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Notizie

Pensioni

Pensioni, lo stop all'arrotondamento dell'anzianità contributiva scatta da Maggio

Franco Rossini Sabato, 16 Maggio 2015
L'Inps salvaguarda la possibilità di mantenere l'arrotondamento dell'anzianità contributiva nei confronti dei dipendenti pubblici già usciti dal lavoro prima del 30 Aprile 2015.

Kamsin Lo stop all'arrotondamento dell'anzianità contributiva nei confronti dei dipendenti pubblici scatta a partire dal 1° maggio. Lo precisa l'Inps con il messaggio 3305/2015 con il quale integra le disposizioni già fornite con il messaggio 2974/2015 pubblicato lo scorso 30 Aprile 2015.

A partire da tale data non è piu' possibile attivare l'arrotondamento previsto originarimente dall'articolo 59 della legge 449/1997 che consente, com'è noto, di arrotondare alla frazione di mese l’anzianità contributiva per gli iscritti alle gestioni esclusive dell’A.G.O (cioè i dipendenti pubblici) - per i quali la contribuzione è calcolata in anni, mesi e giorni.

Secondo l'istituto, però, i criteri di arrotondamento in uso antecedentemente alla data di pubblicazione del messaggio 2974/2015 continuano a trovare applicazione nei confronti di coloro che al 30 Aprile 2015 abbiano già risolto il rapporto di lavoro ovvero abbiano un preavviso in corso. Cio' non per non pregiudicare il pensionamento di coloro che sono già usciti dal lavoro o sono in procinto di farlo. 

Resta inteso, inoltre, che l'arrotondamento continuerà a trovare applicazione nei confronti delle lavoratrici che chiedono l'opzione donna (i 35 anni di contributi possono essere quindi perfezionati con 34 anni, 11 mesi e 16 giorni di servizio), nei confronti dei salvaguardati ( 40 anni di contributi arrotondabili a 39 anni, 11 mesi e 16 giorni di servizio) e nel requisito contributivo necessario per conseguire la pensioni di inabilità (ad eccezione di quella prevista dall’art. 2, comma 12 della Legge n. 335/1995). 

Per quanto riguarda la liquidazione degli assegni straordinari a carico del Fondo a sostegno del reddito e dell’occupazione per il personale delle Società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, i criteri di arrotondamento, come precisati nel messaggio Hermes n. 2974 del 30 aprile 2015, si applicano esclusivamente agli assegni straordinari aventi decorrenza a partire dal 1° giugno 2015.

Documenti: messaggio inps 3305/2015

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Zedde

Pensioni

Decreto Rivalutazione Pensioni, Renzi conferma: i rimborsi saranno solo parziali

redazione Sabato, 16 Maggio 2015
La Decisione del Governo potrebbe essere rimandata a dopo lo svolgimento delle elezioni amministrative. Damiano: rivalutare le pensioni di lavoro.

Kamsin Lunedì si saprà con maggiore chiarezza come il Governo intenderà dare esecuzione alla Sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 che ha dichiarato illegittima la rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps (oltre cioè i 1450 euro lordi al mese). Ieri mattina il ministro dell'Economia PierCarlo Padoan avuto un lungo incontro a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi per studiare le carte. Per ora sul piatto ci sono solo ipotesi che tuttavia hanno un minimo comune denominatore: i rimborsi saranno parziali. Una buona fetta dei 5milioni di pensionati coinvolti nel blocco biennale della perequazione tra gli anni 2012-2013 non vedrà la restituzione di quanto dovuto. 

L'obiettivo del Governo è infatti quello di limitare i danni garantendo una rivalutazione progressiva in base all'importo dell'assegno con una percentuale di indicizzazione inferiore a quella rimessa in pista dalla Consulta (90% sugli assegni sino a 5 volte il minimo e 75% oltre tale importo come prescrive la legge 388/2000 "Finanziaria 2001"). Probabilmente, soprattutto, ci sarà un tetto oltre il quale l'assegno non sarà piu' rivalutato. Le cifre e le soglie però non sono note.

La linea è stata dettata del Premier ieri: «restituiremo solo una parte dei soldi di queste pensioni» ma ha comunque escluso che si possa giungere già lunedì all'approvazione definitiva del decreto legge sulle pensioni. Secondo il premier «bisogna ripensare un modello di organizzazione delle pensioni, lo faremo nei prossimi giorni e mesi» ha detto. «Il governo Monti - ricorda il Premier - ha bloccato l'indicizzazione in modo considerato incostituzionale noi stiamo studiando come superare il limite rispettando le esigenze di bilancio sapendo che questi soldi non andranno i pensionati da 700 euro al mese. Perché la mia preoccupazione è per chi prende poco, poco, poco. Negli ultimi tempi ci stiamo specializzando nel risolvere i problemi creati da altri».

