Licenziamenti, La Corte Ue approva le tutele crescenti

Nicola Colapinto Giovedì, 18 Marzo 2021
Ok alle tutele crescenti per gli stabilizzati dopo il 7 marzo 2015. Secondo la Corte Ue non c'è discriminazione in quanto prevale la stabilità al lavoro.
Per la Corte di giustizia UE non c'è discriminazione nell'escludere la reintegrazione per il lavoratore assunto a termine prima del 7 marzo 2015 e stabilizzato dopo tale data. Perché il diverso trattamento è giustificato da una ragione di politica sociale legittima: la stabilità dell'impiego dei lavoratori a termine. E' la visione dei giudici contenuta nella sentenza alla causa C-652/2019 pubblicata ieri.

Tutele crescenti

Come noto il dlgs n. 23/2015 ha innovato profondamente il regime delle tutele in caso di licenziamento illegittimo: gli assunti a tempo indeterminato al 7.3.2015 sono rimasti protetti secondo la disciplina originaria di cui all'articolo 18 della legge n. 300/70 con la reintegrazione nel posto di lavoro; gli assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015, comprese le «stabilizzazioni» di lavoratori a termine e apprendisti, la reintegrazione opera solo in determinate ipotesi e ai lavoratori spetta solo un risarcimento che cresce con l'anzianità di servizio. I nuovi criteri sono stati, comunque, parzialmente smontati da numerose censure della Corte Costituzionale negli ultimi anni.

La questione

L'aspetto analizzato dalla Corte UE riguarda la conformità con l'ordinamento comunitario del mancato diritto di reintegra a favore di una lavoratrice stabilizzata dopo il 7.3.2015 e poi licenziata dall'azienda a termine di una procedura di licenziamento collettivo assieme ad altri 349 colleghi che al 7.3.2015 erano assunti a tempo indeterminato. Il tribunale italiano aveva accertato l'illegittimità del licenziamento e ordinato la reintegra sul posto di lavoro dei colleghi ma non della lavoratrice sulla scorta del fatto che al 7.3.2015 essa era assunto a tempo determinato. Sospettando l'illegittimità per contrasto con la direttiva 98/59 sui licenziamenti collettivi, con gli articoli 20 (principio di uguaglianza) e 30 (licenziamento ingiustificato) della Carta UE e con la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a termine, il tribunale ha esposto la questione alla corte UE.

La decisione

La Corte concentra l'esame con la clausola 4 dell'accordo sul lavoro a termine, perché costituisce applicazione del principio di non discriminazione. Infatti la clausola impone, per quanto riguarda le condizioni di impiego, non trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. Tra le condizioni di impiego va annoverata anche la tutela in caso di licenziamento illegittimo.

Tuttavia, spiega la corte, la differenza di trattamento risulta piuttosto dal regime transitorio istituito dal dlg n. 23/2015, che estende l’applicazione di quest’ultimo ai contratti a tempo determinato stipulati prima della data della sua entrata in vigore, convertiti in contratti a tempo indeterminato dopo tale data. Pertanto, l'indagine va spostata sulla previsione normativa (regime transitorio), la quale sarà legittima se verte su una ragione oggettiva che giustifichi il diverso trattamento previsto dal Legislatore. Per la corte Ue la ragione c'è e coincide con il fine di incentivare i datori di lavoro ad assumere stabilmente i lavoratori a termine, cioè con la stabilità dell'impiego. Del resto, conclude la Corte, rafforzare la stabilità dell’occupazione favorendo la conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato costituisce un obiettivo legittimo del diritto sociale e, peraltro, un obiettivo perseguito dall’accordo quadro sul lavoro a termine.

Segui su Facebook tutte le novità su pensioni e lavoro. Partecipa alle conversazioni. Siamo oltre cinquantamila

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati