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Rimborsi Pensioni, ecco come saranno restituiti gli arretrati
L'Inps non potrà definire eventuali richieste di ricostituzione relative ai trattamenti pensionistici interessati dalla sentenza, fino all’adozione delle relative iniziative legislative.
Kamsin La Sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco per il biennio 2012-2013 dell'indicizzazione degli assegni superiori a 3 volte il trattamento minimo è formalmente in vigore ma i pensionati coinvolti non possono presentare domanda per la ricostituzione dell'assegno. Lo ha ricordato ieri l'Inps con un messaggio interno nel quale ha sgombrato il campo da eventuali dubbi. Tutto rimandato quindi: bisogna attendere un decreto legge (dovrebbe arrivare a giorni) nel quale saranno stabiliti tempi e modalità del rimborso. I 5 milioni di pensionati coinvolti nella misura quindi non dovranno fare praticamente nulla (nessun ricorso legale) perchè sarà l'Inps, come è accaduto in passato in situazioni analoghe, a corrispondere automaticamente gli importi sulla base di quanto verrà deciso dal Cdm.
La decisione del Governo introdurrà, è ormai scontato, una certa gradualità nella rivalutazione degli assegni: saranno pienamente rivalutati solo quelli inferiori ad un certo importo mentre oltre una determinata soglia si la percentuale che sarà riconosciuta sarà minore, ci sarà in pratica una rivalutazione parziale. E' lecito ad esempio immaginare che gli importi sino a 4 volte il minimo saranno indicizzati al 95%, quelli superiori a 5 volte al 50% e quelli superiori a 6 volte al 45% o in quota fissa. Si vedrà cosa sarà deciso.
Per ora vale la pena di sottolineare che gli assegni interessati sono quelli superiori a 1.404 euro lordi nel 2011 e a 1.442 euro nel 2012 a carico dell'AGO e dei fondi esclusivi, integrativi e sostitutivi della stessa. Non sono invece coinvolti i pensionati che hanno ottenuto l'assegno dal 2013 in poi perchè il loro trattamento è stato indicizzato all'inflazione ai sensi della legge 147/2013 a partire dall'anno successivo. Costoro in pratica non hanno subito il "blocco" della Legge Fornero.
Occhio poi alla tassazione dei rimborsi. Le cifre in gioco non sono irrisorie come è possibile simulare dalla pagina dedicata del nostro portale: si parte da almeno 4mila euro per gli assegni piu' bassi sino a superare facilmente i 6-7 mila euro per gli assegni piu' ricchi. Le cifre riferibili ad anni precedenti e percepiti per effetto di sentenze saranno assoggettate a tassazione separata come prevede il testo unico delle imposte sui redditi. Ciò porterà un vantaggio fiscale in capo ai pensionati che percepiscono importi più elevati, poiché pagheranno l'aliquota media (in luogo dell'aliquota marginale) e non subiranno il prelievo a titolo di addizionale regionale e comunale. Invece le somme di competenza dello stesso anno in cui sono rimborsate saranno assoggettate alla tassazione ordinaria. Quindi, per esempio, se tutti gli importi dovessero essere restituiti quest'anno, quelli relativi al 2015 saranno assoggettati alla tassazione ordinaria e quelli tra il 2012 e il 2014 a tassazione separata.
Del resto la medesima situazione si è verificata in occasione della restituzione del contributo di solidarietà per gli anni 2011-2013. Alla tranche del 2013 restituita quell'anno è stata applicata la tassazione ordinaria; mentre alle tranche relative al 2011 e al 2012 si è applicata la tassazione separata.
Si ricorda inoltre che, al pari di quanto accade per i ratei di tredicesima non riscossi dal pensionato defunto, gli eredi legittimi del pensionato deceduto potranno riscuotere i ratei maturati per effetto dell'adeguamento con obbligo di presentazione della dichiarazione di successione.
seguifb
Zedde
Sesta Salvaguardia, Poletti risponde sull'esaurimento dei posti per gli esodati
All'attenzione del Ministro del Lavoro c'è la questione riguardante i lavoratori che fruivano nel corso del 2011 dei congedi e dei permessi per l'assistenza di familiari con disabilità.
Kamsin Il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti risponderà giovedì 14 maggio in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati all'interrogazione sollevata dagli Onorevoli Fedriga e Simonetti (Lega Nord) sull'insufficienza dei posti relativi ai lavoratori che assistevano disabili nel 2011 destinatari della IV e VI salvaguardia (atto 5-05507).
Da mesi - si legge nell'interrogazione - i cosiddetti «esodati legge 104» attendono una risposta circa il loro futuro previdenziale. Si tratta di quei lavoratori che nel 2011 erano in congedo o permesso per assistere familiari con disabilità, ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e dell'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, che avrebbero perfezionato i requisiti anagrafici e contributivi per la pensione con le regole antecedenti all'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 entro il 36o mese successivo all'entrata in vigore del decreto medesimo (6 gennaio 2015).
Il predetto articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001, riguarda genitori, fratelli e sorelle conviventi in congedo per assistere persone con handicap grave, mentre l'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 riguarda genitori, parenti o affini entro il terzo grado (figli, genitori, fratelli e sorelle, nonni, zii, nipoti, bisnipoti e bisnonni, suoceri, genero, nuora, cognati, zii del coniuge) di un bambino fino ai 3 anni di età con handicap grave che hanno usufruito dei permessi mensili di tre giorni per l'assistenza del parente.
Per costoro la salvaguardia era contenuta nell'articolo 11 del citato decreto-legge n. 102 del 2013, convertito dalla legge n. 124 del 2013 (cosiddetto «quarta salvaguardia»); tale platea era stata stimata in 2.500 unità, invece, lo stesso Inps ha certificato oltre 4.800 aventi diritto a fronte dei 2.500 posti disponibili, comunicando che detta platea si è esaurita consentendo di salvaguardare solo i lavoratori che maturino i requisiti entro il 31 ottobre 2012. Sono pertanto rimasti fuori dalla tutela i lavoratori che hanno maturato il requisito dal 1o novembre 2012 al 31 dicembre 2013.
Il Governo - proseguono i deputati - non ha ancora deciso come sanare questi esuberi della 4o salvaguardia, ignorando che ad essi si aggiungono nel tempo gli ulteriori 1.800 lavoratori in congedo dal 2011 (di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d) della legge n. 147 del 2014) che perfezionano i requisiti pensionistici con le regole pre-riforma Fornero entro il 6 gennaio 2016.:
Pertanto - concludono i deputati - si chiede se e ed in che termini il Governo intenda garantire gli «esodati legge 104» di cui alla IV salvaguardia in esubero rispetto ai posti disponibili senza vanificare le aspettative di coloro che, raggiungendo i requisiti entro il 6 gennaio 2016, rientrerebbero nella VI salvaguardia.
Seguifb
Zedde
Pensioni, l'Inps blocca la ricostituzione degli assegni coinvolti nella sentenza della Consulta
L’INPS avverte che, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 17, comma 13 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, non potrà definire eventuali ricostituzioni relative ai trattamenti pensionistici interessati dalla sentenza, fino all’adozione delle relative iniziative legislative.
Kamsin Finchè il Governo non avrà deciso come rispondere alla Sentenza della Corte Costituzionale numero 70/2015 l'Inps non potrà ricevere alcuna domanda di ricostituzione degli assegni dei pensionati che presentassero istanza amministrativa da soli o tramite l'assistenza dei Caf. Lo precisa l'istituto con il messaggio inps 3135/2015 pubblicato ieri.
Sulla Gazzetta Ufficiale 1^ serie speciale - Corte Costituzionale - n. 18 del 6 maggio 2015 è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2015, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214.
In particolare, la suddetta sentenza ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 24 comma 25 del citato decreto, nella parte in cui prevede che "in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento".
Ciò premesso, l'Istituto, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 17, comma 13 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, non potrà definire eventuali richieste di ricostituzione relative ai trattamenti pensionistici interessati dalla sentenza, fino all’adozione delle relative iniziative legislative.
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Riforma Pensioni, Governo pronto al decreto. Gnecchi: rivedere l'età pensionabile
Dal 2016 le lavoratrici dipendenti vedranno allungarsi la pensione di quasi due anni. Si passerà da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi. E dal 2018 saranno necessari 66 anni e 7 mesi.
Kamsin Procedono le discussioni all'interno dell'esecutivo su come gestire la valanga di rimborsi scatenati dalla Consulta. La Corte ha bocciato la norma che congelava la rivalutazione all'inflazione nel biennio 2012-2013 delle pensioni superiori a tre volte il minimo inps (1.404 euro circa) aprendo, in teoria, alla possibilità di ricalcolare tutti gli assegni, anche quelli piu' elevati (qui è possibile simulare quanto deve essere restituito ai pensionati). Ancora pochi giorni e si saprà ufficialmente come il Governo intenderà affrontare la questione anche se la linea appare piuttosto tracciata: si andrà verso una restituzione parziale e dilazionata nel tempo (cioè a rate) modificando le norme del decreto 201/2011 bocciato dalla Consulta.
Molto probabile che le pensioni superiori a 6 volte il minimo (oltre 3mila euro) resteranno o del tutto bloccate o saranno rivalutate solo al 45% (come prevede l'attuale legge 147/2013) mentre si procederà ad una indicizzazione decrescente per la fascia intermedia (del 95% per lo scaglione superiore a 1500 euro; 75% sopra i 2mila euro e 50% sopra i 2500 euro). Una strada giuridicamente accettabile perchè la Sentenza della Consulta non impedisce al legislatore di intervenire nuovamente in materia e che consentirebbe allo stesso tempo il rispetto dei vincoli di bilancio presi con l'Ue. Con il decreto o comunque entro fine anno si dovrà inoltre rimettere mano alle regole di indicizzazione attuali che scadono a fine 2016.
“Il Governo – ricorda il Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano – puo’ trovare le soluzioni piu’ appropriate, purche’ siano nel rispetto della Costituzione. Nel 2007 il Governo Prodi blocco’ per un anno l’indicizzazione delle pensioni otto volte il minimo, redistribuendo il risparmio di 1,4 miliardi per correggere lo scalone Maroni, migliorare la normativa sui lavori usuranti e istituire la quattordicesima mensilita’ a vantaggio dei pensionati piu’ poveri, quelle fino a 700 euro al mese. La Corte approvo’ la misura”. “Quello che noi chiediamo con forza al Premier Renzi – prosegue il presidente della Commissione Lavoro – e’ di convocare i sindacati confederali dei pensionati al fine di non commettere nuovi errori e di svolgere una valutazione complessiva sulle correzioni da apportare al sistema previdenziale”.
Molti esponenti del Pd e delle opposizioni chiedono comunque di cogliere al volo l'occasione offerta dalla Consulta per rimettere mano alla legge Fornero che "ormai fa acqua da tutte le parti" come ha sottolineato ieri Maria Luisa Gnecchi (Pd). Sono troppi - ricorda la Gnecchi - i fronti aperti che devono essere affrontati a partire dal tema dell'età pensionabile delle lavoratrici (con l'eliminazione dello scalone Fornero) e della flessibilità in uscita passando per il tema delle ricongiunzioni e dei lavoratori esodati.
"Dal 2016 - ricorda la Gnecchi - se non si interverrà le lavoratrici dipendenti del privato passeranno da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e sette mesi, quasi due anni in piu' in un colpo solo; le autonome e le parasubordinate passeranno da 64 anni e 9 mesi a 66 anni ed un mese; le dipendenti pubbliche da 66 anni e 3 mesi a 66 anni e 7 mesi. Non solo. La stretta sarà ancora piu' micidiale perchè nello stesso giorno arriverà a scadenza l'opzione donna, quel meccanismo, è già indebitamente compresso da alcune interpretazioni dell'Inps, introdotto dalla legge 243/04, che consente alle lavoratrici di optare per il calcolo contributivo in cambio della pensione a 57 anni. Il regime, secondo la legislazione vigente, si chiude il prossimo 31 dicembre 2015. Questa stretta dovrà essere allentata perchè è insostenibile".
