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Pensioni, Il Censis lancia l'allarme sugli assegni
A causa del sistema contributivo circa il 65% dei giovani occupati dipendenti 25-34enni di oggi avrà una pensione sotto i mille euro, pur con avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti.
Kamsin La 'generazione mille euro' avrà ancora meno a fine carriera. Oggi il 40% dei lavoratori dipendenti di 25-34 anni ha una retribuzione netta media mensile fino a mille euro. E in molti si troveranno ad avere dalla pensione un reddito più basso di quello che avevano a inizio carriera. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis.
Il Censis stima che il 65% dei giovani occupati dipendenti 25-34enni di oggi avrà una pensione sotto i mille euro, pur con avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti, considerando l'abbassamento dei tassi di sostituzione.
E la previsione riguarda i più 'fortunati', cioè i 3,4 milioni di giovani oggi ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard. Poi ci sono 890.000 giovani 25-34enni autonomi o con contratti di collaborazione e quasi 2,3 milioni di Neet, che non studiano né lavorano. Se continua così, sottolinea il Censis, i giovani precari di oggi diventeranno gli anziani poveri di domani.
Dall'indagine emerge inoltre che solo il 35% degli italiani ha paura di invecchiare: il 15% combatte gli effetti dell'invecchiamento e il 20% si rassegna. Il 65% invece non teme l'invecchiamento: perché lo considera un fatto naturale (53%) o perché pensa che invecchiando si migliora (12%).
A far paura è la perdita di autonomia. Pensando alla propria vecchiaia, il 43% degli italiani giovani e adulti teme l'insorgere di malattie, il 41% la non autosufficienza. E il 54% degli anziani fa coincidere la soglia di accesso alla vecchiaia proprio con la perdita dell'autosufficienza, il 29% con la morte del coniuge e il 24% con il pensionamento.
La fragilità legata all'invecchiamento terrorizza i giovani. Pensando a quando saranno anziani e bisognosi di cure, il 32% di giovani e adulti si preoccupa perché non sa bene che cosa accadrà, il 22% è incerto e disorientato, e solo il 16% si sente tranquillo, perché si sta preparando a quel momento con risparmi e polizze assicurative, o semplicemente conta sul supporto della propria famiglia.
In casa propria, accuditi dai familiari o da una badante: è questo oggi il modello di assistenza agli anziani non autosufficienti, sottolinea il Censis nella ricerca. Le badanti sono più di 700.000 (di cui 361.500 regolarmente registrate presso l'Inps con almeno un contributo versato nell'anno) e costano 9 miliardi di euro all'anno alle famiglie. Finora il modello ha funzionato, per il futuro però potrebbe non essere più così.
Sono 120.000 le persone non autosufficienti che hanno dovuto rinunciare alla badante per ragioni economiche. Il 78% degli italiani pensa che sta crescendo la pressione delle badanti per avere stipendi più alti e maggiori tutele, con un conseguente rialzo dei costi a carico delle famiglie. Per tanti l'impegno economico diventa insostenibile: 333.000 famiglie hanno utilizzato tutti i risparmi per pagare l'assistenza a un anziano non autosufficiente, 190.000 famiglie hanno dovuto vendere l'abitazione (spesso la nuda proprietà) per trovare le risorse necessarie, 152.000 famiglie si sono indebitate per pagare l'assistenza.
E sono oltre 909.000 le reti familiari che si 'autotassano' per pagare l'assistenza del familiare non autosufficiente. E anche quando si ricorre alla badante, l'85% degli italiani sottolinea che è comunque necessario un massiccio impegno dei familiari per coprire giorni di riposo, festivi, ferie, e altro.
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Zedde
Pensioni Scuola, M5S: il Governo prenda misure per le lavoratrici revocate
Il M5S denuncia come le lavoratrici del comparto scuola che hanno fatto causa contro l'abolizione del trattenimento in servizio ancora non siano state reintegrate in servizio dal Miur.
Kamsin "Attendiamo una risposta da parte del Ministro Poletti sulle cd. lavoratrici della scuola collocate in pensione d'ufficio dallo scorso primo settembre per via dell'abolizione del trattenimento in servizio". E' quanto recita un comunicato diffuso ieri da alcuni deputati del Movimento 5 Stelle.
