Pensione di Inabilità, Come si determina il requisito medico-legale

Valerio Damiani Lunedì, 19 Febbraio 2018
La Corte di Cassazione rimarca che ai fini del giudizio dell'inabilità assoluta al lavoro rileva la capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini del singolo assicurato.
La pensione di inabilità previdenziale deve essere concessa anche ove il richiedente residui di capacità lavorative che risultino al di fuori delle sue attitudini. Lo hanno indicato i Giudici della Corte di Cassazione nell'Ordinanza numero 2975 del 7 Febbraio 2018 in cui i giudici hanno accolto la tesi di un invalido che si era visto più volte rigettare la domanda di pensione di inabilità dall'Inps.

La questione riguardava un lavoratore sardo affetto da gravi patologie (linfoma non hodgkin a localizzazione dorso-lombare assistito da una grave cardiopatia) che non gli consentivano di proseguire l'attività lavorativa sino a quel momento svolta dall'assicurato, la conduzione di macchine operatrici nel movimento dei materiali. Il lavoratore aveva chiesto l'accertamento al Tribunale di Sassari e poi alla Corte d'Appello di Cagliari del diritto alla fruizione della pensione di inabilità ordinaria (ex art. 2 della legge 222/1984) a seguito del diniego da parte dell'Inps.

Sia il Tribunale che il giudice d'Appello avevano riconosciuto il diritto all'attribuzione della prestazione previdenziale ma contro la decisione l'Inps aveva proposto ricorso per Cassazione richiedendo una ulteriore valutazione della questione. L'Inps, in particolare, contestava le conclusioni delle Corti di Merito che non avevano valutato la residua capacità lavorativa dell'assicurato in ulteriori attività diverse da quelle svolte sino a quel momento. Secondo l'Istituto non era, infatti, soddisfatto il requisito sanitario dell'inabilità a qualsiasi attività lavorativa. Le Corti avevano ritenuto, infatti, sufficiente il giudizio del consulente tecnico d'ufficio in ordine ai ravvisati rischi del verificarsi di una recidiva dello stato di salute dell'assicurato senza che fosse condotta una ulteriore valutazione della impossibilità assoluta e permanente di svolgere qualsiasi attività lavorativa in attività diverse da quelle prestate sino a quel momento. 

La tesi della Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione il motivo del ricorso è, tuttavia, infondato e la prestazione di invalidità deve essere conseguentemente riconosciuta all'assicurato. In particolare i giudici spiegano che il diritto alla pensione di inabilità, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 222 del 1984, sorge "qualora l'assicurato si trovi, a cagione della sua invalidità, nella impossibilità assoluta e permanente di svolgere qualsiasi attività lavorativa confacente alle sue attitudini che sia non usurante, non dequalificante, e remunerativa; la sussistenza o meno di tale situazione di impossibilità va valutata in concreto, avendo riguardo al possibile impiego delle energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto". Nell'effettuare tale valutazione occorre valutare anche la proficuità dell'attività lavorativa che residua in capo all'assicurato.

In particolare il lavoro che non consente il conseguimento della prestazione previdenziale è solo quello che, espletato in attività confacenti alle attitudini dell'assicurato che residuino in esito alla malattia e non dequalificanti, abbia il requisito della remuneratività, e sia quindi idoneo ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa". In sostanza, precisano i giudici, la pensione di inabilità può essere negata solo ove al lavoratore residui una capacità lavorativa confacente alle sue attuditini e, peraltro, a condizione che sia in grado di garantirgli una sufficiente remuneratività. A tal fine la Corte ricorda la Sentenza numero 1026/2001 della Sezione Lavoro che, facendo scuola in materia, ha riconosciuto il diritto alla pensione di inabilità in favore un carpentiere, affetto da neoplasia con prognosi infausta, negando la rilevanza alle buone condizioni generali e alla possibilità di svolgimento di attività non gravose, come quelle di custodia o di portineria. 

Nel caso del lavoratore sardo la Cassazione osserva come la Corte d'Appello abbia riconosciuto l'assoluta e permanente impossibilità dell'assicurato a svolgere qualsiasi attività lavorativa confacente alle sue attitudini posto che le indicate gravi malattie ponevano a rischio la vita e non gli consentivano l'espletamento di alcuna attività lavorativa, né tanto meno quella sua abituale di conduttore di macchine operatrici, attività indubbiamente stressante che sollecitava la sede in cui era posto il tumore.

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