L'ipotesi di procedere a rimborsi parziali è tuttavia duramente contestata da quasi tutte le forze di opposizione. La Lega Nord ha previsto barricate in Parlamento per non far passare la misura finché il governo non provvederà a dare piena esecuzione alla Sentenza della Consulta. Salvini chiede anche di rimettere mano anche alla legge Fornero che dimostra, con la decisione della Corte, come ormai «faccia acqua da tutte le parti». Piu' morbida la linea della minoranza Dem che non è contraria tout court all'ipotesi di rimborsi ancorati all'importo dell'assegno purchè si riconosca a tutti, con una percentuale progressivamente minore, comunque una crescita.

In ogni caso serve prima un confronto con le parti sindacali osserva il Presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano. L'ex ministro ricorda le storture del blocco: «una coppia coniugata con due assegni di 1400 euro lordi al mese ha ottenuto, su entrambe le prestazioni, la piena indicizzazione all'inflazione nel biennio 2012-2013. Ma se nella stessa coppia avesse lavorato solo il marito per 40 anni, raggiungendo così una prestazione lorda di 2800 euro al mese con la quale mantiene anche la moglie, a costui abbiamo sottratto in questi anni piu' di 5 mila euro e stiamo erogandogli una pensione di circa oltre 1500 euro l'anno piu' bassa di quanto gli sarebbe stato corrisposto senza il blocco. E' evidente quindi che le pensioni di lavoro devono essere salvaguardate entro un limite molto piu' elevato di quanto si legge sui giornali» ha concluso Damiano.

seguifb

Zedde

Pensioni

Rimborsi Pensioni, Ecco quanto spetta dopo la decisione della Consulta

Bernardo Diaz Sabato, 16 Maggio 2015
E' possibile simulare quanto dovrà essere corrisposto ai pensionati titolari di prestazioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps nel 2012

Kamsin La sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 che ha sbloccato l'indicizzazione degli assegni nel biennio 2012-2013 superiori a tre volte il trattamento minimo inps (1.404 euro lordi) porterà diversi denari nella tasche dei pensionati italiani. Come già anticipato sulle pagine di questo giornale l'effetto sarà mediamente pari a poco piu' di mille euro in piu' l'anno per gli assegni dai 1500 ai 1800 euro lordi per poi salire gradualmente al crescere dell'importo base dell'assegno, senza alcun limite. Ed è proprio questo il problema. Lo stralcio del comma 25 dell'articolo 24 del Dl 201/2011 operato dalla Consulta produce effetti nei confronti di tutti gli assegni, anche quelli d'oro che vedrebbero così cifre molto superiori.

Si pensi infatti che un assegno di 4mila euro al mese dovrebbe ricevere ben 2.500 euro l'anno in piu', mentre uno da 5 mila (circa 10 volte il trattamento minimo inps) dovrebbe vedersi restituiti almeno 3mila euro all'anno. Una distorsione che, da quanto si apprende, sarà corretta dal Governo attraverso un decreto legge ad hoc al quale stanno già lavorando i tecnici del MEF e dell'Inps. In pratica si introdurrà un "tetto" oltre il quale la rivalutazione del biennio 2012-2013 non sarà piu' riconosciuta riducendo, di conseguenza, gli oneri per lo Stato.

Per aiutare i lettori a districarsi in questa materia abbiamo dunque elaborato un apposito programma, qui sotto disponibile, che consente rapidamente di simulare, previo inserimento del valore dell'assegno prima del blocco dell'indicizzazione, cioè nel 2011, quanto deve essere restituito dall'Inps ai pensionati per tutto il periodo in cui ha operato questa norma, cioè dal gennaio 2012 al maggio 2015, e quanto dovrà essere corrisposto a partire dal 1° giugno 2015. Già perchè l'aumento verrà acquisito nel valore dell'assegno in via permanente. Si precisa che la cifra che viene visualizzata nel programma è al lordo delle ritenute fiscali e non considera, per quanto riguarda i rimborsi, gli interessi che l'istituto dovrà corrispondere a norma di legge.

Aggiornamento del 25 Maggio. Il Governo ha varato il decreto legge 65/2015 con il quale, sostanzialmente, non ha riconosciuto alcuna indicizzazione per gli assegni superiori a 6 volte il minimo inps ed un bonus molto ridotto per gli assegni ricompresi tra 3 e 6 volte il minimo il 1° Agosto 2015. Qui è possibile verificare in anteprima a quanto ammonteranno i rimborsi stabiliti dal Governo.

seguifb

Zedde

Lavoro

Delega Pa, Madia: i dirigenti pubblici potranno essere licenziati solo per demerito

redazione Venerdì, 15 Maggio 2015
Il Ministro Madia precisa che la licenziabilità del dirigente sarà subordinata ad una precisa cattiva valutazione. Non sarà sufficiente restare senza incarico.