Sulla stessa lunghezza d'onda Damiano che ricorda al Governo di evitare di procedere da solo e si renda conto che la riforma di Monti non regge piu’ perche’ ha generato troppe situazioni di ingiustizia: dalle indicizzazioni all’innalzamento repentino e rigido dell’eta’ pensionabile che va cambiato inserendo un criterio di flessibilita’ nel sistema, a partire dai 62 anni di eta’”.
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Zedde
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Riforma Pa, il testo approvato dal Senato. Ecco le misure in arrivo per gli statali
Nel provvedimento c'è anche l'introduzione della staffetta generazionale "a costo zero per le Casse dello Stato" per i lavoratori prossimi alla pensione.
Kamsin Arriva alla Camera il testo del disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione. Il testo del provvedimento, emendato nel corso dell'esame del Senato, contiene la delega per attuare il carta per la cittadinanza digitale, la riduzione delle camere di commercio, la ridefinizione della conferenza dei servizi, la riforma della dirigenza pubblica con l'introduzione del ruolo unico e la licenziabilità del dirigente privo di incarico.
A regime, la dirigenza sarà articolata infatti in ruoli unificati e coordinati, accomunati da requisiti omogenei di accesso e da procedure analoghe di reclutamento «basate sul merito e la formazione continua» e «caratterizzate dalla piena mobilità tra i ruoli». Se privi di incarico, i dirigenti verranno collocati in disponibilità e, dopo un certo periodo di tempo ancora da definire, decadranno dal ruolo unico. Questo riguarderà le amministrazioni statali, gli enti pubblici non economici nazionali, le università statali, gli enti pubblici di ricerca e le agenzie governative. Gli incarichi dei dirigenti pubblici avranno una durata di 4 anni rinnovabili senza procedura selettiva per altri due anni ma «per una sola volta».
Medicina fiscale. Il provvedimento contiene anche «norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare, rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare» nonchè la costituzione di un polo unico della medicina fiscale: all'Inps saranno attribuite le competenze e le risorse, previa intesa in Conferenza unificata, ora impiegate dalla Pubblica amministrazione.
Stop ai Segretari comunali La maggioranza ha tenuto anche sull'altra misura controversa, quella dell'abolizione del segretario comunale con un temperamento però: nei primi tre anni di attuazione, la riforma prevede comunque una “fase-ponte”, con l'affidamento delle funzioni dei Segretari comunali ai dirigenti del ruolo unico che provengono dall'albo dei Segretari comunali.
Tra le altre novità c'è l'introduzione della staffetta generazionale a costo zero per lo stato (il dipendente potrà chiedere il part-time se vicino alla pensione ma dovrà pagarsi da solo il differenziale di contribuzione per la pensione piena), l'assorbimento del Corpo Forestale dello stato in un altro corpo di polizia (con il mantenimento dell'unitarietà delle funzioni), il riordino delle funzioni di polizia provinciale, la flessibilizzazione dell'orario di lavoro nelle pubbliche amministrazioni con possibilità di ricorso al telelevoro. Via libera anche alla riorganizzazione, anche mediante un possibile accorpamento, delle funzioni svolte dal Pra e dalla Motorizzazione che permetta il rilascio di un documento unico con sia i dati di proprietà sia di circolazione di auto, moto e rimorchi.
Nelle delega c'è poi il riordino o soppressione di uffici e organismi che, in base alle ricognizioni già previste per legge, risultino inutili o in deficit. Il testo parla del disboscamento degli enti per cui si registrino «disfunzioni organizzative o finanziarie o duplicazioni di funzioni o strutture». Tra le misure approvate c’è anche il taglio delle prefetture e all'istituzione degli uffici territoriali dello Stato, quale punto di contatto tra cittadini e amministrazione periferica (conservatorie, sedi dell'Agenzia del Demanio, distacchi ministeriali, sovraintendenze, Rgs).
Documenti: Il testo del Disegno di legge di Riforma della Pa approvato dal Senato
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Zedde
Pensioni, Il testo della sentenza che sblocca la rivalutazione delle pensioni nel biennio 2012-2013
E' stata pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale la Sentenza della Corte Costituzionale che dichiara incostituzionale l'articolo 24, comma 25 del decreto legge 201/2011 nella parte in cui ha escluso l'indicizzazione all'inflazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo inps erogati dalla previdenza pubblica per il biennio 2012-2013. Ecco il testo ufficiale della sentenza.
N. 70 SENTENZA 10 marzo - 30 aprile 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Pensioni - Perequazione automatica dei trattamenti pensionistici - Limitazione, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente a quelli di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100%. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici) - convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 - art. 24, comma 25. -
(GU n.18 del 6-5-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alessandro CRISCUOLO; Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, promossi dal Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, con ordinanza del 6 novembre 2013, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due ordinanze del 13 maggio 2014, e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del 25 luglio 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 35, 158, 159 e 192 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, nn. 14, 41 e 46, prima serie speciale, dell' anno 2014. Visti gli atti di costituzione di C.G. e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonche' gli atti di intervento di T.G. e del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra; uditi gli avvocati Riccardo Troiano per C.G., Luigi Caliulo e Filippo Mangiapane per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Il Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, con ordinanza del 6 novembre 2013, (r.o. n. 35 del 2014), la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due ordinanze del 13 maggio 2014 (r.o. n. 158 e r.o. n. 159 del 2014), e la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del 25 luglio 2014, (r.o. n. 192 del 2014) hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24, del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall' art. 1, comma 1 della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento», in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36, primo comma, 38, secondo comma, 53 e 117, primo comma, della Costituzione. Il Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, premette di essere stato adito per la condanna dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a corrispondere al ricorrente i ratei di pensione maturati e non percepiti nel biennio 2012-2013, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria fino all'effettivo soddisfo, previa dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'azzeramento della perequazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo INPS introdotto dalla norma censurata. Il giudice rimettente rileva che la discrezionalita' di cui gode il legislatore nella scelta del meccanismo perequativo diretto all'adeguamento delle pensioni, fondata sul disposto degli artt. 36 e 38 Cost., ha trovato il proprio meccanismo attuativo nel sistema di perequazione automatica dei trattamenti pensionistici, introdotto dall'art. 19 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale). Aggiunge che il blocco introdotto dalla normativa censurata reitera, rendendola piu' gravosa, la misura di interruzione del sistema perequativo gia' a suo tempo sancita dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitivita' per favorire l'equita' e la crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale), che era limitata ai soli trattamenti pensionistici eccedenti otto volte il trattamento minimo INPS, nonostante il monito rivolto al legislatore dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 316 del 2010, teso a rimuovere il rischio della frequente reiterazione di misure volte a paralizzare il meccanismo perequativo. Con la misura censurata, secondo il rimettente, si sarebbe violato l'invito della Corte, mediante azzeramento della perequazione per i trattamenti pensionistici di piu' basso importo, per due anni consecutivi e senza alcuna successiva possibilita' di recupero. Il giudice a quo richiama la giurisprudenza costituzionale (in particolare la sentenza n. 223 del 2012) secondo cui la gravita' della situazione economica, che lo Stato deve affrontare, puo' giustificare anche il ricorso a strumenti eccezionali, con la finalita' di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari con la garanzia dei servizi e dei diritti dei cittadini, nel rispetto del principio fondamentale di eguaglianza. Deduce, quindi, la violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost., poiche' l'assenza di rivalutazione impedirebbe la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l'adeguatezza e dell'art. 36, primo comma, Cost., in quanto il blocco della perequazione lederebbe il principio di proporzionalita' tra la pensione, che costituisce il prolungamento della retribuzione in costanza di lavoro, e il trattamento retributivo percepito durante l'attivita' lavorativa. Sostiene, altresi', la lesione del combinato disposto degli artt. 36, 38 e 3 Cost., poiche' la mancata rivalutazione, violando il principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altererebbe il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati. Deduce, inoltre, la violazione del principio di universalita' dell'imposizione di cui all'art. 53 Cost. e di quello di non discriminazione ai fini dell'imposizione e di parita' di prelievo a parita' di presupposto di imposta di cui al combinato disposto degli artt. 3, 23 e 53 Cost., poiche', indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, la misura adottata si configurerebbe quale prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria, in quanto doverosa, non connessa all'esistenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e collegata esclusivamente alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. 2.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia - Romagna, che ha sollevato con due distinte ordinanze la questione di legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, riferisce che il ricorrente nel giudizio principale lamentava la mancata rivalutazione automatica del proprio trattamento pensionistico in applicazione della norma oggetto di censura, per effetto della esclusione del meccanismo di perequazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS. Evidenzia, alla luce della giurisprudenza costituzionale, l'illegittimita' delle frequenti reiterazioni di misure intese a paralizzare il meccanismo perequativo, sottolineando, altresi', il carattere peggiorativo della norma censurata rispetto all'art.1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, cosi' determinando il blocco dell'adeguamento dei trattamenti superiori a tre volte, anziche' a otto volte, rispetto al trattamento minimo INPS, avuto anche riguardo alla vicinanza temporale rispetto all'ultimo azzeramento attuato, nonche' alla mancata previsione di un meccanismo di recupero. In particolare, secondo il giudice a quo, il vizio della norma censurata emerge ove si consideri che la natura di retribuzione differita delle pensioni ordinarie e' stata ormai definitivamente riconosciuta dalla Corte costituzionale (viene richiamata la sentenza n. 116 del 2013). Il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta, con piu' evidenza, discriminatorio, poiche' grava su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu' possibile ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro, con conseguente lesione degli artt. 3 e 53 Cost. Ad avviso della Corte rimettente, il mancato adeguamento delle retribuzioni equivale a una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti, ancorche' il blocco sia formalmente temporaneo, non essendo previsto alcun meccanismo di recupero, con conseguente violazione degli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost. Tale blocco incide sui pensionati, fascia per antonomasia debole per eta' ed impossibilita' di adeguamento del reddito, come evidenziato dalla Corte costituzionale, secondo la quale i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell'osservanza dell'art. 53 Cost., che non consente trattamenti in peius di determinate categorie di redditi da lavoro (viene richiamata ancora la sentenza n. 116 del 2013). La Corte dei conti aggiunge che l'introduzione di un'imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, viola il principio della parita' di prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante e che, quindi, il blocco della perequazione si traduce in una lesione del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto la norma censurata limita i destinatari della stessa soltanto ad una "platea di soggetti passivi", cioe' ai percettori del trattamento pensionistico, in violazione del principio della universalita' della imposizione. Essa sottolinea, inoltre, come l'intervento legislativo evidenzi il carattere sempre piu' strutturale del meccanismo di azzeramento della rivalutazione e non quello di misura eccezionale, non reiterabile, senza osservare il monito espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 316 del 2010, con riguardo ai gravi rischi di irragionevolezza e violazione della proporzionalita' derivanti dalla frequente reiterazione delle misure volte a paralizzare il meccanismo di perequazione automatica, in quanto le pensioni, anche di maggior consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta. Deduce, poi, come la norma censurata si presenti lesiva anche del principio di affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, garantito dall'art. 3 Cost., giacche' i pensionati adeguano i programmi di vita alle previsioni circa le proprie disponibilita' economiche, con conseguente pregiudizio per le aspettative di vita di questi ultimi . Sostiene, quindi, la palese irragionevolezza del provvedimento censurato e l'irrazionalita' dello stesso per eccedenza del mezzo rispetto al fine, dovendo provvedersi ad esigenze quali la «contingente situazione finanziaria» richiamata dal legislatore mediante la fiscalita' ordinaria, secondo il disposto di cui all'art. 53 Cost. Invoca, infine, sulla base dell'art. 117, primo comma, Cost., quale parametro interposto, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma 4 novembre 1950 (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, richiamando poi il principio della certezza del diritto, quale patrimonio comune degli Stati contraenti, nonche' il diritto dell'individuo alla liberta' e alla sicurezza di cui all'art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, il diritto di non discriminazione che include anche quella fondata sul patrimonio (art. 21), il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente (art. 25), il diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale (art. 33) ed il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali di cui all'art. 34 della medesima Carta. 3.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, premette che la ricorrente nel giudizio principale era titolare di pensione diretta e di pensione indiretta del Fondo dipendenti INPS e che l'importo complessivo dei due trattamenti era stato mantenuto fermo anche negli anni 2012 e 2013, in applicazione della norma impugnata, aggiungendo che la parte aveva agito per la condanna dell'INPS al pagamento delle quote di trattamento non corrisposte, previo promovimento della questione di legittimita' costituzionale della norma censurata. Nel merito, osserva la Corte rimettente che, pur avendo la Corte costituzionale ammesso, in linea di principio, la compatibilita' costituzionale di disposizioni legislative che incidano su situazioni soggettive attinenti ai rapporti di durata, facendosi carico di esigenze di contenimento della spesa pubblica, la stessa ha, al contempo, invitato il legislatore a salvaguardare il principio di ragionevolezza nelle manovre economiche adottate, a tutela degli interessi dei cittadini (viene richiamata la sentenza n. 316 del 2010). Nel caso del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, secondo il giudice a quo difetterebbero i presupposti segnalati dalla giurisprudenza costituzionale, atteso che, in primo luogo, l'intervento non avrebbe il carattere realmente temporaneo voluto dal giudice delle leggi, perche' esteso per un arco temporale di due anni. Inoltre, esso non riguarderebbe soltanto le pensioni piu' alte, incidendo, invece, sui trattamenti pensionistici di piu' basso importo, superiori ad euro 1.405,05 lordi per il 2012 ed a euro 1.441,56 lordi per il 2013. Per tali trattamenti, secondo la Corte rimettente, la pressante esigenza di rivalutazione sistematica del correlativo valore monetario, che garantisce il soddisfacimento degli stessi bisogni alimentari, sarebbe irrimediabilmente frustrata. In particolare, lo sganciamento dai meccanismi di adeguamento automatico dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo INPS, per un tempo considerevole, minerebbe il sistema di adeguamento costituzionalmente rilevante, con violazione dei principi di cui agli artt. 36 e 38 Cost. Come ricordato dal giudice rimettente, la Corte costituzionale ha affermato (viene citata la sentenza n. 497 del 1988) che la protezione cosi' garantita ai lavoratori postula requisiti di effettivita', tanto piu' che essa si collega alla tutela dei diritti fondamentali della persona sanciti dall'art. 2 Cost., mentre il perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza ed adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur nell'esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica economica e le disponibilita' finanziarie, di individuare un meccanismo in grado di assicurare un reale ed effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle variazioni del costo della vita (il richiamo e' alla sentenza n. 30 del 2004). Il Collegio rimettente osserva, quindi, che la Corte costituzionale, pur avendo riconosciuto, con la sentenza n. 316 del 2010, la legittimita' di temporanee sospensioni della perequazione, anche se limitate alle pensioni di importo piu' elevato, ha, al contempo, precisato che la ragionevolezza complessiva del sistema dovra' essere apprezzata nel quadro del contemperamento di interessi di rango costituzionale, alla luce dell'art. 3 Cost. Con cio' si intende evitare che una generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare sempre e comunque valido motivo per determinare la compromissione «di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi, sia individuali, sia anche collettivi» (viene citata la sentenza n. 92 del 2013). Deduce, poi, il contrasto con gli artt. 3, 23, 53 Cost., sollevando d'ufficio la relativa questione, per essere stato imposto con la norma censurata un sacrificio cospicuo ad una sola categoria di cittadini, incorrendo nella violazione del principio di eguaglianza, a causa della disparita' di trattamento che puo' essere ravvisata nella differente previsione di prestazioni patrimoniali a carico di soggetti titolari di redditi analoghi. 4.- Si e' costituito in giudizio (r.o. n. 35 del 2014) C.G., ricorrente nel giudizio principale pendente dinanzi al Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, instando per la declaratoria di illegittimita' costituzionale della disposizione legislativa censurata. Sostiene, in particolare, il pregiudizio per l'adeguatezza delle prestazioni previdenziali, la quale imporrebbe la costante perequazione della pensione al mutamento dei valori monetari. Aggiunge il difetto di qualsivoglia modalita' di recupero della somma oggetto di blocco della perequazione per il biennio 2012-2013 e la conseguente violazione degli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., in quanto il criterio adottato sarebbe irragionevole, lesivo del principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione, nonche' del principio di adeguatezza di cui all'art. 38 Cost. 5.- Si e', altresi', costituito in tutti i giudizi, (r.o. n.n. 35, 158, 159 e 192 del 2014), l'INPS, chiedendo che siano dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate, alla luce della giurisprudenza costituzionale secondo cui spetta alla discrezionalita' del legislatore, in conformita' a un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico alla stregua delle risorse disponibili, fatta salva la garanzia di salvaguardia delle esigenze minime di protezione della persona. L'Istituto osserva, al riguardo, che la norma censurata si limita a sospendere l'operativita' del meccanismo rivalutativo esistente per un breve orizzonte temporale e a salvaguardare le posizioni piu' deboli sotto il profilo economico, evidenziando, altresi', come la Corte, con la sentenza n. 316 del 2010, abbia gia' deciso, respingendola, analoga questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007 ed aggiungendo che la mancata perequazione per un tempo limitato della pensione non incide sulla sua adeguatezza, in particolare per le pensioni di importo piu' elevato. 6.- Ha proposto intervento ad adiuvandum T.G., premettendo di essere iscritto al Fondo pensioni del personale delle Ferrovie dello Stato spa, di non aver goduto, in forza dell'applicazione della norma di cui al comma 25 dell'art. 24, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, degli aumenti di perequazione automatica per la parte di pensione superiore a tre volte il trattamento minimo e di aver depositato analogo ricorso per le proprie pretese pensionistiche dinanzi alla sezione giurisdizionale del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, allo scopo di sentir dichiarato il proprio diritto alla perequazione automatica. Assume, in particolare, a sostegno dell'ammissibilita' del proprio intervento, il difetto di tutela per chi non abbia partecipato al giudizio principale, ma versi nelle medesime condizioni delle parti e, nel merito, la violazione degli artt. 38, secondo comma, 36, primo comma, e 3 Cost., nonche', infine, dell'art. 53 e del combinato disposto degli artt. 2, 23 e 53 Cost. 7.- E' intervenuto nei giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, instando per l'inammissibilita' o, comunque, per la manifesta infondatezza della questione sollevata. La difesa dello Stato eccepisce preliminarmente il difetto della previa domanda amministrativa, presupposto dell'azione, la cui mancanza renderebbe la domanda improponibile e adduce l'esistenza di una temporanea carenza di giurisdizione, rilevabile in qualsiasi stato e grado del giudizio. L'Avvocatura generale rileva, in ogni caso, la manifesta infondatezza della questione riguardo a tutti i parametri segnalati e richiama la giurisprudenza costituzionale, nonche' il principio dalla stessa espresso, secondo cui la mancata perequazione della pensione per un periodo contenuto non incide sull'adeguatezza del trattamento pensionistico. 8.- All'udienza pubblica, le parti costituite hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte. Considerato in diritto 1.- Il Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, con ordinanza del 6 novembre 2013 (r.o. n. 35 del 2014), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due ordinanze del 13 maggio 2014 (r.o. n. 158 e n. 159 del 2014) e la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del 25 luglio 2014 (r.o. n. 192 del 2014), dubitano della legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24, decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui, per gli anni 2012 e 2013, limita la rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici nella misura del 100 per cento, esclusivamente alle pensioni di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 23, 36, primo comma, 38, secondo comma, 53 e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in relazione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Tutti i giudici rimettenti ritengono che il comma 25 dell'art. 24 sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., in quanto la mancata rivalutazione, violando i principi di proporzionalita' e adeguatezza della prestazione previdenziale, si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati. La norma censurata recherebbe anche un vulnus agli artt. 2, 23 e 53 Cost., poiche' la misura adottata si configurerebbe quale prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria, in violazione del principio dell'universalita' dell'imposizione a parita' di capacita' contributiva, in quanto posta a carico di una sola categoria di contribuenti. La sola Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia - Romagna censura, infine, la predetta disposizione, anche con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla CEDU, richiamando, poi, gli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 2.- I giudizi hanno ad oggetto la stessa norma, censurata in relazione a parametri costituzionali, per profili e con argomentazioni in larga misura coincidenti. Deve, pertanto, esser disposta la riunione dei giudizi al fine di un'unica pronuncia (ex plurimis, sentenza n. 16 del 2015, ordinanza n. 164 del 2014). Nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, ha spiegato intervento ad adiuvandum T.G., che non e' parte nel procedimento principale, assumendo di aver proposto analogo ricorso dinanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, allo scopo di sentir riconosciuto il proprio diritto alla perequazione automatica del trattamento pensionistico, per gli anni 2012 e 2013, negato dall'INPS. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (per tutte, sentenza n. 216 del 2014), possono intervenire nel giudizio incidentale di legittimita' costituzionale le sole parti del giudizio principale ed i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura. La circostanza che l'istante sia parte in un giudizio diverso da quello oggetto dell'ordinanza di rimessione, nel quale sia stata sollevata analoga questione di legittimita' costituzionale, non e' sufficiente a rendere ammissibile l'intervento (ex plurimis, ordinanza n. 150 del 2012). Conseguentemente, poiche' T.G. non e' stato parte del giudizio principale nel corso del quale e' stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale oggetto dell'ordinanza iscritta al n. 35 del reg. ord. 2014, ne' risulta essere titolare di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, l'intervento dallo stesso proposto va dichiarato inammissibile. 3.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, nelle due ordinanze di rimessione, dubita della legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito dalla legge n. 214 del 2011, in riferimento, fra l'altro all'art. 117, primo comma, Cost. e invoca genericamente, quale parametro interposto, la CEDU, per poi richiamare, piu' specificamente, una serie di disposizioni contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In particolare, sono evocati, oltre al principio della certezza del diritto quale «patrimonio comune agli Stati contraenti», anche « gli altri diritti garantiti dalla Carta: il diritto dell'individuo alla liberta' e alla sicurezza (art. 6), il diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul "patrimonio", (art. 21), il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa ed indipendente (art. 25), il diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale (art. 33), il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali (art. 34)». La questione, come prospettata, e' inammissibile. Va preliminarmente rilevato che questa Corte ritiene configurarsi un'ipotesi di inammissibilita' della questione, qualora il giudice non fornisca una motivazione adeguata sulla non manifesta infondatezza della stessa, limitandosi a evocarne i parametri costituzionali, senza argomentare in modo sufficiente in ordine alla loro violazione (ex plurimis, ordinanza n. 36 del 2015). In tale ipotesi, il difetto nell'esplicitazione delle ragioni di conflitto tra la norma censurata e i parametri costituzionali evocati inibisce lo scrutinio nel merito delle questioni medesime (fra le altre, ordinanza n. 158 del 2011), con conseguente inammissibilita' delle stesse. Nel caso di specie, la Corte rimettente si limita a richiamare l'art. 117, primo comma, Cost., per violazione della CEDU «come interpretata dalla Corte di Strasburgo» senza addurre alcun elemento a sostegno di tale asserito vulnus, in particolare con riferimento alle modalita' di incidenza della norma oggetto di impugnazione sul parametro costituzionale evocato. Inoltre il richiamo alla CEDU si rivela, nella sostanza, erroneo, atteso che esso risulta affiancato dal riferimento a disposizioni normative riconducibili alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Quest'ultima fonte, come risulta dall'art. 6, comma 1 del Trattato sull'Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con la legge 2 agosto 2008, n. 130, ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Pertanto, l'esame dell'ordinanza di rimessione non consente di evincere in qual modo le norme della CEDU siano compromesse, per effetto dell'applicazione della disposizione oggetto di censura. Una tale carenza argomentativa costituisce motivo di inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in quanto preclusiva della valutazione della fondatezza. Il giudice a quo non fornisce sufficienti elementi che consentano di vagliare le modalita' di incidenza della norma censurata sul parametro genericamente invocato ed omette di allegare argomenti a sostegno degli effetti pregiudizievoli di tale incidenza, richiamando erroneamente disposizioni normative afferenti al diritto primario dell'Unione europea. 4.- La questione di costituzionalita' per violazione degli artt. 2, 3, 23 e 53 Cost., in relazione alla presunta natura tributaria della misura in esame, non e' fondata. Tutte le ordinanze di rimessione affermano che, nel caso di specie, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, la misura di azzeramento della rivalutazione automatica per gli anni 2012 e 2013, relativa ai trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo INPS, configurerebbe una prestazione patrimoniale di natura tributaria, lesiva del principio di universalita' dell'imposizione a parita' di capacita' contributiva, in quanto posta a carico di una sola categoria di contribuenti. Nell'imporre alle parti di concorrere alla spesa pubblica non in ragione della propria capacita' contributiva, essa violerebbe il principio di eguaglianza. I rimettenti richiamano, in particolare, le decisioni n. 116 del 2013 e n. 223 del 2012 nella parte in cui si afferma che la Costituzione non impone una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria, ma esige un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza (in tal senso, fra le piu' recenti, sentenza n. 10 del 2015). Cio' si collega al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali che di fatto limitano la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta' politica, economica e sociale di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione (ordinanza n. 341 del 2000, ripresa sul punto dalla sentenza n. 223 del 2012). L'azzeramento della perequazione automatica oggetto di censura, tuttavia, sfugge ai canoni della prestazione patrimoniale di natura tributaria, atteso che esso non da' luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinato a reperire risorse per l'erario. La giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 219 e n. 154 del 2014) ha costantemente precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, devono essere destinate a sovvenire pubbliche spese. Un tributo consiste in un «prelievo coattivo che e' finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita' contributiva» (sentenza n. 102 del 2008). Tale indice deve esprimere l'idoneita' di ciascun soggetto all'obbligazione tributaria (fra le prime, sentenze n. 91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del 1965 e n. 45 del 1964). Il comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, che dispone per un biennio il blocco del meccanismo di rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo INPS, non riveste, quindi, natura tributaria, in quanto non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del titolare di un trattamento pensionistico. In base ai criteri elaborati da questa Corte in ordine alle prestazioni patrimoniali, in assenza di una decurtazione patrimoniale o di un prelievo della stessa natura a carico del soggetto passivo, viene meno in radice il presupposto per affermare la natura tributaria della disposizione. Inoltre, viene a mancare il requisito che consente l'acquisizione delle risorse al bilancio dello Stato, poiche' la disposizione non fornisce, neppure in via indiretta, una copertura a pubbliche spese, ma determina esclusivamente un risparmio di spesa. Il difetto dei requisiti propri dei tributi e, in generale, delle prestazioni patrimoniali imposte, determina, quindi, la non fondatezza delle censure sollevate in riferimento al mancato rispetto dei principi di progressivita' e di capacita' contributiva. 5.- La questione prospettata con riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. e' fondata. La perequazione automatica, quale strumento di adeguamento delle pensioni al mutato potere di acquisto della moneta, fu disciplinata dalla legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), all'art. 10, con la finalita' di fronteggiare la svalutazione che le prestazioni previdenziali subiscono per il loro carattere continuativo. Per perseguire un tale obiettivo, in fasi sempre mutevoli dell'economia, la disciplina in questione ha subito numerose modificazioni. Con l'art.19 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), nel prevedere in via generalizzata l'adeguamento dell'importo delle pensioni nel regime dell'assicurazione obbligatoria, si scelse di agganciare in misura percentuale gli aumenti delle pensioni all'indice del costo della vita calcolato dall'ISTAT, ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria. Con l'art. 11, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, recante «Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421», oltre alla cadenza annuale e non piu' semestrale degli aumenti a titolo di perequazione automatica, si stabili' che gli stessi fossero calcolati sul valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Tale modifica mirava a compensare l'eliminazione dell'aggancio alle dinamiche salariali, al fine di garantire un collegamento con l'evoluzione del livello medio del tenore di vita nazionale. L'art. 11, comma 2, previde, inoltre, che ulteriori aumenti potessero essere stabiliti con legge finanziaria, in relazione all'andamento dell'economia. Il meccanismo di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici governato dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) si prefigge di tutelare i trattamenti pensionistici dalla erosione del potere di acquisto della moneta, che tende a colpire le prestazioni previdenziali anche in assenza di inflazione. Con effetto dal 1° gennaio 1999, il meccanismo di rivalutazione delle pensioni si applica per ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria. L'aumento della rivalutazione automatica opera, ai sensi del comma 1 dell'art. 34 citato, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo. Tuttavia, l'art 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), con riferimento al meccanismo appena illustrato di aumento della perequazione automatica, prevede che esso spetti per intero soltanto per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo INPS. Spetta nella misura del 90 per cento per le fasce di importo da tre a cinque volte il trattamento minimo INPS ed e' ridotto al 75 per cento per i trattamenti eccedenti il quintuplo del predetto importo minimo. Questa impostazione fu seguita dal legislatore in successivi interventi, a conferma di un orientamento che predilige la tutela delle fasce piu' deboli. Ad esempio, l'art. 5, comma 6, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.1, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 127, prevede, per il triennio 2008-2010, una perequazione al 100 per cento per le fasce di importo tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS. In conclusione, la disciplina generale che si ricava dal complesso quadro storico-evolutivo della materia, prevede che soltanto le fasce piu' basse siano integralmente tutelate dall'erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche o, in generale, dal ridotto potere di acquisto delle pensioni. 6.- Quanto alle sospensioni del meccanismo perequativo, affidate a scelte discrezionali del legislatore, esse hanno seguito nel corso degli anni orientamenti diversi, nel tentativo di bilanciare le attese dei pensionati con variabili esigenze di contenimento della spesa. L'art. 2 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali) previde che, in attesa della legge di riforma del sistema pensionistico e, comunque, fino al 31 dicembre 1993, fosse sospesa l'applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento o di accordi collettivi, che introducesse aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni previdenziali ed assistenziali, pubbliche e private, ivi compresi i trattamenti integrativi a carico degli enti del settore pubblico allargato, nonche' aumenti a titolo di rivalutazione delle rendite a carico dell'INAIL. In sede di conversione di tale decreto, tuttavia, con l'art. 2, comma 1-bis, della legge 14 novembre 1992, n. 438 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, recante misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali), si provvide a mitigare gli effetti della disposizione, che dunque opero' non come provvedimento di blocco della perequazione, bensi' quale misura di contenimento della rivalutazione, alla stregua di percentuali predefinite dal legislatore in riferimento al tasso di inflazione programmata. In seguito, l'art. 11, comma 5, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), provvide a restituire, mediante un aumento una tantum disposto per il 1994, la differenza tra inflazione programmata ed inflazione reale, perduta per effetto della disposizione di cui all'art. 2 della legge n. 438 del 1992. Conseguentemente, il blocco, originariamente previsto in via generale e senza distinzioni reddituali dal legislatore del 1992, fu convertito in una forma meno gravosa di raffreddamento parziale della dinamica perequativa. Dopo l'entrata in vigore del sistema contributivo, il legislatore (art. 59, comma 13 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica») ha imposto un azzeramento della perequazione automatica, per l'anno 1998. Tale norma, ritenuta legittima da questa Corte con ordinanza n. 256 del 2001, ha limitato il proprio campo di applicazione ai soli trattamenti di importo medio - alto, superiori a cinque volte il trattamento minimo. Il blocco, introdotto dall'art. 24, comma 25, come convertito, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, ora oggetto di censura, trova un precedente nell'art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitivita' per favorire l'equita' e la crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale) che, tuttavia, aveva limitato l'azzeramento temporaneo della rivalutazione ai trattamenti particolarmente elevati, superiori a otto volte il trattamento minimo INPS. Si trattava - come si evince dalla relazione tecnica al disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 13 ottobre 2007 - di una misura finalizzata a concorrere solidaristicamente al finanziamento di interventi sulle pensioni di anzianita', a seguito, dell'innalzamento della soglia di accesso al trattamento pensionistico (il cosiddetto "scalone") introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2008, dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria). L'azzeramento della perequazione, disposto per effetto dell'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, prima citata, e' stato sottoposto al vaglio di questa Corte, che ha deciso la questione con sentenza n. 316 del 2010. In tale pronuncia questa Corte ha posto in evidenza la discrezionalita' di cui gode il legislatore, sia pure nell'osservare il principio costituzionale di proporzionalita' e adeguatezza delle pensioni, e ha reputato non illegittimo l'azzeramento, per il solo anno 2008, dei trattamenti pensionistici di importo elevato (superiore ad otto volte il trattamento minimo INPS). Al contempo, essa ha indirizzato un monito al legislatore, poiche' la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, entrerebbero in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita'. Si afferma, infatti, che «[...] le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta». 7.- L'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, oggetto di censura nel presente giudizio, si colloca nell'ambito delle "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici" (manovra denominata "salva Italia") e stabilisce che «In considerazione della contingente situazione finanziaria», la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, in base al gia' citato meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del cento per cento. Per effetto del dettato legislativo si realizza un'indicizzazione al 100 per cento sulla quota di pensione fino a tre volte il trattamento minimo INPS, mentre le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo non ricevono alcuna rivalutazione. Il blocco integrale della perequazione opera, quindi, per le pensioni di importo superiore a euro 1.217,00 netti. Tale meccanismo si discosta da quello originariamente previsto dall'art. 24, comma 4, della legge 28 febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986) e confermato dall'art. 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che non discriminava tra trattamenti pensionistici complessivamente intesi, bensi' tra fasce di importo. Secondo la normativa antecedente, infatti, la percentuale di aumento si applicava sull'importo non eccedente il doppio del trattamento minimo del fondo pensioni per i lavoratori dipendenti. Per le fasce di importo comprese fra il doppio ed il triplo del trattamento minimo la percentuale era ridotta al 90 per cento. Per le fasce di importo superiore al triplo del trattamento minimo la percentuale era ridotta al 75 per cento. Le modalita' di funzionamento della disposizione censurata sono ideate per incidere sui trattamenti complessivamente intesi e non sulle fasce di importo. Esse trovano un unico correttivo nella previsione secondo cui, per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. La norma censurata e' frutto di un emendamento che, all'esito delle osservazioni rivolte al Ministro del lavoro e delle politiche sociali (Camera dei Deputati, Commissione XI, Lavoro pubblico e privato, audizione del 6 dicembre 2011), ha determinato la sostituzione della originaria formula. Quest'ultima prevedeva l'azzeramento della perequazione per tutti i trattamenti pensionistici di importo superiore a due volte il trattamento minimo INPS e, quindi, ad euro 946,00. Il Ministro chiari' nella stessa audizione che la misura da adottare non confluiva nella riforma pensionistica, ma era da intendersi quale «provvedimento da emergenza finanziaria». La disposizione censurata ha formato oggetto di un'interrogazione parlamentare (Senato della Repubblica, seduta n. 93, interrogazione presentata l'8 agosto 2013, n. 3 - 00321) rimasta inevasa, in cui si chiedeva al Governo se intendesse promuovere la revisione del provvedimento, alla luce della giurisprudenza costituzionale. Dall'excursus storico compiuto traspare che la norma oggetto di censura si discosta in modo significativo dalla regolamentazione precedente. Non solo la sospensione ha una durata biennale; essa incide anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato. Il provvedimento legislativo censurato si differenzia, altresi', dalla legislazione ad esso successiva. L'art. 1, comma 483, lettera e), della legge di stabilita' per l'anno 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge di stabilita'») ha previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell'applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all'art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l'azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014. Rispetto al disegno di legge originario le percentuali sono state, peraltro, parzialmente modificate. Nel triennio in oggetto la perequazione si applica nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo fino a tre volte il trattamento minimo, del 95 per cento per i trattamenti di importo superiore a tre volte il trattamento minimo e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo del 75 per cento per i trattamenti oltre quattro volte e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo, del 50 per cento per i trattamenti oltre cinque volte e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Soltanto per il 2014 il blocco integrale della perequazione ha riguardato le fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo. Il legislatore torna dunque a proporre un discrimen fra fasce di importo e si ispira a criteri di progressivita', parametrati sui valori costituzionali della proporzionalita' e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza. Anche tale circostanza conferma la singolarita' della norma oggetto di censura. 8.- Dall'analisi dell'evoluzione normativa in subiecta materia, si evince che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici e' uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma, Cost. Tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36 Cost., principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013). Per le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita' e per la sua strumentalita' rispetto all'attuazione dei suddetti principi costituzionali, la tecnica della perequazione si impone, senza predefinirne le modalita', sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinare in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario. Un tale intervento deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., principi strettamente interconnessi, proprio in ragione delle finalita' che perseguono. La ragionevolezza di tali finalita' consente di predisporre e perseguire un progetto di eguaglianza sostanziale, conforme al dettato dell'art. 3, secondo comma, Cost. cosi' da evitare disparita' di trattamento in danno dei destinatari dei trattamenti pensionistici. Nell'applicare al trattamento di quiescenza, configurabile quale retribuzione differita, il criterio di proporzionalita' alla quantita' e qualita' del lavoro prestato (art. 36, primo comma, Cost.) e nell'affiancarlo al criterio di adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.), questa Corte ha tracciato un percorso coerente per il legislatore, con l'intento di inibire l'adozione di misure disomogenee e irragionevoli (fra le altre, sentenze n. 208 del 2014 e n. 316 del 2010). Il rispetto dei parametri citati si fa tanto piu' pressante per il legislatore, quanto piu' si allunga la speranza di vita e con essa l'aspettativa, diffusa fra quanti beneficiano di trattamenti pensionistici, a condurre un'esistenza libera e dignitosa, secondo il dettato dell'art. 36 Cost. Non a caso, fin dalla sentenza n. 26 del 1980, questa Corte ha proposto una lettura sistematica degli artt. 36 e 38 Cost., con la finalita' di offrire «una particolare protezione per il lavoratore». Essa ha affermato che proporzionalita' e adeguatezza non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, «ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta», senza che cio' comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello delle pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore una sfera di discrezionalita' per l'attuazione, anche graduale, dei termini suddetti (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010; n. 106 del 1996; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980; n. 46 del 1979; n. 176 del 1975; ordinanza n. 383 del 2004). Nondimeno, dal canone dell'art. 36 Cost. «consegue l'esigenza di una costante adeguazione del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo» (sentenza n. 501 del 1988; fra le altre, negli stessi termini, sentenza n. 30 del 2004). Il legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali deve «dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona» (sentenza n. 316 del 2010). Per scongiurare il verificarsi di «un non sopportabile scostamento» fra l'andamento delle pensioni e delle retribuzioni, il legislatore non puo' eludere il limite della ragionevolezza (sentenza n. 226 del 1993). Al legislatore spetta, inoltre, individuare idonei meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo della vita. Cosi' e' avvenuto anche per la previdenza complementare, che, pur non incidendo in maniera diretta e immediata sulla spesa pubblica, non risulta del tutto indifferente per quest'ultima, poiche' contribuisce alla tenuta complessiva del sistema delle assicurazioni sociali (sentenza n. 393 del 2000) e, dunque, all'adeguatezza della prestazione previdenziale ex art. 38, secondo comma, Cost. Pertanto, il criterio di ragionevolezza, cosi' come delineato dalla giurisprudenza citata in relazione ai principi contenuti negli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., circoscrive la discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali. 9.- Nel vagliare la dedotta illegittimita' dell'azzeramento del meccanismo perequativo per i trattamenti pensionistici superiori a otto volte il minimo INPS per l'anno 2008 (art. 1, comma 19 della gia' citata legge n. 247 del 2007), questa Corte ha ricostruito la ratio della norma censurata, consistente nell'esigenza di reperire risorse necessarie «a compensare l'eliminazione dell'innalzamento repentino a sessanta anni a decorrere dal 1° gennaio 2008, dell'eta' minima gia' prevista per l'accesso alla pensione di anzianita' in base all'articolo 1, comma 6, della legge 23 agosto 2004, n. 243», con «lo scopo dichiarato di contribuire al finanziamento solidale degli interventi sulle pensioni di anzianita', contestualmente adottati con l'art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge» (sentenza n. 316 del 2010). In quell'occasione questa Corte non ha ritenuto che fossero stati violati i parametri di cui agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. Le pensioni incise per un solo anno dalla norma allora impugnata, di importo piuttosto elevato, presentavano «margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo». L'esigenza di una rivalutazione costante del correlativo valore monetario e' apparsa per esse meno pressante. Questa Corte ha ritenuto, inoltre, non violato il principio di eguaglianza, poiche' il blocco della perequazione automatica per l'anno 2008, operato esclusivamente sulle pensioni superiori ad un limite d'importo di sicura rilevanza, realizzava «un trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle, non incise dalla norma impugnata, dei titolari di pensioni piu' modeste». La previsione generale della perequazione automatica e' definita da questa Corte «a regime», proprio perche' «prevede una copertura decrescente, a mano a mano che aumenta il valore della prestazione». La scelta del legislatore in quel caso era sostenuta da una ratio redistributiva del sacrificio imposto, a conferma di un principio solidaristico, che affianca l'introduzione di piu' rigorosi criteri di accesso al trattamento di quiescenza. Non si viola il principio di eguaglianza, proprio perche' si muove dalla ricognizione di situazioni disomogenee. La norma, allora oggetto d'impugnazione, ha anche superato le censure di palese irragionevolezza, poiche' si e' ritenuto che non vi fosse riduzione quantitativa dei trattamenti in godimento ma solo rallentamento della dinamica perequativa delle pensioni di valore piu' cospicuo. Le esigenze di bilancio, affiancate al dovere di solidarieta', hanno fornito una giustificazione ragionevole alla soppressione della rivalutazione automatica annuale per i trattamenti di importo otto volte superiore al trattamento minimo INPS, «di sicura rilevanza», secondo questa Corte, e, quindi, meno esposte al rischio di inflazione. La richiamata pronuncia ha inteso segnalare che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, «esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita'», poiche' risulterebbe incrinata la principale finalita' di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d'acquisto delle pensioni. Questa Corte si era mossa in tale direzione gia' in epoca risalente, con il ritenere di dubbia legittimita' costituzionale un intervento che incida «in misura notevole e in maniera definitiva» sulla garanzia di adeguatezza della prestazione, senza essere sorretto da una imperativa motivazione di interesse generale (sentenza n. 349 del 1985). Deve rammentarsi che, per le modalita' con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, e', per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensi' sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento e' gia' stato intaccato. 10.- La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalita' e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalita', con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con «irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita'» (sentenza n. 349 del 1985). Non e' stato dunque ascoltato il monito indirizzato al legislatore con la sentenza n. 316 del 2010. Si profila con chiarezza, a questo riguardo, il nesso inscindibile che lega il dettato degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. (fra le piu' recenti, sentenza n. 208 del 2014, che richiama la sentenza n. 441 del 1993). Su questo terreno si deve esercitare il legislatore nel proporre un corretto bilanciamento, ogniqualvolta si profili l'esigenza di un risparmio di spesa, nel rispetto di un ineludibile vincolo di scopo «al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici, tali che potrebbero rendere inevitabile l'intervento correttivo della Corte» (sentenza n. 226 del 1993). La disposizione concernente l'azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell'art. 25 del d.l. 201 del 2011, come convertito, si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi cosi' fortemente incisivi. Anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non e' dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilita' e finanza pubblica» (sentenza n. 26 del 2013, che interpreta il citato art. 17 quale «puntualizzazione tecnica» dell'art. 81 Cost.). L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, e' teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalita' del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest'ultimo e' da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, Cost. La norma censurata e', pertanto, costituzionalmente illegittima nei termini esposti.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara inammissibile l'intervento di T.G.; 2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento»; 3) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 23 e 53, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna e dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con le ordinanze indicate in epigrafe; 4) dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sollevata, in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con le ordinanze indicate in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2015. F.to: Alessandro CRISCUOLO, Presidente Silvana SCIARRA, Redattore Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2015. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella Paola MELATTI
Esodati bancari, le nuove regole per accedere all'assegno straordinario
L'Inps pubblica la Circolare 90/2015 con la quale regola le modalità di accesso al fondo di solidarietà per la riconversione e riqualificazione professionale, per il sostegno dell’occupazione e del reddito del personale dipendente dalle imprese del credito, ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 92 del 28 giugno 2012 e del nuovo Decreto interministeriale n. 83486 del 28 luglio 2014 (con il quale viene sostituito il precedente Dm 158/2000). Nella Circolare l'Inps riepiloga i requisiti per fruire dell'assegno straordinario di sostegno al reddito e le istruzioni per il versamento della contribuzione correlata con le relative aliquote di finanziamento.
A. PREMESSA
1. Il quadro normativo
Allo scopo di assicurare adeguate forme di sostegno al reddito ai lavoratori dei settori non coperti dalla normativa in materia d’integrazione salariale, l’articolo 3 della legge n. 92/2012, intitolato “Tutele in costanza di rapporto di lavoro”, e successive modifiche ed integrazioni, ha stabilito che le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale possano stipulare accordi collettivi e contratti collettivi, anche intersettoriali, aventi ad oggetto la costituzione di Fondi di solidarietà per il sostegno del reddito.
Kamsin I Fondi di solidarietà, nell’ambito ed in connessione con processi di ristrutturazione, di situazioni di crisi, di riorganizzazione aziendale, di riduzione o trasformazione di attività di lavoro, oltre ad assicurare, ai lavoratori delle imprese di uno o più settori, interventi di tutela economica in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria, possono perseguire l’ulteriore finalità di erogare assegni straordinari per il sostegno del reddito riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo a lavoratori che raggiungano i requisiti minimi previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato entro 60 mesi dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro.
Il comma 42 del citato articolo 3, dispone che i Fondi di solidarietà di settore, già istituiti ai sensi dell'articolo 2, comma 28, della legge n. 662 del 23 dicembre 1996, debbano adeguarsi alle norme previste dalla novella legislativa del 2012, con decreti del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro delle finanze, la cui adozione determina, ai sensi del successivo comma 43, l’abrogazione dei decreti interministeriali recanti i preesistenti regolamenti dei relativi Fondi.
In data 20 dicembre 2013 è stato stipulato un accordo sindacale nazionale tra Abi e Dircredito FD, Fabi, Fiba-Cisl, Fisac-Cgil, Sinfub, Ugl Credito, Uilca e Falcri-Silcea con il quale, in attuazione delle disposizioni di legge sopra richiamate, si è convenuto di adeguare il “Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale dipendente dalle imprese del credito” alle previsioni di cui al citato articolo 3 della legge n. 92 del 28 giugno 2012.
Il predetto accordo è stato recepito con decreto interministeriale n. 83486 del 28 luglio 2014 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 247 del 23 ottobre 2014 (allegato n. 1), che ha dettato la nuova disciplina del preesistente Fondo di solidarietà del personale del credito di cui al decreto n. 158 del 28 aprile 2000, e successive modifiche ed integrazioni, già istituito presso l’Inps, e del quale rappresenta una gestione.
L’entrata in vigore del D.I. n. 83486 del 28 luglio 2014 ha determinato l’abrogazione del suddetto decreto n. 158/2000.
Il Fondo assume la nuova denominazione di “Fondo di solidarietà per la riconversione e riqualificazione professionale, per il sostegno dell’occupazione e del reddito del personale del credito”.
2. Caratteristiche del Fondo di solidarietà
2.1 Finalità e ambito di applicazione
Il Fondo di solidarietà, nell’ambito ed in connessione con processi di ristrutturazione e/o di situazioni di crisi, e/o di rilevante riorganizzazione aziendale o di riduzione o di trasformazione di attività o di lavoro, ha lo scopo di attuare, nei confronti del personale delle aziende di credito, interventi che favoriscano il mutamento e il rinnovamento delle professionalità e realizzino politiche attive di sostegno al reddito e all’occupazione.
Il Fondo di solidarietà tutela i lavoratori delle imprese, ivi comprese quelle facenti parte di gruppi creditizi e delle associazioni di banche, che applicano i contratti collettivi del credito (ex Assicredito o Acri), ed i relativi contratti complementari, anche con meno di quindici dipendenti.
Il Ccnl del credito si applica ai dipendenti delle aziende del credito, finanziarie ed ai dipendenti delle aziende controllate che svolgono attività creditizia, finanziaria ai sensi dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 385 del 10 settembre 1993.
2.2 Natura giuridica, obblighi di bilancio e gestione del Fondo
Il Fondo non ha personalità giuridica e costituisce una gestione dell’Inps e gode di autonoma gestione finanziaria e patrimoniale, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del citato decreto interministeriale.
Il Fondo di solidarietà è gestito da un Comitato amministratore, composto da cinque esperti designati da Abi e cinque esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il verbale d’accordo 20 dicembre 2013, nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in possesso di specifica competenza e pluriennale esperienza in materia di lavoro e occupazione.
Il Fondo ha l’obbligo del bilancio in pareggio e non può erogare prestazioni in carenza di disponibilità finanziaria, ai sensi del comma 26 dell’articolo 3 della legge n. 92/2012.
Gli interventi a carico del Fondo sono concessi previa costituzione di specifiche riserve finanziarie ed entro i limiti delle risorse già acquisite.
Il Fondo ha l’obbligo di presentare il bilancio tecnico di previsione ad otto anni, fermo restando l’obbligo di aggiornamento al momento della presentazione del bilancio preventivo annuale, al fine di garantire l’equilibrio dei saldi di bilancio.
Il Comitato amministratore, organo di gestione del Fondo, sulla base del bilancio di previsione ha facoltà di proporre modifiche riguardo l’importo delle prestazioni o la misura dell’aliquota di contribuzione, in modo da garantire risorse continuative ed adeguate, da adottarsi secondo le modalità previste dall’articolo 3, comma 29, della legge n. 92/2012, e successive modifiche ed integrazioni.
Gli articoli 3 e 4 del citato decreto disciplinano la composizione, la durata delle cariche e i compiti del Comitato amministratore del Fondo. In particolare, il Comitato delibera la concessione degli interventi e dei trattamenti. Per quanto riguarda gli assegni straordinari, il Comitato prende atto degli accordi aziendali trasmessi dalle Sedi per il tramite della Direzione centrale pensioni. Nel frattempo le Sedi competenti per l’erogazione della prestazione liquidano gli assegni, salvo parere contrario da parte del Comitato medesimo.
Gli oneri di amministrazione del Fondo, determinati secondo i criteri e nella misura previsti dal regolamento di contabilità dell’Istituto, sono a carico del Fondo e vengono finanziati nell’ambito della contribuzione dovuta, ai sensi dell’articolo 3, comma 9, della legge n. 92/2012.
Per gli assegni straordinari gli oneri di gestione sono a carico delle singole aziende esodanti, le quali provvedono a versarli all’Istituto direttamente, con le modalità definite dall’Istituto medesimo.
B. INTERVENTI
1. Prestazioni
Il Fondo provvede, nell’ambito dei processi di ristrutturazione e/o di situazioni di crisi, e/o di rilevante riorganizzazione aziendale o di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, nei confronti dei soggetti aderenti al Fondo:
a) in via ordinaria:
1) a contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione e/o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali e/o comunitari;
2) al finanziamento di specifici trattamenti a favore dei lavoratori dipendenti dai soggetti aderenti al Fondo, interessati da riduzione dell’orario di lavoro o da sospensione temporanea dell’attività lavorativa, ivi comprese le prestazioni di solidarietà intergenerazionale, di cui all’articolo 10, comma 6;
b) in via straordinaria:
all’erogazione di assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti ai lavoratori ammessi a fruirne nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, ed al versamento della contribuzione correlata;
c) in via emergenziale:
all’erogazione nei confronti dei lavoratori in esubero (non aventi i requisiti per l’accesso alle prestazioni previste dalla precedente lettera b, assegni straordinari) di trattamenti di cui all’articolo 12 del decreto, che disciplina la così detta sezione emergenziale:
1) all’erogazione per un massimo di 24 mesi di un assegno per il sostegno del reddito ai lavoratori in condizione di disoccupazione involontaria;
2) al finanziamento, per un massimo di 12 mesi a favore dei predetti lavoratori e su loro richiesta, di programmi di supporto alla ricollocazione professionale ridotto dell’eventuale concorso degli apposti fondi nazionali e dell’Unione europea.
Tale prestazione è soggetta alle regole sulla sussistenza dei requisiti, sulla sospensione e sulla decadenza previste per la indennità Aspi.
Il Fondo provvede anche al versamento della contribuzione correlata calcolata sull’ultima retribuzione tabellare lorda mensile dovuta spettante al lavoratore, alla competente gestione assicurativa obbligatoria. E’ escluso il versamento della contribuzione correlata per tutto il periodo di percezione da parte del lavoratore dell’indennità Aspi.
Si fa riserva di fornire, con successiva circolare, le istruzione amministrative ed operative in ordine alla modalità di presentazione delle domande di prestazioni ordinarie di cui alle lettere a) e c), nonché la disciplina di dettaglio delle stesse.
2. Assegno straordinario di sostegno al reddito
Destinatario delle prestazioni straordinarie (articolo 5, comma 1, lettera b) è il personale dipendente, compreso quello con qualifica di dirigente, delle aziende del settore, coinvolto in processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale che si trovi nelle condizioni di maturare i requisiti minimi per la fruizione del trattamento pensionistico (il più prossimo tra anticipato o di vecchiaia) a carico della gestione previdenziale obbligatoria di appartenenza entro un periodo massimo di 60 mesi dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro.
Il valore dell’assegno straordinario erogato in forma rateale è pari all’importo del trattamento pensionistico che gli interessati percepirebbero alla data di cessazione del rapporto di lavoro, compresa la quota di pensione calcolata sulla base della contribuzione mancante per il diritto alla pensione stessa.
Con riferimento a quest’ultima, per i periodi di erogazione dell’assegno compresi fra la cessazione del rapporto di lavoro e la maturazione dei requisiti minimi di età e di contribuzione richiesti per il perfezionamento del diritto a pensione, l’azienda esodante versa la così detta contribuzione correlata alla competente gestione previdenziale.
2.1 Requisiti del datore di lavoro
L’accesso alla prestazione straordinaria da parte di una azienda destinataria del Fondo di solidarietà di settore, è subordinato all’espletamento delle procedure legislative, ove previste, e contrattuali di confronto sindacale, prescritte dalla contrattazione collettiva, secondo quanto stabilito dall’accordo nazionale stipulato.
Le suddette procedure devono concludersi con un accordo aziendale sottoscritto dalle parti sociali.
La società esodante presenta alla Sede Inps che ha in carico la posizione aziendale (individuata sulla base della matricola dell’azienda) l’accordo sindacale che individui, nell’ambito delle previsioni contrattualmente definite, le modalità di esodo del proprio personale dipendente in possesso dei requisiti che consentano l’intervento del Fondo di sostegno, indicando altresì la Sede Inps presso la quale l’azienda medesima deve versare la provvista a copertura degli assegni straordinari.
Insieme con l’accordo, l’azienda esodante deve trasmettere alla predetta Sede Inps la dichiarazione denominata “Mod. di accreditamento e variazioni” (allegato n. 2).
2.2 Requisiti del lavoratore
La legge non individua requisiti specifici per l’accesso all’assegno straordinario, ma ne subordina il diritto e l’erogazione al perfezionamento dei requisiti minimi contributivi ed anagrafici, a carico della gestione previdenziale obbligatoria di appartenenza, previsti dalla vigente normativa al momento del pensionamento, utili per il conseguimento della pensione anticipata o di vecchiaia entro il periodo massimo di fruizione della prestazione in argomento.
Si richiamano in particolare: la circolare n. 35 del 2012, che illustra la normativa vigente a decorrere dal 1° gennaio 2012 in materia di pensionamento di vecchiaia e anticipato (articolo 24 della legge n. 214 del 2011, e successive modifiche e integrazioni), la circolare n. 63 del 2015 e il messaggio n. 2535 del 2015 in tema di incremento per aspettativa di vita, nonché la circolare n. 74 del 2015 che illustra la legge n. 190/2014 (legge di stabilità per l’anno 2015).
Ai fini del perfezionamento dei requisiti contributivi per il diritto alla prestazione sono utili anche i periodi contributivi maturati all’estero in Paesi ai quali si applica la regolamentazione comunitaria in materia di sicurezza sociale (Stati UE, Svizzera e Paesi SEE) e in Paesi legati all’Italia da convenzioni bilaterali di sicurezza sociale.
Coloro che vogliono far valere periodi di contribuzione nelle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi amministrate dall’Inps (coltivatori diretti, mezzadri, coloni, artigiani, commercianti) perfezionano i requisiti per il diritto alla prestazione con i contributi versati in dette gestioni. In tali casi l’accertamento del diritto alla pensione deve essere effettuato secondo le disposizioni della gestione dei lavoratori autonomi nella quale il lavoratore ha contribuito da ultimo.
I contributi eventualmente versati per gli stessi periodi in più gestioni previdenziali devono essere computati una sola volta.
Se i lavoratori interessati sono iscritti alla Gestione pubblica, si rimanda alle indicazioni contenute nella circolare n. 37/2012.
Si precisa che non può essere accolta la domanda di prestazione finalizzata alla pensione anticipata nel caso in cui il lavoratore sia già titolare di pensione di invalidità ovvero di assegno ordinario di invalidità.
L’accertamento dei requisiti per l’accesso all’assegno straordinario viene effettuato dall’azienda esodante sulla base della documentazione prodotta dai lavoratori. Su richiesta del lavoratore, ovvero su delega di quest’ultimo al datore di lavoro, le Sedi Inps competenti provvedono a rilasciare i relativi estratti contributivi.
Si precisa altresì che la liquidazione della pensione al termine del periodo di esodo sarà effettuata sulla base della normativa in vigore alla data di decorrenza del trattamento pensionistico.
2.3 Adempimenti della Sede Inps che ha in carico la matricola aziendale
La Sede Inps che ha in carico la posizione aziendale, ricevuta la documentazione relativa agli accordi di esodo, procede alla fase istruttoria avendo cura di controllare che all’azienda richiedente l’accesso all’assegno straordinario per i propri lavoratori sia stato attribuito il previsto codice di autorizzazione.
La medesima Sede provvede a trasmettere al Fondo, per il tramite della Direzione centrale pensioni, l’accordo aziendale insieme con la dichiarazione “Mod. di accreditamento e variazioni” contenente, in particolare, l’indicazione della Sede Inps scelta dall’azienda per il versamento della provvista mensile.
La Direzione centrale pensioni, ricevuto quanto sopra, procede all’attribuzione dell’apposito codice identificativo da comunicare al datore di lavoro esodante ai fini sia della presentazione della domanda di assegno straordinario per i singoli dipendenti sia del versamento della prevista provvista.
2.4 Presentazione della domanda
La domanda di assegno straordinario da erogarsi in forma rateale, sottoscritta dal lavoratore e dal legale rappresentante dell’azienda, deve riportare sia i dati identificativi dell’azienda sia le informazioni relative ai dati anagrafici e contributivi del lavoratore.
La domanda deve essere presentata dall’azienda esodante.
La Sede Inps competente per la liquidazione della prestazione è individuata in base al criterio generale della residenza del lavoratore (ovvero la sede così detta polo, se prevista).
La Sede Inps deve tempestivamente segnalare all’azienda esodante e al lavoratore eventuali discordanze tra quanto accertato dal datore di lavoro e quanto verificato dalla sede medesima.
2.5 Finalità e modalità di calcolo
L’articolo 10, comma 7, del citato decreto n. 83486/2014 stabilisce che il Fondo provvede all’erogazione di assegni straordinari per il sostegno del reddito il cui calcolo si effettua con le stesse modalità utilizzate per il calcolo della pensione che teoricamente spetterebbe all’interessato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, e conseguente accesso al Fondo di sostegno, con l’aggiunta dei periodi per i quali l’azienda si impegna a versare la contribuzione correlata.
In particolare:
- per i lavoratori che possono conseguire la pensione anticipata prima di quella di vecchiaia, il valore dell’assegno è pari alla somma dell’importo netto del trattamento pensionistico spettante alla data di cessazione del rapporto di lavoro, con la maggiorazione dell’anzianità contributiva mancante per il diritto alla pensione anticipata, e dell’importo delle ritenute di legge sull'assegno straordinario;
- per i lavoratori che possono conseguire la pensione di vecchiaia prima di quella anticipata, il valore dell’assegno è pari alla somma dell’importo netto del trattamento pensionistico spettante alla data di cessazione del rapporto di lavoro, con la maggiorazione dell’anzianità contributiva mancante per il diritto alla pensione di vecchiaia, e dell’importo delle ritenute di legge sull'assegno straordinario.
Ai sensi della delibera n. 3 del 9 giugno 2005 l’importo netto del trattamento pensionistico spettante si determina assoggettando l’importo lordo del predetto trattamento al regime fiscale vigente all’atto dell’accesso al Fondo, con i relativi scaglioni di reddito ed aliquote, esclusa l’applicazione delle deduzioni dal reddito imponibile, ovvero le detrazioni di imposta, tempo per tempo vigenti.
Nei confronti dei lavoratori il cui trattamento pensionistico, sino al 31 dicembre 2011, è integralmente calcolato con il sistema retributivo, tale importo è ridotto dell’8% qualora l’ultima retribuzione annua lorda sia inferiore o pari a 38.000 euro ovvero dell’11% qualora l’ultima retribuzione annua lorda sia superiore a 38.000 euro. Dette riduzioni si applicano con riguardo alle quote di trattamento relative alle anzianità contributive antecedenti la data del 1° gennaio 2012. Tali riduzioni non si applicano ai lavoratori destinatari dell’assegno straordinario sulla base di accordi aziendali stipulati prima dell’8 luglio 2011. Agli assegni straordinari interessati da dette riduzioni, finalizzati alla pensione anticipata, non si applica l’eventuale riduzione di cui all’ultimo periodo del comma 10, dell’articolo 24, legge n. 214/2011, “così dette penalizzazioni” (delibera n. 139 del 19 dicembre 2013).
A decorrere dal 1° gennaio 2012, per le anzianità contributive maturate a partire da tale data, la quota di pensione corrispondente a tali anzianità è calcolata secondo il sistema contributivo (art. 24, comma 2, legge 214/2011, e s.m.i.).
A tale proposito la citata delibera n. 139 del 19 dicembre 2013 ha stabilito che dal 1° gennaio 2012 l’importo netto del trattamento pensionistico è calcolato computando la contribuzione correlata versata durante il periodo di fruizione dell’assegno in base alla disciplina previdenziale relativa al medesimo periodo e tenendo conto dell’età anagrafica raggiunta al momento del pensionamento (cfr. articolo 6, comma 3).
Pertanto, la contribuzione correlata versata dall’azienda esodante durante il periodo di fruizione della prestazione medesima deve essere computata nella così detta quota D.
Si evidenzia che trattandosi di prestazione di accompagnamento alla pensione, a totale carico del datore di lavoro, e non di pensione:
- non viene trattenuto il contributo ONPI;
- non è prevista la rivalutazione annua (perequazione);
- non vengono corrisposti i trattamenti di famiglia;
- non è prevista l’attribuzione delle prestazioni collegate al reddito spettanti sulle pensioni;
- non spettano gli interessi legali né la rivalutazione monetaria.
Sugli assegni straordinari possono essere effettuate trattenute per contributo sindacale, per cumulo con redditi da lavoro, per pignoramento, per provvedimento del giudice, nonché il recupero di somme eccedenti afferenti le prestazione stessa.
Non possono quindi essere effettuate trattenute per il pagamento di oneri (ad esempio: per riscatti e ricongiunzioni che devono essere interamente versati prima dell’accesso alla prestazione; per cessione del quinto; per mutui ecc.).
Gli assegni straordinari sono prestazioni “dirette” e non sono reversibili. In caso di decesso del beneficiario, ai superstiti viene liquidata la pensione indiretta, con le norme ordinarie, tenendo conto anche della contribuzione correlata versata in favore del lavoratore durante il periodo di assegno straordinario.
Il Comitato amministratore del Fondo, con apposite deliberazioni, ha specificato le ulteriori tipologie di pensione in vista delle quali è ammesso l’accesso all’assegno straordinario, dietro presentazione di specifica domanda e - laddove richiesto - di apposita dichiarazione del lavoratore.
In particolare:
- ai sensi della delibera n. 24 del 20 luglio 2005 all’assegno straordinario possono essere ammessi anche i soggetti la cui pensione venga liquidata esclusivamente con il sistema contributivo;
- ai sensi della delibera n. 25 del 20 luglio 2005 all’assegno straordinario possono essere ammesse anche le lavoratrici che optano per la disciplina sperimentale di cui all’articolo 1, comma 9, della legge n. 243/2004, a condizione che la decorrenza del trattamento pensionistico si collochi entro il 31 dicembre 2015;
- ai sensi della delibera n. 113 del 23 febbraio 2006 l’importo dell’assegno straordinario è determinato tenendo conto della maggiore anzianità contributiva da riconoscere ai sensi dell’articolo 9, comma 2, della legge n. 113 del 29 marzo 1985, e successive integrazioni e modificazioni (soggetti privi della vista), nonché dell’articolo 80, comma 3, della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 (soggetti non udenti o con invalidità superiore al 74%);
- ai sensi della delibera 21 del 22 aprile 2008 l’importo dell’assegno straordinario è determinato tenendo conto della maggiorazione convenzionale per i soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, della legge 206/2004 (vittime del terrorismo).
2.6 Procedure di liquidazione
La Sede Inps competente per la liquidazione, verificata l’esistenza dei requisiti previsti per l’accesso alla prestazione straordinaria, nonché l’effettiva cessazione del rapporto di lavoro, provvede all’erogazione della prestazione in argomento.
L’assegno straordinario è liquidato con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di cessazione del rapporto di lavoro, indipendentemente dalla data di presentazione della relativa domanda, ed è erogato per tredici mensilità. Tra la data di cessazione del rapporto di lavoro e la decorrenza dell’assegno straordinario non deve sussistere soluzione di continuità.
Il pagamento degli assegni straordinari è disposto, come per la generalità delle pensioni pagate dall’Inps, in rate mensili anticipate, la cui esigibilità è fissata al primo giorno bancabile di ciascun mese.
Gli assegni sono contraddistinti con la categoria numerica 027, alla quale corrisponde la categoria alfabetica “VOCRED”.
2.7 Comunicazione di liquidazione e scadenza dell’assegno
A seguito della liquidazione dell’assegno straordinario, viene inviata agli interessati, unitamente al certificato necessario per riscuotere la prestazione, una comunicazione con le informazioni relative al pagamento e alla data di scadenza dell’assegno stesso.
Il lavoratore ha l’onere di presentare in tempo utile la domanda di pensione alla Sede Inps competente, non essendo prevista la trasformazione automatica dell’assegno straordinario in pensione.
2.8 Erogazione in unica soluzione
Il lavoratore può optare per l’erogazione in unica soluzione. In tale caso, l’assegno straordinario una tantum è pari ad un importo corrispondente al 60% di quanto sarebbe spettato se l’erogazione della prestazione straordinaria fosse avvenuta in forma rateale, attualizzato al tasso ufficiale di riferimento BCE vigente alla data di decorrenza della prestazione.
La contribuzione correlata non è dovuta e, pertanto, non viene versata dall’azienda esodante.
Anche in questo caso è necessario che in capo al lavoratore sussistano i requisiti previsti per l’accesso alla prestazione straordinaria. In particolare, i requisiti prescritti dalla legge per il conseguimento della prestazione devono essere perfezionati non oltre il periodo massimo di permanenza nel Fondo.
2.9 Regime tributario
Gli assegni straordinari di sostegno al reddito erogati in forma rateale dal Fondo in argomento sono soggetti al regime della tassazione separata, con l’utilizzo dell’aliquota TFR, ai sensi dell’articolo 19 TUIR (già articolo 17).
Lo stesso regime tributario si applica agli assegni straordinari erogati in unica soluzione.
2.10 Contributi sindacali
Previa stipula di apposita convenzione tra l’Inps e le organizzazioni sindacali, i lavoratori che fruiscono dell’assegno straordinario hanno la facoltà di proseguire il versamento dei contributi sindacali a favore dell’organizzazione sindacale di appartenenza stipulante il contratto collettivo nazionale di lavoro con cui è stata convenuta l’istituzione del Fondo.
2.11 Contribuzione correlata alla prestazione di assegno straordinario
Per i periodi di erogazione dell'assegno straordinario di sostegno del reddito compresi tra la cessazione del rapporto di lavoro e la maturazione dei requisiti di età e/o anzianità contributiva richiesti per la maturazione del diritto a pensione anticipata o di vecchiaia, è versata dal Fondo, alla Gestione d’iscrizione dei lavoratori interessati, la contribuzione correlata. La stessa è utile per il conseguimento del diritto alla pensione, ivi compresa quella anticipata, e per la determinazione della sua misura.
La contribuzione correlata è computata ai sensi dell’articolo 40 della legge n. 183 del 4 novembre 2010. Pertanto, il valore retributivo da considerare per il calcolo “è pari all'importo della normale retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore, in caso di prestazione lavorativa, nel mese in cui si colloca l'evento. Il predetto importo deve essere determinato dal datore di lavoro sulla base degli elementi retributivi ricorrenti e continuativi”.
Ci si richiama, in proposito, alle indicazioni già fornite dall’Istituto nella circolare n. 11 del 2013, punto 7.
La misura della contribuzione correlata è calcolata sulla base dell'aliquota di finanziamento del Fondo pensioni lavoratori dipendenti tempo per tempo vigente.
In particolare, per il 2015, l’aliquota contributiva da assumere a riferimento per il calcolo e il versamento della contribuzione correlata per i lavoratori iscritti alle gestioni FPLD e CTPS è pari al 33%. L’aliquota contributiva da assumere a riferimento per il calcolo e il versamento della contribuzione correlata per gli iscritti alle gestioni CPDEL, CPI, CPS, CPUG è pari al 32,65%.
Dette aliquote verranno computate tenendo conto dell’aliquota aggiuntiva nella misura di un punto percentuale sulle quote di retribuzione eccedenti il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile, di cui all’articolo 3-ter del decreto legge n. 384/1992, convertito con modificazioni dalla legge n. 438 del 14 novembre 1992.
Per i nuovi iscritti dal 1° gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie e per coloro che optano per la pensione con il sistema contributivo, si terrà conto del massimale annuo della base contributiva e pensionabile previsto dall'articolo 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la cui misura per l'anno 2015 è pari a € 100.324,00.
Per i lavoratori cessati dal rapporto di lavoro, ammessi a fruire dell’assegno straordinario di sostegno al reddito sino alla fine del mese antecedente a quello previsto per la decorrenza della pensione, il versamento della contribuzione correlata è effettuato per il periodo compreso tra la cessazione del rapporto di lavoro e la maturazione dei requisiti richiesti per il diritto a pensione anticipata o di vecchiaia.
Qualora l’erogazione dell’assegno straordinario avvenga, su richiesta del lavoratore, in unica soluzione, la contribuzione correlata non è dovuta e non verrà versata.
