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Riforma Pensioni, ecco le novità del decreto Madia
Sulle pensioni nei giorni scorsi il governo ha fatto un passo indietro rispetto alle aperture che erano state proposte nel decreto sulla Pa. No alle pensioni per i 4 mila insegnanti rientranti nella cosiddetta «quota 96» (la somma di età e anni di contributi), che avrebbero così potuto percepire l'assegno dall'lnps a partire da settembre. Kamsin E' saltato anche il tetto dei 68 anni per la pensione dei professori universitari e dei primari. Per loro restano in vigore le soglie valide anche per gli altri dipendenti pubblici. Sono rimaste le penalizzazioni sulle pensioni anticipate: l'1% per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 e il 2% per ogni ulteriore anno rispetto ai 60; ed ugualmente non sono stati riconosciuti i benefici previdenziali alle vittime di atti terroristici.
Nessun cambiamento al momento anche sull'opzione donna, il cui il decreto "salva Italia" del 2011 ne ha confermato i contenuti. Si tratta, com'è noto, della possibilità per le donne di andare in pensione con 57 anni di età con 35 di contributi (58 anni se lavoratrici autonome), in via eccezionale sino al 2015, scegliendo un trattamento calcolato interamente con il sistema contributivo. Ci si attendeva una apertura del governo, cioè una proroga di questa opportunità oltre il 2015 in modo da creare una valvola di sfogo a chi è rimasto intrappolato nelle maglie restrittive della Riforma Fornero (e comunque piuttosto cara in quanto si subisce una riduzione dell'assegno nell'ordine di circa il 25-30%). Ma per ora l'intervento sembra rimandato in autunno quando si scriverà la legge di stabilità per il 2015.
Nella Pa tuttavia ci sono state alcune novità che in taluni casi possono comportare, nei fatti, un abbassamento dell'età pensionabile. Per effetto dell'abolizione del trattenimento in servizio la maggior parte dei dipendenti pubblici sarà infatti costretta a lasciare il posto al perfezionamento del 65° anno di età, limite ordinamentale per la permanenza in servizio in buona parte delle Pa (fa eccezione la magistratura e le università in cui il limite è a 70 anni), qualora sia stato maturato entro tale età il diritto alla pensione anticipata. In precedenza tali lavoratori potevano ottenere, se la domanda veniva accolta dalle Pa, la permanenza in servizio per un ulteriore biennio. Non solo. La Pa potrà ulteriormente anticipare la risoluzione del rapporto di lavoro fino al 62° anno (65 per i dirigenti medici) con un atto motivato purchè ciò non comporti pregiudizio per l'attività dell'ente. Si tratta di una facoltà che era riconosciuta sino al 2014, e che ora diventa strutturale.
Nota amara invece per quanto riguarda le penalizzazioni. E' rimasta invece immutato il disincentivo al pensionamento anticipato. Qualora si chieda la pensione di anzianità prima dei 62 anni di età, l'assegno viene corrisposto, per la quota retributiva, con una riduzione pari all1% per ogni anno di anticipo, percentuale che sale al 2%, per ogni anno di anticipo che supera i 2. Quindi, ad esempio, se si richiede la pensione anzianità dopo aver raggiunto i 42 anni a 60 anni, si riscuoterà, per la quota di pensione calcolata con il sistema retributivo (riferito all'anzianità accumulata sino a tutto il 2011), un assegno decurtato del 2%. Se invece la si richiede a 59 anni di età la decurtazione sale al 4%.
Un'apposita disposizione di legge, approvata subito dopo la riforma Fornero, esclude dall'applicazione delle riduzioni percentuali i trattamenti liquidati in favore di coloro che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017. Ciò a condizione che il possesso del requisito, derivi da: prestazione effettiva di lavoro; periodi di astensione obbligatoria per maternità, assolvimento degli obblighi di leva, infortunio o malattia; periodi di cassa integrazione ordinaria; astensione dal lavoro per la donazione di sangue; congedi parentali di maternità e paternità; congedi e permessi con riferimento a persone con handicap in situazione di gravità.
Nel passaggio alla Camera della riforma Madia era stato approvato un emendamento che escludeva dalle penalizzazioni anche chi raggiungeva il requisito dei 42 anni con l'aiuto della contribuzione figurativa o da riscatto (laurea ad esempio). Ma ora la bocciatura della Ragioneria generale, e l'approvazione definitiva del provvedimento, le penalizzazioni restano alle condizioni sopra descritte.
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Riforma del Lavoro, verso l'abolizione dell'articolo 18 sui nuovi assunti
Entrerà nel vivo dopo la pausa estiva la seconda fase dell'operazione che mira a semplificare il mercato del lavoro, il cd. Jobs Act. Dopo il primo pacchetto di provvedimenti che ha semplificato a marzo scorso il ricorso ai contratti a termine e l'apprendistato, a settembre il Parlamento sarà chiamato a dare il via libera alla ddl delega. Kamsin E il governo punta ad approvare tutti decreti delegati entro la fine del 2014 sperando così di completare entro i primi tre mesi del 2015 la riforma del lavoro.
Il piatto forte sul quale Matteo Renzi gioca gran parte della partita è il contratto a tutele crescenti, una novità che congelerà per i neo assunti l'articolo 18 per tre anni dando la possibilità alle imprese di licenziare in deroga alla disciplina vigente. Nei primi 36 mesi di durata del rapporto, una volta superato il periodo di prova di 6 mesi, il datore di lavoro potrà uscire dal contratto senza motivazione ma rispettando il periodo di preavviso. Per il dipendente (che comunque potrà chiedere il reintegro in caso di allontanamento discriminatorio), oltre a quanto maturato e dovuto durante il rapporto, è previsto il pagamento di una indennità pari a due giorni di retribuzione per ogni mese lavorato. Una novità questa peraltro rafforzata dalla contestuale riduzione dei contributi sociali: l'imprenditore spenderà la metà di quanto investe adesso per un dipendente a tempo indeterminato e un terzo in meno rispetto a uno dipendente a tempo determinato.
In tema di contratti il Jobs act prevede poi una bella sforbiciata alle tipologie. Da 40 ne resteranno in vigore al massimo 6. In questo modo, oltre al tempo indeterminato classico e quello a tutele crescenti, resterebbero l'apprendistato, il contratto a termine e quello di somministrazione.
Poi c'è la partita sugli ammortizzatori sociali che dovranno essere ristrutturati, la semplificazione delle procedure di assunzione e la trasformazione delle misure per la tutela della maternità. Piu' in forse, per problemi di copertura economica, invece l'assegno minimo per tutti coloro che perdono il posto di lavoro e che sono ancora coperti dalle tutele di Aspi e miniAspi. L'erogazione del sussidio, subordinato all'obbligo di seguire un corso di formazione professionale e cancellato nel caso in cui il disoccupato rifiuti una nuova proposta di lavoro, dovrebbe essere gestito da un'Agenzia unica federale.
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