Kamsin Rimanere senza incarico non comporterà necessariamente la decadenza dal ruolo unico dei dirigenti. E quindi il licenziamento. Lo ha precisato il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, intervenendo in Commissione Affari Costituzionali alla Camera sull'avvio dell'iter in seconda lettura del ddl di riforma della pubblica amministrazione. Per diventare licenziabili «dovrà esserci stata una cattiva valutazione, un demerito» ha spiegato la Madia che ha anche aggiunto come l'obiettivo del Governo fosse quello di chiarire il punto «nel decreto attuativo ma se ci sarà bisogno potremo anche precisarlo alla Camera».

Il Ministro precisa che «non si esce dal ruolo perché magari si arriva secondi a un interpello. Non basta non essere stati selezionati ma occorre anche avere una valutazione negativa rispetto agli incarichi precedentemente svolti». Il ministro ha anche evidenziato che in seguito sarà meglio definito cosa si intende per cattiva valutazione. 

Quindi nel passaggio alla Camera potrebbe essere specificato il meccanismo da cui dipende la licenziabilità del dirigente pubblico, intervenendo sul testo attuale della delega che per ora parla solo di decadenza dal ruolo unico a seguito di un determinato periodo di collocamento in disponibilità.

Del resto il piatto forte della delega sulla Pa è proprio quello della Riforma della dirigenza pubblica. In futuro tutti i canali per accedere a queste posizioni saranno accentrati a livello centrale con un corso-concorso o con un concorso; in entrambi i casi si potrà accedere solo con la laurea magistrale e l'esito delle procedure non darà vita alle graduatorie di idonei. I vincitori entreranno nei ruoli unici e saranno chiamati dalle amministrazioni statali, regionali e locali per un periodo di tre anni, rinnovabili per una volta. Viene inoltre imposto un tetto agli stipendi, lo stop agli automatismi di carriera e la responsabilità piena delle scelte gestionali adottate.

Quanto alle riserve mosse dai tecnici di Montecitorio sul rischio di precarizzazione della dirigenza a causa della mancanza di un termine minimo per la durata degli incarichi, Madia ha risposto: «la precarizzazione non la vedo nella durata degli incarichi», aggiungendo come la puntualizzazione sulla licenziabilità possa anche rassicurare da questi timori.

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Zedde

Lavoro

Tempo Indeterminato, il bonus contributivo fa decollare i contratti stabili. A marzo +115mila

redazione Venerdì, 15 Maggio 2015
Dal confronto con il 2014 le assunzioni a tempo indeterminato sono cresciute del 24,1% sul primo trimestre 2014. Il bonus contributivo utilizzato tra gennaio e marzo ha raggiunto quota 155 milioni di euro.

Kamsin Crescono i contratti a tempo indeterminato nei primi mesi del 2015. Lo segnalano i dati pubblicati dall'Osservatorio Inps sul precariato. Il combinato disposto tra sgravi fiscali e Jobs Act cominciano a produrre effetti: nel primo trimestre 2015 —rispetto allo stesso periodo dello scorso anno — sono stati creati 49.972 nuovi posti di lavoro. Un'occupazione stimolata soprattutto grazie allo sgravio contributivo introdotto con la legge di Stabilità che ha concesso l'esonero dal pagamento dei contributi per i primi tre anni (fino a 8.060 euro). I dati Inps indicano certificano anche il calo dei contratti a termine (-32.117 contratti) e delle assunzioni di apprendisti (-9.188). Una sequenza di cifre che spinge il governo all'ottimismo, ma sulle quali la parte sindacale non reputa soddisfacente «I dati ci dicono che la strada da percorrere è ancora lunga — ha commentato il premier Renzi - ma la macchina finalmente è ripartita: dopo cinque anni di crollo costante tornano a crescere gli occupati».

Sul fronte sindacale, infatti, per Serena Sorrentino (Cgil)«non ci troviamo di fronte ad una vera svolta, ma a un grande regalo alle imprese e a meno diritti per i lavoratori». Mentre per Gigi Petteni (Cisl) «i dati Inps ci fanno dire che bisogna fare qualcosa di concreto anche nel 2016 stabilizzando gli incentivi e la decontribuzione affinché queste tipologie contrattuali continuino a crescere». Scettico anche il leader della Uil Carmelo Barbagallo: «Nelle oscillazioni continue di cifre è il giorno dell'ottimismo. Sei dati fossero confermati dall'Istat, anche noi saremmo contenti, ma questo percorso è stato costruito con una riduzione delle tutele». Ribatte alle accuse mosse dai sindacati, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: «Fino a sei mesi fa la precarietà era un dramma sociale che andava combattuto. Adesso se trasformi 100mila contratti da precari a stabili non conta niente. Continuo a pensare che portare 100mila giovani ad avere un contratto stabile e a tempo indeterminato sia una gran bella cosa».

«Il fatto positivo — ha commentato Tito Boeri, presidente dell'istituto — è che il lavoro tende ad essere più stabile che in passato. Ma per sapere se l'occupazione aumenta o meno bisognerà aspettare i dati Istat di inizio giugno». L'Inps ricorda infatti che le sue rilevazioni riguardano solo l'occupazione da lavoro dipendente, non da lavoro autonomo né da irregolare. Il dato fornito, quindi, può sembrare in contraddizione con quello Istat (a marzo 70.000 occupati in meno rispetto a marzo 2014): in realtà si tratta di informazioni differenti, dato che quello dell'Istituto di statistica è a campione e riguarda tutto l'universo del lavoro, compreso quello autonomo e irregolare.

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Zedde

Altro...

Riforma Pensioni, Poletti svela le due proposte allo studio del Governo

redazione Venerdì, 15 Maggio 2015
Il Ministro del Lavoro passa in rassegna gli interventi all'esame del Governo per favorire la staffetta generazionale e l'accompagnamento alla pensione di coloro che hanno perso il lavoro.

Kamsin Un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro, magari con penalizzazioni, a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva; un prestito pensionistico per chi ha perso il posto di lavoro ma non ha ancora compiuto l'età pensionabile con obbligo di restituzione delle somme una volta conseguita la pensione. Sono queste le due misure allo studio del Governo per riformare la legge Fornero secondo quanto dichiarato ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in risposta ad una interrogazione dell'Onorevole Gnecchi (Pd).

Il Ministro del Lavoro conferma che il Governo sta completando lo studio di due tipologie di misure: da un lato favorire il ricambio generazionale dall'altro risolvere «prioritariamente» le difficoltà delle persone che, a seguito degli effetti della «riforma Monti-Fornero» e della crisi economica, si sono trovate senza lavoro e non hanno ancora maturato i requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico.

Quanto al primo ordine di interventi Poletti ha indicato che è «stata già avviata un'attenta riflessione sulle misure volte a favorire la cosiddetta staffetta generazionale. In tale direzione, vi sono attualmente numerose ipotesi in campo e il Governo sta individuando le soluzioni più idonee nella consapevolezza delle difficoltà legate alle possibili fonti di copertura.» L'obiettivo secondo Poletti  è predisporre «interventi normativi finalizzati a prevedere forme di flessibilità di pensionamento che possano, così, favorire il ricambio generazionale».

Il Ministro annovera esplicitamente tra le possibili linee di intervento:
   a) l'introduzione di un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva;
   b) l'introduzione di un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro, con penalizzazioni, a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva. Questa ipotesi dovrebbe prevedere che al trattamento pensionistico venga applicata una riduzione sulla quota calcolata con il sistema retributivo pari ad una certa percentuale per ogni anno mancante all'età di vecchiaia.

Sostanzialmente si tratta delle stesse proposte all'esame della Commissione Lavoro della Camera (ddl 857 e ddl 2945 promossi dall'ex-ministro del Lavoro, Cesare Damiano)

Quanto alle misure di sostegno al reddito il Ministro ha fatto presente «che si sta valutando anche la possibilità di introdurre, in via sperimentale e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, un assegno di pensione anticipata alternativo alle prestazioni di sostegno al reddito. Tale strumento - prosegue Poletti - sarebbe in grado di colmare il gap temporale esistente tra la cessazione degli interventi di sostegno al reddito e il raggiungimento dei requisiti per l'accesso al pensionamento, consentendo ai lavoratori dipendenti la possibilità di percepire un assegno temporaneo fino al perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia, con successiva restituzione da parte del pensionato della somma complessivamente percepita».

Per il reperimento delle risorse necessarie a finanziare tali interventi il Ministro ha indicato che si può anche valutare di reintrodurre il divieto  di cumulo fra redditi da pensione e redditi da lavoro: «Nell'ambito dell'approfondimento in atto sul tema, tali proposte potranno essere valutate e concorrere con le altre ipotesi in campo al fine di adottare misure che possano favorire quanto più è possibile le nuove generazioni» ha concluso Poletti.

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Zedde

Parasubordinati, i nuovi importi delle indennità di malattia

Paolo Ferri Venerdì, 15 Maggio 2015
Per malattia e degenza ospedaliera nel corso del 2015 aumentano le prestazioni a vantaggio di chi è nella gestione separata.

Kamsin L'Inps, con una recente circolare, ha comunicato i nuovi importi dell'indennità giornaliera per gli eventi di malattia verificatisi nel 2015. I lavoratori iscritti alla Gestione separata nei casi di malattia di durata non inferiore ai 4 giorni hanno diritto a un'indennità giornaliera erogata dall'Inps. Destinatari della tutela sono i lavoratori a progetto e categorie assimilate (collaboratori coordinati e continuativi e occasionali), non iscritti ad altre forme previdenziali e non titolari di pensione.