La vicenda, ricordano i parlamentari Tripiedi e Cominardi, ha comportato l'abolizione della possibilità, per il personale della pubblica amministrazione e quindi anche per il personale della scuola, fra cui gli insegnanti che abbiano compiuto i 65 anni di età, di avvalersi di una proroga biennale del rapporto di lavoro previa istanza da presentare all'amministrazione di appartenenza. L'abrograzione ha travolto, peraltro, anche i provvedimenti di trattenimento già concessi dalle amministrazioni pubbliche, con effetti quindi retroattivi.
Alcuni di questi «revocati» - ricordano dal M5S - hanno proposto azioni giudiziarie, proprio con riferimento alla portata retroattiva della norma, che si presta a profili di incostituzionalità, in quanto incide su un diritto già riconosciuto e determina pregiudizi, anche gravi, di natura patrimoniale e non patrimoniale. È questo il caso di cinque insegnanti di scuole statali che hanno prestato servizio sino al giorno 1o settembre 2014, data in cui sono state costrette al collocamento in pensione, e che proprio per tale motivo hanno intentato ricorso presso il tribunale di Avezzano che ha riconosciuto loro il diritto ad essere riammesse sul posto di lavoro.
Per questa ragione abbiamo chiesto al Ministro del Lavoro, tramite un'interrogazione a risposta scritta presso la Commissione Lavoro delle Camera dei deputati (4-07147) come mai nonostante la sentenza emessa, le insegnanti non sono ancora state riammesse in servizio e se il Governo intende rivedere la propria posizione sul trattenimento in servizio.
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Zedde
Jobs Act, estese le tutele del contratto di ricollocazione
Non sarà più istituito presso l'Inps, ma presso il ministero del Lavoro, il Fondo per i contratti d ricollocazione, che ha una dote complessiva di 50 milioni per quest'anno e di 20 milioni per il 2016.
Kamsin Il Contratto di ricollocazione sarà esteso verso tutti i disoccupati, e non più solo ai lavoratori licenziati illegittimamente, come prevede lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri. Sono queste le modifiche concordate dal Governo e dalla Conferenza Stato Regioni, che ieri ha espresso il parere sullo schema di Dlgs di riordino degli ammortizzatori, istitutivo della Naspi (la nuova assicurazione sociale per l'impiego), che passa all'esame della Ragioneria, per andare alle commissioni Lavoro di Camera e Senato per il parere (non vincolante per il governo). Immutato il meccanismo. Il voucher sarà dato al lavoratore a condizione che si ponga a disposizione e cooperi con l'Agenzia per il lavoro (pubblica o privata accreditata), che sarà pagata solo a risultato ottenuto, cioè a ricollocazione avvenuta.
Intanto la commissione lavoro di Montecitorio dovrà esprimersi prima della prossima settimana sul decreto attuativo del nuovo modello di inserimento a tutele crescenti. E, fra le osservazioni e le integrazioni che finiscono nel testo stilato dal presidente e relatore Maurizio Sacconi (Ap), quella più rilevante stabilisce come con riferimento ai licenziamenti collettivi, il governo sia chiamato a valutare «l'opportunità di rivedere il regime sanzionatorio» (fissato nell'articolo 10, in cui si introduce una nuova forma di tutela) mediante il reintegro del posto di lavoro per i dipendenti «in caso di violazione dei criteri previsti dai contratti collettivi».
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Pensioni / Esodati, nel radar della Lega compaiono anche le quindicenni
La lega Nord chiede conto al ministro del Lavoro circa l'effettivo utilizzo del plafond relativo alle sei salvaguardie e l'estensione della tutela in favore dei lavoratori risultati esclusi.
Kamsin La Lega Nord ha presentato lo scorso 15 gennaio un'interrogazione in Commissione Lavoro presso la Camera dei Deputati (inter. numero 5-04475) al Ministro del lavoro Giuliano Poletti sull'effettivo uso dei fondi destinati ai cd. lavoratori salvaguardati. Lo fa sapere una nota diffusa dal partito guidato da Matteo Salvini. L'interrogazione, ricorda la Lega, è volta a conoscere l'esatto numero delle domande di pensione respinte.
