Naspi, Arriva la stretta contro dimissioni e rioccupazioni
Dal 2025 contro i fenomeni elusivi per ottenere l’indennità mensile di disoccupazione è necessario un requisito in più: aver lavorato almeno tredici settimane (3 mesi) prima del licenziamento. I chiarimenti in un documento dell’Inps.
Dal 1° gennaio 2025 non è più possibile ottenere la Naspi in caso di dimissioni da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato se il lavoratore è stato riassunto per un periodo inferiore a tre mesi. A meno che tra i due rapporti di lavoro non siano trascorsi almeno 12 mesi. Lo rende noto, tra l’altro, l’Inps nella Circolare n. 98/2025 in cui spiega la novella introdotta dalla legge di bilancio 2025 per frenare gli abusi del sussidio.
La Naspi
Il requisito contributivo per il diritto alla Naspi è pari ad almeno 13 settimane di contributi contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti all'inizio del periodo di disoccupazione (cioè al licenziamento). L’articolo 1, co. 171 della legge n. 204/2024 ha previsto che chi si dimette o risolve consensualmente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato può fare richiesta dell’indennità solo se ha maturato 13 settimane di contribuzione dalle dimissioni o dalla risoluzione consensuale. Oppure deve attendere il decorso di un anno dalle dimissioni o dalla risoluzione consensuale.
La novità interessa gli eventi di disoccupazione intervenuti dal 1° gennaio 2025 in poi, data di entrata in vigore della legge n. 207/2024.
L'obiettivo della norma è quello di colpire quel fenomeno di dimissioni e rioccupazioni per un breve periodo al solo scopo di far maturare il diritto alla disoccupazione. Si pensi al dipendente a cui scade il contratto a termine o viene licenziato dall’impresa X e che nei 12 mesi precedenti si era dimesso o aveva risolto consensualmente il rapporto di lavoro a tempo indeterminato dall’impresa Y. Se non ha maturato almeno 13 settimane di contributi dopo la cessazione del rapporto con l’impresa Y non potrà vedersi riconosciuta la Naspi al termine del rapporto con l’impresa X salvo siano trascorsi almeno 12 mesi dal precedente rapporto (con conseguente riduzione della durata della prestazione).
Le eccezioni
La novità non riguarda le ipotesi di dimissioni per giusta causa o nel periodo tutelato di maternità o paternità o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di licenziamento di cui all’articolo 7 della legge n. 604/1966.
Ad esempio la restrizione non scatta nei confronti della lavoratrice che si dimette entro il primo anno di vita del bimbo ancorché abbia risolto consensualmente nei 12 mesi precedenti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e in assenza di 13 settimane di contribuzione da tale ultimo rapporto. Idem se il lavoratore si dimette per il mancato pagamento della retribuzione e, quindi, si integri una giusta causa di dimissioni.
Tra le ipotesi di dimissioni per giusta causa rientra anche quella relativa «alle dimissioni a seguito del trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, a condizione che il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro».
Inoltre, tra le fattispecie di risoluzione consensuale è altresì «fatta salva l’ipotesi della risoluzione consensuale a seguito del rifiuto da parte del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore o mediamente raggiungibile in 80 minuti od oltre con i mezzi di trasporto pubblici».
Contratti a tempo determinato
L'Inps conferma che mentre la cessazione volontaria per dimissioni o risoluzione consensuale deve riferirsi a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la successiva cessazione involontaria per cui si richiede la prestazione NASpI può riguardare sia un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che un rapporto di lavoro a tempo determinato.
Contribuzione
L’Inps spiega che ai fini del conteggio delle 13 settimane di contribuzione nell’arco temporale che decorre dalla cessazione volontaria per dimissioni o per risoluzione consensuale del precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la data di cessazione involontaria del rapporto di lavoro per il quale si richiede la Naspi si considerano utili:
- i contributi previdenziali, comprensivi della quota NASpI, versati durante il rapporto di lavoro subordinato;
- i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria se all'inizio dell'astensione risulta già versata o dovuta contribuzione e i periodi di congedo parentale purché regolarmente indennizzati e intervenuti in costanza di rapporto di lavoro;
- i periodi di lavoro all’estero in paesi comunitari o convenzionati ove sia prevista la possibilità di totalizzazione;
- i periodi di astensione dal lavoro per malattia dei figli fino a 8 anni di età nel limite di cinque giorni lavorativi nell'anno solare.
Sono utili altresì anche gli eventuali contributi agricoli con l’ordinaria scala di equivalenza (sei giorni di contribuzione agricola equivale ad una settimana) fermo restando la verifica della prevalenza dell’attività non agricola.
La misura
L’Inps spiega, infine, che la novella non ha modificato le regole per il calcolo dell’importo e la durata della prestazione. Pertanto la Naspi, anche nelle ipotesi in cui l’assicurato debba far valere il nuovo requisito di 13 settimane di contribuzione dalle precedenti dimissioni o risoluzione consensuale di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, viene calcolata sulla base della retribuzione percepita nel quadriennio antecedente la cessazione del rapporto di lavoro che dà diritto alla prestazione e spetta per la metà delle settimane nel predetto quadriennio.
Documenti: Circolare Inps 98/2025