Dal 2012 la prestazione è stata estesa anche ai liberi professionisti iscritti alla Gestione separata. Per ottenere l'indennità è necessario: a) far valere almeno 3 mesi di contributi accreditati nella Gestione separata nei 12 mesi precedenti l'inizio della malattia; b) aver conseguito, nell'anno solare precedente la malattia, un reddito non superiore a un determinato limite (€ 70.086,10 nel 2014).

L'importo giornaliero dell'indennità non è fisso, ma varia in base al numero delle mensilità di contribuzione accreditate nei 12 mesi precedenti. La domanda per il pagamento dell'indennità va presentata all'Inps entro un anno dal termine della malattia.

In caso di ricovero, agli iscritti alla Gestione separata è riconosciuta, in aggiunta all'indennità di malattia, anche un'indennità di degenza. Questa prestazione spetta ai collaboratori, ai liberi professionisti e agli associati in partecipazione.

L'indennità giornaliera è corrisposta alle stesse condizioni previste per l'indennità di malattia ed è pari al doppio dell'importo di quest'ultima. Il periodo indennizzato è pari al numero dei giorni di ricovero, nel limite di 180 giorni per anno solare. Il termine di presentazione della domanda è di 6 mesi dalla data di dimissione ospedaliera.

Per l'indennità di malattia giornaliera si ha diritto a 10,99 euro se nei 12 mesi precedenti l'evento risultano accreditati da 3 a 4 mesi di contribuzione; si sale a 16,49 euro se i mesi con contributi sono da 5 a 8, per arrivare a 21,99 euro se le mensilità sono da 9 a 12. In caso di degenza ospedaliera, invece, l'indennità va da un minimo di 21,99 euro (con accrediti contributivi da 3 a 4 mesi), a 32,98 (accrediti per 5-8 mesi), fino a un massimo di 43,98 euro (da 9 a 12 mesi).

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Zedde

A cura di Paolo Ferri - Patronato Acli

Decreto Pensioni, lunedì pronte le linee guida. Il provvedimento ufficiale slitta a fine mese

redazione Venerdì, 15 Maggio 2015
Zanetti:"Se si dovesse fare tutto in fretta presentando lunedì il dl definitivo l'unica scelta sarebbe quella di inserire la sola gradualità in base all'entità dell'assegno".

Kamsin L'affaire rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps (oltre cioè i 1450 euro lordi al mese) non sarà deciso a breve. Nel consiglio dei ministri di lunedì prossimo il Governo avrebbe in programma infatti la discussione delle sole linee guida ma il decreto vero e proprio (che fisserà tempi, soglie e modalità di rimborso) sarà adottato tra qualche settimana. A fine maggio o agli inizi di giugno. Fonti vicine all'esecutivo fanno sapere che serve maggior tempo per studiare le coperture per restituire i denari sottratti con il blocco nel biennio 2012-2013 dell'indicizzazione degli assegni cassato dalla Consulta. Il sospetto è comunque che si voglia far passare la tornata elettorale per sterilizzare gli effetti di una decisione impopolare sulle urne. 

Il Viceministro Morando ha indicato l'altro giorno in Senato infatti la strada da seguire: una sorta di equilibrismo tra i rilievi della Consulta e le esigenze di bilancio dello Stato. Non c'è alcun obbligo, afferma Morando, di restituire tutto a tutti: se così si facesse, rispettando alla lettera la decisione della Corte, si creerebbe un buco nel bilancio e salterebbe la regola del debito ed il deficit del 3% concordato con l'Ue.

L'ipotesi suggerita da Morando è invece quella di rimuovere le due ragioni che hanno portato la Corte a bocciare la normativa: perché «sospendeva l'indicizzazione per due anni e non per uno, come era accaduto in precedenza»; e perché il blocco riguardava anche pensioni più basse rispetto agli interventi del passato e non prevedeva un'applicazione progressiva, in base al reddito, dei tagli alla rivalutazione. In sostanza per rispondere alla sentenza l'esecutivo da un lato dovrebbe prevedere un meccanismo di indicizzazione decrescente al salire del reddito pensionistico e alzare la soglia oltre la quale non si prende nulla. Dall'altro però potrebbe limitarsi a restituire l'indicizzazione persa per uno solo dei due anni di blocco e non per entrambi.

Il metodo è condiviso anche dal sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti di Scelta Civica che ha sottolineato come "per avere il tempo di prevedere una progressività non solo a partire dagli assegni superiori a tre volte il minimo, fino ad una certa soglia che Sc indica a 5mila euro lordi (circa 10 volte il trattamento minimo), ma anche per una gradualità che tenga conto dell'allineamento tra assegno e contributi servono ancora alcune settimane di tempo".