I deputati leghisti Fedriga e Prataveria chiedono inoltre al Ministro del Lavoro conto dell'esaurimento prematuro del plafond relativo alla quarta salvaguardia e ricordano i fronti ancora aperti. In particolare secondo la Lega risulta necessario provvedere all'estensione della tutela anche nei confronti dei lavoratori collocati in mobilità in caso di fallimento dell'impresa che maturino i requisiti entro trentasei mesi dalla fine del periodo di mobilità, il personale ferroviario e marittimo, i cosiddetti quindicenni già soggetti rientranti nelle deroghe di cui all'articolo 2, comma 3, lettera a), del decreto legislativo n. 503 del 1992 (si tratta soprattutto di lavoratrici dimissionarie prima del 2007). In tal senso, ricorda la nota, la Lega aveva presentato un emendamento al decreto legge milleproroghe poi respinto dalla maggioranza.
Seguifb
Zedde
Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
secondo gli ultimi dati diffusi dall'Inps nel report – aggiornato al 27 ottobre 2014 – delle procedure di monitoraggio dei lavoratori esodati cosiddetti salvaguardati in base ai sei provvedimenti finora emanati, si rileva che:
con riferimento alla 1a salvaguardia sono state certificate 64.374 posizioni (a fronte di una platea di 65 mila beneficiari) e sono state liquidate 41.060 prestazioni;
sono scarsi i numeri relative alla 2a salvaguardia: su 35 mila posizioni da tutelare (per effetto della riduzione disposta con la sesta salvaguardia di cui alla legge n.147 del 2014 di 20 mila soggetti), le pensioni certificate sono state solo 16.920 e quelle liquidate solo 7.514, pari ad un quinto del contingente;
sono limitate anche le cifre relative alla 3a salvaguardia, relative ad un numero complessivo di 16.130 soggetti salvaguardabili, in relazione ai quali l'Inps ha certificato 7.344 pensioni e ne ha liquidate 5.102, meno della metà;
difficoltà dichiarate dallo stesso ente previdenziale emergono con riguardo alla 4a salvaguardia; esse riguardano 5 mila posizioni da salvaguardare (per effetto della riduzione del contingente operata con la sesta salvaguardia pari a 4 mila unità); l'Inps, infatti, ha certificato 5.815 pensioni, un numero superiore al plafond disponibile per legge. Nell'ambito, infatti, dei lavoratori che hanno fruito dei permessi di cui alla legge 104 del 1992, per assistere disabili l'Inps ha certificato oltre 4.800 aventi diritto a fronte di soli 2500 posti disponibili;
con riguardo alla 5a salvaguardia, su 17 mila posizioni salvaguardabili, l'Istituto ne ha certificate soltanto 2.814 ed ha liquidato 1.499 pensioni;
nessun dato c’è ancora, in merito alla sesta salvaguardia;
tale report denuncia che la questione dei lavoratori cosiddetti «esodati», nata a causa della riforma delle pensioni «Fornero», è tutt'altro che un capitolo chiuso, contrariamente a quanto affermato dal commissario dell'Inps, Tiziano Treu, in Commissione lavoro al Senato nel novembre 2014, secondo il quale tutti gli esodati sono stati salvaguardati; «sono finite, restano solo casi specifici»;
permangono, invece, ancora esclusi dalle varie misure di salvaguardia, ad esempio, i lavoratori collocati in mobilità in caso di fallimento dell'impresa che maturino i requisiti entro trentasei mesi dalla fine del periodo di mobilità, il personale ferroviario e marittimo, i cosiddetti quindicenni già soggetti rientranti nelle deroghe di cui all'articolo 2, comma 3, lettera a), del decreto legislativo n. 503 del 1992 –:
per ciascuna salvaguardia quanti siano i soggetti che hanno avanzato domanda e a quanti di loro sia stato negato il diritto alla salvaguardia stessa
Riforma Pensioni, Furlan: il ripristino delle quote è la soluzione migliore
La legge Fornero sulle pensioni "è la peggiore riforma della previdenza che il nostro Paese abbia conosciuto e va controriformata". Forse meglio "ritornare al sistema delle quote", varate dal governo Prodi, per flessibilizzare l'uscita dal lavoro. Kamsin A ribadire il giudizio è il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, chiudendo l'assemblea dei delegati del Lazio del pubblico impiego.
