province nelle altre amministrazioni dello stato.

Il meccanismo. L'obiettivo del dpcm è quello di regolare i passaggi fra enti pubblici caratterizzati da contratti diversi, sia attraverso mobilità volontaria che obbligatoria. Per farlo il decreto contiene le cd. tabelle di equiparazione, che traducono l'inquadramento di provenienza del dipendente in quello della sua possibile destinazione (qui è disponibile il testo in anteprima). Attraverso queste tabelle, ad esempio, un lavoratore in un comparto della pubblica amministrazione potrà essere trasferito, volontariamente o d'ufficio, presso un'altra amministrazione pubblica in cui si registri una carenza d'organico. Il tutto con l'obiettivo di garantire al lavoratore il mantenimento del medesimo livello retributivo.

Se nessun problema viene in evidenza nella mobilità volontaria, in quanto al dipendente si applica il trattamento giuridico ed economico dell'ente di destinazione, il vero nodo, contestato dalla parte sindacale, è il meccanismo che regola il trattamento economico in caso di mobilità non volontaria e, quindi, quella che si verifica per accordo fra enti e quella disposta per riassorbire gli esuberi. In siffatti casi l'articolo 3 del Dpcm garantisce al lavoratore "trasferito" il trattamento economico e accessorio ove piu' favorevole, solo sulle voci fisse e continuative corrisposte dall'amministrazione di provenienza. Una definizione aleatoria in quanto tali voci non sono facilmente individuabili all'interno del trattamento economico fondamentale ed in quello accessorio.

Ma a prescindere dalla classificazione delle voci un altro passaggio duramente contestato è che il trattamento di miglior favore in godimento nell'ente di partenza viene garantito al dipendente con un assegno ad personam, che, però, ha natura riassorbibile con qualsiasi futuro aumento stipendiale. Questo significa che il dipendente si vedrà bloccata la sua retribuzione per anni, stante l'andamento dei rinnovi contrattuali e dei fondi per le risorse decentrate. Non solo. Il trattamento di miglior favore sarà riconosciuto solo in caso sia individuata la relativa copertura finanziaria, anche a valere sulle facoltà assunzionali dell'ente. 

In concreto, nei procedimenti di mobilità non volontaria, rischia quindi di non essere tutelata la progressione in carriera conseguita dai lavoratori in ragione della professionalità posseduta, requisito ritenuto finora equivalente al possesso del titolo di studio nei percorsi di riqualificazione professionale e di progressione verticale.

Una disposizione particolare è prevista per i segretari comunali e provinciali di fascia C, che dovranno essere collocati nella categoria o nell'area professionale più elevata presente nell'amministrazione di destinazione.

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