Da qui la considerazione che, aggiunge, "il compromesso ideale, non per motivi elettorali ma per una reale equità, sia varare al cdm di lunedì delle norme procedurali sulle pensioni senza cifre ma solo i criteri generali della gradualità rinviando di qualche settimana la soluzione definitiva con soglie e relative coperture".

Inoltre "per inserire il principio della progressività anche in base all'allineamento con i contributi serve un po' di tempo in più per fare i calcoli necessari, assicurando però una decisione finale che non sia a rischio iniquità".

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Pensioni, Poletti: servono nuove risorse per tutelare gli esodati

redazione Venerdì, 15 Maggio 2015
Secondo il Ministro del Lavoro è necessario un apposito intervento normativo per tutelare gli esodati rimasti fuori dalla IV e VI salvaguardia per l'esaurimento dei posti disponibili.

Kamsin Il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti ha risposto ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati all'interrogazione sollevata dagli Onorevoli Fedriga e Simonetti (Lega Nord) sull'insufficienza dei posti relativi ai lavoratori che assistevano disabili nel 2011 destinatari della IV e VI salvaguardia (atto 5-05507).

Il Ministro ha indicato che con specifico riferimento alla quarta salvaguardia, dai dati forniti dall'INPS lo scorso 3 aprile, «risulta che sono state certificate 4.886 posizioni, a fronte di una platea di 2.500 lavoratori salvaguardabili prevista dall'articolo 11-bis del decreto-legge n. 102 del 2013. A tale proposito il Governo, consapevole della rilevanza del problema, ha ampliato attraverso la sesta salvaguardia (introdotta dall'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge n. 147 del 2014), di altre 1.800 unità la platea di tali lavoratori».

Per quanto riguarda i lavoratori appartenenti a tali categorie che non hanno potuto beneficiare delle salvaguardie, Poletti ricorda che l'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012, ha previsto «l'istituzione di un Fondo in cui dovranno confluire le eventuali economie aventi carattere pluriennale rispetto agli oneri programmati per l'attuazione delle operazioni di salvaguardia in corso e le cui risorse saranno destinate al finanziamento di ulteriori misure di salvaguardia».

Il comma 3 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 102 del 2013 ha previsto che i risparmi di spesa complessivamente conseguiti a seguito dell'adozione delle misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico (di cui al comma 18 dell'articolo 24 della legge 22 dicembre 2011, n. 214) confluiscono nel richiamato Fondo per essere destinati al finanziamento di misure di salvaguardia pensionistica.

In conclusione il Ministro ha indicato che le «criticità segnalate possono trovare una soluzione definitiva mediante l'adozione di una specifica disposizione normativa per cui è necessaria reperire la specifica copertura finanziaria, sebbene la platea dei lavoratori in parola, a differenza di molti altri, dispone di un reddito derivante da lavoro».

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Zedde

Rivalutazione Pensioni, Morando al Senato: non restituiremo tutto. Documento

redazione Giovedì, 14 Maggio 2015

Riportiamo le dichiarazioni ufficiali del Vice ministro dell'economia e delle finanze Morando rilasciato ieri, in Commissione Bilancio al Senato, sugli effetti, sul bilancio dello Stato, delle recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di Robin tax e di rivalutazione delle pensioni. Kamsin Il vice ministro ha indicato alla Commissione che il Governo non ha ancora assunto delle determinazioni sulle puntuali modalità di adempimento del dispositivo della sentenza in materia di rivalutazione delle pensioni, cosa che avverrà nelle prossime settimane. Ma ha avvertito che la decisione della Consulta lascia spazio di manovra al Governo per non restituire quanto sarebbe dovuto.

Cio' perchè, a detta del Viceministro, la sospensione introdotta con il Salva Italia nel 2011 ha avuto una durata biennale ed ha inciso anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato a differenza di quanto previsto dalla normativa precedente e a quella successiva che la Corte stessa ribadisce di considerare legittime. Pertanto secondo Morando, la sentenza della Corte può e deve essere pienamente rispettata attraverso un intervento che rimuova quelle componenti dell’intervento del dicembre 2011 che la Corte censura.

Dal punto di vista tecnico, la vicenda si è originata con il decreto-legge n. 201 del 2011, la cui relazione tecnica è, dunque, la base di riferimento per la quantificazione dell'ammontare di risorse coinvolto. Dato il rilievo che l’intervento sulla parziale deindicizzazione delle pensioni aveva per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, la relazione stessa illustra la platea degli interessati e definisce i risparmi attesi, sia al lordo, sia al netto del prelievo IRPEF.