"La legge Fornero e' stata fatta in una notte, di nascosto, senza un incontro con il sindacato e senza differenziare tra lavoro e lavoro, creando migliaia e migliaia di esodati", spiega. Serve dunque rimetterci mano "introducendo elementi di flessibilità" per l'uscita dal lavoro. Per questo la confederazione proporrà "un mix di interventi, lasciando libertà al lavoratore rendendo flessibile l'età". La Cisl di recente ha dato, anche se in modo informale, parere favorevole all'ipotesi dell'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, sulla proposta di introdurre la cd. quota 100, proposta che tuttavia ha un costo molto elevato per le casse dello stato.
Per quel che riguarda i giovani, invece, dice ancora Furlan, "occorre agire sui coefficienti di calcolo, che sono sempre utilizzati in modo punitivo". Un piano, questo, su cui la Cisl chiede un confronto. "Chiediamo di fare tutto questo non in una notte e di nascosto, come hanno fatto, ma con il confronto. Abbiamo competenze che vogliamo offrire alla politica e alle istituzioni a tutti i livelli", conclude.
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Tfr in busta paga, ecco quanto si perde chiedendo l'anticipo
Incassare il trattamento di fine rapporto mensilmente da marzo 2015 a giugno 2018, invece di destinarlo a un fondo pensione, può ridurre notevolmente l'assegno integrativo del 10% ma la penalizzazione può sfiorare anche il 30 per cento.
Kamsin La monetizzazione del Tfr rischia di essere un bluff per i lavoratori. A guadagnarci sarà soprattutto lo stato. Perché sulle somme erogate in busta paga scatta l'applicazione della tassazione ordinaria (la stessa tassa della busta paga) invece di quella «separata», quella normalmente applicata al Ttr intascato a fine carriera. La legge di stabilità legge 190/2014 ha introdotto la possibilità di trasformare, per un periodo limitato di tempo, il trattamento di fine rapporto (Tfr) in una parte integrativa della retribuzione.
Un'opzione che può risultare utile per far fronte alle spese primarie di breve termine, al saldo delle varie imposte previste, e forse per determinare un incremento dei consumi. Tuttavia le conseguenze di questa scelta devono essere comprese in maniera chiara. Infatti la prestazione netta che il lavoratore potrebbe ricevere alla cessazione dal servizio da un fondo pensione si ridurrebbe, in alcuni casi anche in maniera drastica, qualora venisse richiesta l'erogazione del Tfr in busta paga. Senza contare che la tassazione applicata alle somme percepite in anticipo sarà piu' elevata. Il Tfr in busta paga viene, infatti, tassato come reddito da lavoro dipendente, sulla base, cioè, dell'aliquota marginale personale, l'anticipazione risulterà imponibile a un'aliquota pari al 23 per cento.
Un esempio per valutare. Un lavoratore con 20 mila euro di retribuzione annua ha diritto a una quota annua di Tfr di 1.381 euro. Se conserva la via tradizionale dell'incasso a fine carriera, incasserà un Tfr netto di 1.049 euro. Se dovesse scegliere la liquidazione in busta paga, invece, incasserà un Tfr netto di 925 euro rimettendoci dunque ben 124 euro che andranno all'erario.
E non è tutto, perché occorre anche considerare la perdita, come accennato, della rendita erogata dal fondo pensione a cui il TFR era destinato. Il mancato accredito del periodo 1° marzo 2015-giugno 2018 comporta, infatti, una temporanea mancata contribuzione nella sua storia previdenziale e, quindi, una rendita integrativa complessiva minore di quella che sarebbe stata elargita senza l'opzione monetizzazione.