2.12 Cumulabilità
L’articolo 11 del decreto interministeriale disciplina l’incompatibilità ed i limiti di cumulo dell’assegno straordinario con i redditi da lavoro eventualmente acquisiti durante il periodo di fruizione dell’assegno medesimo.
L’assegno straordinario è incompatibile con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, eventualmente acquisiti durante il periodo di fruizione dell’assegno medesimo, derivanti da attività in concorrenza con il datore di lavoro presso cui prestava servizio l’interessato.
Per i periodi di svolgimento di tali attività cessa sia l’erogazione dell’assegno sia il versamento della contribuzione ad esso correlata.
Gli assegni straordinari sono invece cumulabili entro il limite massimo dell’ultima retribuzione mensile, ragguagliata ad anno, percepita dall’interessato con i redditi derivanti da lavoro dipendente non in concorrenza con il datore di lavoro presso cui prestava servizio l’interessato. Qualora il cumulo tra detti redditi e l’assegno straordinario dovesse superare il predetto limite, si procede ad una corrispondente riduzione dell’assegno stesso. Ai fini della contribuzione correlata, la base retributiva imponibile è ridotta in misura pari all’importo dei redditi da lavoro dipendente, con corrispondente riduzione del versamento dovuto.
Gli assegni straordinari sono altresì cumulabili con i redditi derivanti da lavoro autonomo non in concorrenza con il datore di lavoro presso cui prestava servizio l’interessato, nella misura corrispondente al trattamento minimo di pensione del Fondo pensione lavoratori dipendenti e per il 50% dell’importo eccedente il predetto trattamento minimo.
La quota di assegno che supera questo limite viene trattenuta per i mesi di svolgimento dell’attività di lavoro.
Per l’individuazione del reddito da lavoro autonomo, si rimanda ai criteri esposti al punto 1 della circolare n. 197 del 23 dicembre 2003 e alle tipologie di reddito soggette a dichiarazione, pur se non esaustive di tutte le casistiche emergenti dalle evoluzioni del mercato del lavoro.
L’importo della trattenuta non può comunque essere maggiore del reddito prodotto, rapportato a mese.
Il beneficiario dell’assegno è obbligato a dare tempestiva comunicazione dell'instaurazione di rapporti di lavoro, a qualunque titolo (dipendente, autonomo, collaborazione, ecc.):
· all’azienda esodante, per il rilascio del nulla osta;
. al Fondo di sostegno, tramite la Sede Inps che gestisce l’assegno straordinario.
Nella predetta comunicazione devono essere indicati il nuovo datore di lavoro, il periodo di svolgimento dell’attività lavorativa ed i redditi conseguiti.
In caso di inadempimento dell’obbligo, il lavoratore decade dal diritto alla prestazione ed è tenuto a restituire le somme indebitamente percepite - oltre gli interessi e la rivalutazione capitale - e la contribuzione correlata viene cancellata. Competente a decidere è il Comitato amministratore del Fondo ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera l).
3. Ricorsi amministrativi
Come previsto dall’art. 4, comma 1, lettera h), del decreto n. 83486/2014, i ricorsi devono essere indirizzati al Comitato amministratore del Fondo (presso la Direzione generale dell’Inps), al quale spetta decidere in unica istanza.
L’esecuzione delle decisioni adottate dal Comitato amministratore può essere sospesa dal Direttore generale per profili di illegittimità.
4. Soppressione incentivo alla ricollocazione dei lavoratori licenziati
Il decreto interministeriale n. 83486 del 28 luglio 2014 non ha previsto la conferma dell’incentivo alla ricollocazione dei lavoratori licenziati titolari di assegno emergenziale, disciplinato dall’articolo 11-bis, comma 8, del decreto n. 158/2000. In particolare, il comma 8 dell’articolo 11-bis disponeva che «qualora un'azienda destinataria dei contratti collettivi nazionali del credito assuma a tempo indeterminato un lavoratore nel periodo in cui lo stesso fruisce delle prestazioni di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo, il trattamento residuo di cui ai commi 3 e 4 andrà a favore dell'azienda stessa fino al termine dei 24 mesi di cui alla lettera a)». Le modalità di fruizione dell’incentivo erano state disciplinate con la circolare n. 88/2011.
Pertanto, attesa l’avvenuta abrogazione del decreto n. 158/2000 ad opera del decreto n. 83486/2014, l’incentivo per le assunzioni a tempo indeterminato dei lavoratori nel periodo in cui gli stessi fruiscono delle prestazioni di assegno emergenziale, disciplinato dall’articolo 11-bis, comma 8, del decreto n. 158/2000, non spetta per assunzioni successive alla data del 30 giugno 2014.
Si precisa che per le assunzioni effettuate entro il 30 giugno 2014, il datore di lavoro continuerà invece a fruire del beneficio contributivo disciplinato dall’articolo 11-bis, comma 8, del più volte citato decreto n. 158/2000, fino alla naturale scadenza.
Seguifb
Zedde
Quota 96, Sel e M5S presentano emendamenti per pensionamento dal 1° settembre 2015
Sel e M5S hanno presentato nel ddl sulla buona scuola 7 proposte emendative per introdurre nuovamente il tema dei 4mila docenti della cd. quota 96 della scuola. Le modifiche chiedono al Governo di mandare in pensione dal 1° Settembre 2015 i lavoratori che avevano maturato un diritto a pensione entro la fine dell'anno scolastico 2011/2012 per un numero di lavoratori che oscilla tra i 2mila (emendamento Ghizzoni) agli oltre 4mila (Marzana). Tra le proposte principali si segnalano in particolare l'emendamento Pannarale (Sel) e Marzana (M5S)
Art. 8-bis.
(Salvaguardia previdenziale del personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell'articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni).
1. All'alinea del comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dopo le parole: «ad applicarsi» sono inserite le seguenti: «al personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell'articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni».
2. Il beneficio di cui al comma 1 è riconosciuto, con decorrenza dalla data del 1o settembre 2015, nel limite massimo di 3.000 soggetti e nei limiti dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 3. L'INPS provvede al monitoraggio delle domande presentate, secondo modalità telematiche, definendo un elenco numerico delle stesse basato su un criterio progressivo risultante dalla somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva vantate dai singoli richiedenti alla data del 31 dicembre 2012. Qualora dal monitoraggio risulti il raggiungimento del limite numerico, non prende in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici previsti dalla disposizione di cui al medesimo comma 1. Per i lavoratori che accedono al beneficio di cui al comma 1, il trattamento di fine rapporto, comunque denominato, è corrisposto al momento in cui il soggetto avrebbe maturato il diritto alla corresponsione dello stesso secondo le disposizioni di cui all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e sulla base di quanto stabilito dall'articolo 1, comma 22, del decreto- legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, nonché secondo le modalità previste a legislazione vigente.
3. Per l'attuazione del presente articolo è autorizzata la spesa di 35 milioni di euro per l'anno 2016, di 105 milioni di euro per l'anno 2017, di 101 milioni di euro per l'anno 2018, di 94 milioni di euro per l'anno 2019 e di 81 milioni di euro per l'anno 2020. Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione lineare delle dotazioni finanziarie di parte corrente, iscritte a legislazione vigente in termini di competenza e di cassa, nell'ambito delle spese rimodulabili di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, delle missioni di spesa di ciascun Ministero, ad eccezione di quelle relative a diritti sociali, politiche sociali e della famiglia, politiche per il lavoro, tutela della salute e dell'ambiente.
8. 0. 1005. Pannarale, Giancarlo Giordano, Marcon, Melilla, Airaudo, Placido.
Art. 13-bis.
(Proroga di disposizioni in materia previdenziale per il personale docente).
1. All'alinea del comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dopo le parole: «ad applicarsi» sono inserite le seguenti: «al personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell'articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni,».
2. Ai fini del collocamento in quiescenza del personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011/2012, attivata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel mese di ottobre 2013, il beneficio di cui al comma 1 è riconosciuto, con decorrenza dalla data del 1o settembre 2015, nel limite massimo di 4.335 soggetti e nel limite massimo di spesa di 103,63 milioni di euro per l'anno 2015, di 261,5 milioni di euro per l'anno 2016, di 234,9 milioni di euro per l'anno 2017 e di 101,9 milioni di euro per l'anno 2018, 87,8 milioni di euro per l'anno 2019. L'INPS prende in esame le domande di pensionamento, che possono essere inoltrate secondo modalità telematiche, in deroga alla normativa vigente, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, dai lavoratori di cui al comma 1 che intendono avvalersi dei requisiti di accesso e del regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. L'INPS provvede al monitoraggio delle domande presentate.
3. Per i lavoratori che accedono al beneficio di cui al comma 1, ai fini della liquidazione del trattamento di fine rapporto, comunque denominato, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 11, lettera a), numeri 1) e 2), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che si intendono conseguentemente estese, con riferimento all'anno scolastico 2015, al personale di cui al citato comma 1.
4. Ai soli fini della liquidazione del trattamento di fine rapporto, comunque denominato, si applica la disciplina vigente prima dell'entrata in vigore del comma 22 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138. Il trattamento di fine servizio, comunque denominato, è effettuato secondo le modalità previste dalla disciplina vigente prima dell'entrata in vigore della legge n. 147 del 2013 e la legge n. 190 del 2014.
5. Agli oneri derivanti dall'applicazione del presente articolo si provvede, nei limiti di spesa di cui al comma 2, con le risorse derivanti dal comma 5.
6. All'articolo 13 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo il comma 1-bis inserire il seguente:
«1-ter. L'importo di 960 euro di cui al comma 1-bis, numeri 1) e 2), è ridotto a 945 euro per l'anno 2015, 930 euro per l'anno 2016, 935 euro per l'anno 2017, 950 per ciascuno degli anni 2018 e 2019».
13. 0. 1002. Marzana, Luigi Gallo, Vacca, D'Uva, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli, Brescia, Cominardi, Ciprini, Lombardi, Chimienti, Dall'Osso.
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Esodati, l'Inps certifica la salvaguardia sino al 30 Aprile 2013
I Lavoratori in congedo nel 2011 che hanno maturato un diritto a pensione entro il 30 Aprile 2013 stanno ricevendo la certificazione per accedere alla pensione in deroga alla Legge Fornero.
Kamsin I lavoratori che assistevano disabili nel 2011 che hanno maturato un diritto a pensione, secondo le regole ante fornero, entro il 30 Aprile 2013 (es. quorum 97,3 o 40 anni di contributi) potranno accedere alla sesta salvaguardia ai sensi del'articolo 2, comma 1, lettera d) della legge 147/2014. Lo si apprende dall'Inps. La Direzione Centrale Pensioni dell'lnps, considerato il limite massimo dei 1800 soggetti da salvaguardare, sta inviando le relative comunicazioni ad un primo gruppo di coloro che sono risultati beneficiari della norma in oggetto, avendo perfezionato i requisiti pensionistici in salvaguardia entro il 30 aprile 2013.
L'Inps ricorda che non appena saranno pervenuti tutti i procedimenti di accoglimento da parte delle DTL (Direzioni Territoriali del Lavoro) e sarà verificata la capienza complessiva, verrà individuata la data di perfezionamento dei requisiti entro la quale i lavoratori hanno diritto alla pensione in applicazione della salvaguardia di cui alla citata legge 147 e si procederà all'invio delle ulteriori comunicazioni ai beneficiari (la comunicazione dell'Inps).
Le preoccupazioni, com'è noto, riguardano la capienza del plafond riservato a questo gruppo di lavoratori. Secondo l'ultimo report diffuso dall'Inps, infatti, a fronte di 1800 posti disponibili già sono state certificate ben 3.908 domande di salvaguardia. «Si tratta di una grave sottostima della reale consistenza numerica di questo gruppo di lavoratori» fanno sapere i diretti interessati che chiedono l'immediata l'attivazione dei cd. "vasi comunicanti", quel particolare meccanismo che consente di utilizzare i posti non utilizzati nelle precedenti salvaguardie per compensare il minor numero di posizioni riconosciute nel profilo di tutela destinato a questo tipo di lavoratori.
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