Nel dettaglio si tratta, per l'anno 2012 di 3,8 miliardi lordi e 2,9 miliardi netti, per l'anno 2013 di 6,7 miliardi lordi e 4,9 netti, per l'anno 2014 di 6,7 miliardi lordi e 4, 9 netti, per l'anno 2015 6,6 miliardi lordi e 4,9 netti, con andamento analogo negli anni successivi, per arrivare al 2018, quando l'onere è quantificato in 6,4 miliardi lordi e 4,7 miliardi netti.

La relazione  metteva quindi in aperta evidenza che l’intervento di "blocco" dell’adeguamento 2012-2013 aveva un effetto permanente  di riduzione della spesa previdenziale, pari, al netto delle imposte, a più di 4,5 miliardi l’anno (la relazione tecnica limita l’esame al 2018, ma è evidente che gli effetti erano destinati a perdurare anche oltre questa data). La relazione tecnica originaria viene aggiornata, al momento del passaggio da una Camera all’altra, dopo ciascuna lettura: si chiama "relazione tecnica al passaggio": sulla questione che qui interessa, la tabella originaria subisce una rilevante modificazione.  Per l'anno 2012 si hanno, infatti,  2,4  miliardi lordi e  1,8 netti, per l'anno 2013, 4,2 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2014, 4,2 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2015, 4,1 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2016 4,1 lordi e  3,0 netti, per l'anno 2017, 4,1 lordi e  3 netti,  per l'anno 2018,  4 lordi e 2,9 netti.

Questi mutamenti sono stati determinati dalla diversa definizione dei presupposti del calcolo. La relazione tecnica originaria assumeva a base la quota percentuale del monte pensioni corrispondente a pensioni superiori a due volte il minimo INPS: si trattava di circa il 76,5 per cento di tale grandezza. Nella relazione tecnica di passaggio la quota è quella relativa a pensioni superiori a tre volte il minimo: circa 54 per cento del monte pensioni pagato e da pagare nel 2011 e nel 2012. Non è un particolare di poco conto: il "peso" del blocco, che prima gravava su tre euro ogni quattro del monte pensioni complessivo, ora grava su un euro ogni due.

Governo e Parlamento avevano dunque tenuto ben presente l’esigenza di contemperare i due obiettivi in gioco: realizzare subito importanti risparmi di spesa, per evitare il possibile collasso finanziario, senza penalizzare gli interessi della platea dei pensionati più poveri, se conferma il rilievo della misura di "blocco" dell’adeguamento rispetto alla correzione complessiva del tendenziale realizzata dal decreto-legge (del resto resa evidente anche dal prospetto riepilogativo collocato dalla Ragioneria generale dello Stato in apertura della relazione tecnica di passaggio), ma si dà conto di significative variazioni intervenute nella lettura parlamentare del decreto-legge.

Risulta quindi acclarato che, in sede di conversione, è dato riscontrare non solo la presenza della documentazione tecnica circa le "attese maggiori entrate", di cui parla la sentenza,  (che sono però da intendersi come "minori spese"), ma anche lo sviluppo di un confronto politico circa i caratteri dell’intervento e il suo impatto sociale. Si può dunque concludere che la dialettica Governo-Parlamento si sia pienamente sviluppata proprio sul tema del ragionevole equilibrio tra "esigenze finanziarie" (sottolineate dal Governo con la decisione di "coprire" con l’indicizzazione al 100 per cento le pensioni fino a due volte il trattamento minimo) e i "diritti oggetto di bilanciamento". Equilibrio - malgrado la forte correzione introdotta (il monte pensioni pagate interessato dal blocco ridotto del 25 per cento circa) -  che si può ritenere ancora troppo spostato verso le "esigenze finanziarie". Non si può negare, tuttavia, che questo equilibrio sia stato consapevolmente ricercato. E che questa ricerca si sia sviluppata assumendo a base informazioni tecniche "di dettaglio".

Ci si può chiedere se fosse  veramente  difficile la "contingente situazione finanziaria" di quel fine novembre – inizio dicembre 2011. La sentenza sembra dubitarne quando afferma che la disposizione concernente l’azzeramento del meccanismo perequativo si limita a richiamare genericamente la contingente situazione finanziaria,  e poco oltre a dire che tale diritto (quello ad una prestazione previdenziale adeguata), costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio". Il comma 25 dell’articolo 24 del decreto-legge recita testualmente: "In considerazione della contingente situazione finanziaria".

Ma quel comma è parte – quantitativamente essenziale, come già visto – dell’articolo 24, che così recita, al comma 1: "Le disposizioni del presente articolo (tutte, compresa quella recata dal comma 24) sono dirette a garantire, il rispetto degli impegni internazionali e con l’Unione Europea, dei vincoli di bilancio, la stabilità economico-finanziaria e a rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul PIL, in conformità dei seguenti principi e criteri: equità e convergenza intra e intergenerazionale, con clausole derogative soltanto per le categorie più deboli".