Secondo i Consulenti del Lavoro se si confronta la prestazione finale con quella che il lavoratore otterrebbe qualora decidesse di ricevere dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018 il relativo Tfr in busta paga, la perdita, come si evince dalla tabella, può oscillare tra il 10 ed il 30% sulla prestazione integrativa. Il principio è chiaro: qualora gli accantonamenti di Tfr non siano destinati ai fondi pensione la prestazione finale netta maturata dal lavoratore sarà inferiore.
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Pensioni, Gnecchi: chiarire la vicenda dei prosecutori volontari ante 2007
L'onorevole Maria Luisa Gnecchi chiede in commissione lavoro della Camera dei Deputati al Governo di fare chiarezza sugli autorizzati ai volontari prima del 20 luglio 2007.
Kamsin Nuova interrogazione in Commissione Lavoro della Camera dei Deputati al Governo per fare luce sul destino degli autorizzati ai volontari prima del 20 luglio 2007. L'onorevole Maria Luisa Gnecchi (Pd) ha ripresentato al Ministro del Lavoro Poletti un'interrogazione per conoscere il numero esatto dei lavoratori e lavoratrici che si trovano in questa condizione ai sensi dell'articolo 1, comma 8 della legge 243/04.
La legge in parola infatti, risconosceva a tale soggetti, la possibilità di uscire con 57 anni e 3 mesi e 35 di contributi piu' una finestra mobile di 12 mensilità; l'avvento della Riforma Fornero del 2011 ha tuttavia ristretto fortemente la possibilità di avvalersi di tale beneficio limitandolo al rispetto dei vari paletti imposti dalle cd. salvaguardie. Una restrizione indebita secondo la Commissione lavoro in quanto la legge 243/04 aveva già stanziato le risorse per la concessione del pensionamento anticipato.
Il testo dell'interrogazione. Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali
— Per sapere – premesso che: già nella precedente legislatura sono stati presentati diversi atti di sindacato ispettivo, con i quali è stato più volte richiesto di fare chiarezza sui contributori volontari attivi ed autorizzati ante 20 luglio 2007 articolo 1, comma 8, legge 243 del 2004 e successive modifiche intervenute con la legge 247 del 2007, rispetto all'accesso alla salvaguardia prevista dall'articolo 24, comma 14, del decreto-legge 201 del 2011, nonché sulla relativa quantificazione di questa platea; a oggi non ha avuto ancora risposta l'atto di sindacato ispettivo 5-03401 presentato il 1o agosto 2014 con il quale si chiedeva quante sono state le pensioni liquidate negli anni 2011, 2012, 2013 e 2014 ai soggetti rientranti nella casistica sopracitata;
come più volte evidenziato la copertura finanziaria per i soggetti rientranti nell'articolo 1, comma 8, della legge n. 243 del 2004, come modificato della legge n. 247 del 2007, era già prevista dalle suddette leggi, così come peraltro stabilito dall'articolo 81 della Costituzione, vanno infatti assolutamente distinti gli oneri individuati per la salvaguardia prevista dal decreto-legge n. 201 del 2011 come convertito dalla legge 214 del 2011, che peraltro non ha abrogato le norme sopra richiamate –
: quanti siano i soggetti, non ancora in pensione, autorizzati alla contribuzione volontaria ante 20 luglio 2007 suddivisi per classi di età e anni di contribuzione.
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Riforma Pensioni, Pd: si acceleri per una settima salvaguardia e piu' flessibilità
Le Deputate del Pd della commissione Lavoro incalzano il Governo ad aprire un confronto serio per risolvere le questioni ancora aperte dalla Riforma Fornero del 2011. In primo piano ci sono ancora gli esodati.
Kamsin "E' necessario riaprire un 'cantiere previdenza', rimettere mano alla manovra Fornero per rendere flessibile l'uscita dal lavoro verso la pensione e per dare alle giovani generazioni prospettive previdenziali certe, oltre che maggiori spazi per trovare un lavoro". Lo dicono le deputate del Pd in commissione Lavoro Anna Giacobbe, Antonella Incerti e Patrizia Maestri a margine del question time che si è svolto oggi alla Camera in cui il Ministro Madia ha sostanzialmente chiuso le porte ad un provvedimento in favore dei cd. quota 96 della scuola.
"Sono ancora circa 49.000 gli esodati che si trovano ancora oggi senza lavoro e senza pensione. Nel frattempo si è sostanzialmente bloccato il ricambio generazionale, nei settori privati ed ancor più nella pubblica amministrazione. Va detto, inoltre, che i provvedimenti sulla previdenza del 2011 sono stati particolarmente pesanti per le donne, che si sono viste allungare la vita lavorativa per periodi sino a sei-sette anni, e per coloro che hanno iniziato a lavorare molto giovani. Per gli esodati è ormai urgente una settima salvaguardia con lo slittamento, intanto, di un ulteriore anno della decorrenza della pensione per l'accesso alla salvaguardia e l'estensione a lavoratori e lavoratrici in mobilità da aziende fallite o in mobilità edile: ed inoltre, soluzioni per il personale della scuola di "quota 96" e per gli operatori addetti all'esercizio ferroviario, superamento, anche oltre il 2017, delle penalizzazioni per l'accesso alla pensione prima dei 62 anni", aggiungono.
"Ci sono proposte di legge del Pd già presentate e altre che saranno depositate nei prossimi giorni. La nostra Capogruppo PD Luisa Gnecchi ha inoltre promosso una indagine conoscitiva sugli effetti dei provvedimenti previdenziali sulla condizione delle donne. Soprattutto, intendiamo incalzare il Governo affinché, dalle dichiarazioni positive del Ministro Poletti nelle settimane scorse, si passi ad un confronto stringente per individuare le risorse e costruire le soluzioni necessarie, anche attraverso un processo graduale, ma certo", concludono le parlamentari.
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Naspi 2015, così cambia l'importo dell'indennità di disoccupazione
Con la Riforma degli ammortizzatori sociali cambierà dal 1° maggio 2015 l'importo dell'idennità mensile spettante in caso di perdita involontaria del posto di lavoro.
Kamsin L'importo dell'indennità Aspi è destinato a cambiare a breve. Chi perde il lavoro a partire dal 1° maggio 2015 fruirà infatti della Naspi, il nuovo sussidio di disoccupazione coniato nel Jobs Act. Gli eventi di disoccupazione intervenuti sino al 30 Aprile 2015 saranno invece coperti dall'attuale Aspi. Vediamo dunque come cambia l'assegno per chi accederà all'ammortizzatore dal prossimo maggio.
Aspi. L’indennità mensile Aspi spettante a un lavoratore è determinata nel seguente modo. Prima di tutto è calcolata la «retribuzione media mensile» del lavoratore, quale risultato della seguente operazione: retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni (retribuzione imponibile esposta in UniEmens), divisa per il totale delle settimane di contribuzione e moltiplicata per il coefficiente 4,33.
A questo punto, per gli eventi di disoccupazione del 2015, l’indennità Aspi mensile è pari: a) al 75% della «retribuzione media mensile» nei casi in cui questa risulti pari o inferiore a 1.195,37; b) al 75% della «retribuzione media mensile» più il 25% della differenza tra la «retribuzione media mensile» e il predetto limite (1.195,37euro) nei casi in cui la «retribuzione media mensile» risulti di importo superiore a 1.195,37 euro.
In ogni caso l’importo della prestazione non può superare un limite massimo fissato ogni anno per legge (articolo unico, secondo comma, lett. b, legge n. 427/1980), che per l’anno 2014 è stato pari a euro 1.166,73 (euro 1.152,90 nell’anno 2013) e nel 2015 passa a 1.167,91 euro. Come visto il calcolo della indennità è disciplinato dalla legge su base mensile; l’Inps ha aggiunto che, nei casi in cui l’indennità da erogare al lavoratore riguardi un periodo di tempo inferiore, l’indennità va divisa per 30 al fine di determinare il valore giornaliero.
L’indennità Aspi così determinata viene erogata: a) in misura piena (al 100%) per i primi sei mesi di fruizione; b) in misura dell’85% (cioè con una riduzione del 15%) dopo i primi sei mesi e per altri sei mesi (fino a dodici mesi complessivi di fruizione dell’indennità); c) in misura del 70% (cioè con una riduzione del 30%) dopo il dodicesimo mese di fruizione e fino allo scadere del diritto all’indennità.