[...omissis..] C’è chi sostiene che la sentenza non lasci spazio ad alcuna interpretazione: dichiarato illegittimo il comma 25 dell’articolo 24 del decreto 201, essa determinerebbe il ritorno alla legislazione vigente in materia di indicizzazione delle pensioni prima del dicembre 2011. Con le conseguenze finanziarie che sono ben illustrate dalla relazione tecnica originale al Decreto e alla relazione tecnica di passaggio sopra richiamata. Il Ministro dell’economia ha già messo in evidenza che, in questo modo, gli effetti sui conti pubblici sarebbero tali da determinare, contemporaneamente, la violazione della regola del 3 per cento nel rapporto indebitamento/PIL; la violazione della regola relativa al ritmo di avvicinamento all’Obiettivo di Medio Termine (il pareggio strutturale); la violazione della regola del debito.

Conseguenza inevitabile: la riapertura immediata della procedura di infrazione, per violazione delle tre regole fondamentali del Patto di Stabilità e Crescita Europeo. Ma è la stessa Corte, nella sentenza, a chiarire che non è questo il significato della sua decisione. Al punto 5 della sentenza, la Corte – nel dichiarare fondata la questione prospettata con riferimento agli articoli 3, 36 primo comma e 38, secondo comma, della Costituzione – ripercorre gli interventi legislativi messi in atto nel corso degli anni in tema di indicizzazione delle pensioni, e conclude che la disciplina generale prevede che soltanto le fasce più basse siano integralmente tutelate dalla erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche. Al punto 6 della sentenza la Corte esamina il susseguirsi nel tempo degli interventi di sospensione del meccanismo perequativo, e conclude richiamando la sentenza della Corte stessa n. 316 del 2010, con la quale ha reputato non illegittimo l’azzeramento (si intende ovviamente l’azzeramento dell’adeguamento ai prezzi), per il solo anno 2008, dei trattamenti pensionistici di importo elevato. Nel punto 7, la Corte rileva infine che quanto disposto dal comma 25 dell’articolo 24 del decreto salva Italia si discosta in modo significativo dalla regolamentazione precedente. Non solo la sospensione ha una durata biennale; essa incide anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato.

La Corte rileva altresì’ che le soluzioni adottate dal decreto salva Italia si differenziano anche dalla legislazione ad esso successiva: nel 2014-2016, infatti, la legge n. 147 del 2013 (legge di Stabilità) ha stabilito che la perequazione si applichi  - con la tecnica degli scaglioni - al 100 per cento sulla quota di pensione fino a tre volte il minimo, al 95 per cento per la quota di pensione da tre a quattro volte il minimo, al 75 per cento per la quota di pensione fino a cinque volte il minimo, al 50 per cento per la quota di pensione fino a 6 volte. E ha bloccato integralmente la perequazione per il solo 2014 e solo per le fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo.

Il giudizio della Corte sulla norma dichiarata illegittima trova quindi fondamento sulla riscontrata diversità dell’intervento del dicembre 2011 rispetto alle misure precedenti e successive (che la Corte stessa ricorda di aver considerato legittime con sue sentenze del passato; e mostra di continuare a considerare legittime anche nel presente, quando illustra – senza avanzare riserve - le caratteristiche dell’intervento deciso con legge di Stabilità per il triennio 2014-2016).

Due le ragioni del giudizio di diversità, rispetto ai precedenti, dell’intervento del decreto salva Italia: la durata biennale (e non annuale) del blocco dell’adeguamento ai prezzi; la mancata progressività del blocco, in rapporto alle diverse fasce di pensione percepita (sopra tre volte il minimo, l’adeguamento ai prezzi è interamente bloccato su tuttol’importo della pensione, non solo sulla quota eccedente tre volte il minimo). La Corte, dunque, ritiene che per queste due ragioni – durata e mancata progressività – la norma violi il principio di adeguatezza (articolo 38, secondo comma della Costituzione) e quello di sufficienza (articolo 36, primo comma della Costituzione) del trattamento pensionistico.

Dunque, la sentenza della Corte può e deve essere pienamente rispettata attraverso un intervento che rimuova quelle componenti dell’intervento del dicembre 2011 che la Corte censura. Stiamo lavorando per mettere a punto un intervento che abbia le caratteristiche suggerite dalla sentenza della Corte. È necessario farlo in tempi brevi, ma anche secondo modalità e con scelte e tecniche di copertura finanziaria che consentano di rispettare le regole fissate, in materia di tenuta dei conti pubblici e di decisione di bilancio, dalla Costituzione e dal Patto di Stabilità e Crescita che lega l'Italia agli altri Paesi dell’Unione.

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