La Naspi. Diversamente da quanto accade attualmente, l'importo della Naspi sarà rapportato alla retribuzione imponibile previdenziale (quella, cioè, su cui sono stati versati i contributi) degli ultimi quattro anni. Infatti, l'importo sarà pari a tale retribuzione divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33, con i seguenti limiti:
1) se la retribuzione non supera i 1.195 euro mensili (dato valido per il 2015 da rivalutare annualmente), l'indennità mensile sarà pari al 75% di tale retribuzione;
2) se supera i 1.195 euro mensili, l'indennità mensile sarà pari al 75% della retribuzione più il 25% della differenza tra retribuzione e 1.195. L'indennità mensile, in ogni caso, non potrà superare 1.300 euro mensili (importo da rivalutare nel tempo). Dal quarto mese di fruizione l'indennità è ridotta del 3% al mese.
Anche la durata cambia. L'indennità spetta per metà delle settimane lavorate nei quattro anni antecedenti la disoccupazione. Con un tetto di un anno e mezzo dal 2017. In pratica l'ammortizzatore può durare sino ad un massimo di 24 mesi sino al 2016.
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Pensione Anticipata, Gnecchi: ora depenalizzare gli assegni già liquidati
L'onorevole Pd dalla Commissione Lavoro della Camera chiede al Governo di rimediare ai due errori contenuti nella legge di stabilità in materia di pensioni.
Kamsin Almeno due criticità che penalizzano soprattutto le lavoratrici donne devono essere affrontate il prima possibile. E' quanto chiedono alcuni deputati del Pd - capofila Maria Luisa Gnecchi - al Governo con una risoluzione approvata lo scorso Dicembre in occasione del via libera alla legge di stabilità 2015.
La depenalizzazione. In primo luogo c'è la questione della depenalizzazione degli assegni liquidati sino al 2014. Nella legge di stabilità 2015 è passato, infatti, un emendamento per disapplicare le suddette penalizzazioni almeno fino al 31.12.2017. Il Governo però ha riformulato l'emendamento originario togliendo le penalizzazioni solo per le pensioni con decorrenza dal 1° gennaio 2015. Mentre sono state lasciate per coloro che sono usciti entro il 2014. Dai dati forniti dall'Inps il taglio ha colpito 11.825 donne e 3.338 uomini da gestioni private e 9.432 donne e 772 uomini da gestioni pubbliche.
La riformulazione del Governo limitando quindi la cancellazione delle penalizzazioni dall'1.1.15 colpisce 21.257 donne e 4.110 maschi i cui trattamenti continueranno ad essere tagliati "a vita". Ancora una volta, dunque, sono le donne ad essere più penalizzate; la conseguenza sarà inevitabilmente l'attivazione di contenzioso in sede giudiziaria da parte di coloro che hanno subito la penalizzazione sul calcolo della pensione.
Il tetto agli assegni. L'altra questione riguarda l'introduzione del tetto alla crescita degli assegni per chi era nel retributivo sino al 2011. Questa modifica ha l'obiettivo di evitare che la misura della pensione risulti essere superiore alla pensione calcolata con le regole vigenti fino al 31.12.11. Va ricordato che il requisito minimo per la pensione di anzianità era 40 anni di contributi e la pensione veniva calcolata fino al massimo di 40 anni, per la prima volta nella storia previdenziale la manovra Fornero ha previsto due requisiti contributivi diversi per uomini e donne, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne. Esisteva una differenza di età per la pensione di vecchiaia, ma mai una differenza di requisito contributivo.
Dato che tale misura comporta che per il calcolo della prestazione pensionistica si prenderà a riferimento il requisito minimo di accesso alla pensione anticipata, non tenendo conto dei contributi versati oltre tale limite, si creerà l'assurda situazione che a parità di contribuzione versata, per esempio 43 anni, per una donna verranno utilizzati per il calcolo solo 41 anni e sei mesi di contribuzione mentre per l'uomo 42 anni e sei mesi, realizzando una palese discriminazione nei confronti delle donne.
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