"E una misura di civiltà, si evita che ci sia un esercito di nuovi poveri, prendendo come standard di dignità un assegno di 1500 euro lordi e integrando la parte mancante a tale soglia. Lo stesso principio è contenuto nel verbale firmato da governo e Cgil, Cisl e Uil lo scorso settembre. Chi ha alle spalle una carriera fatta di contratti a termine, licenziamenti, voucher, stage, non avrà i contributi sufficienti per un assegno dignitoso. Le risorse si possano trovare anche modificando i meccanismi interni allo stesso sistema previdenziale. Ad esempio con il contributivo non esiste più l'integrazione al minimo: reinvestiamo quei miliardi per la pensione dei giovani di oggi".
"Per assicurare a chi lavora una continuità in vista di una pensione dignitosa - prosegue Damiano - che è parte necessaria della cittadinanza bisogna rivedere in più punti la normativa sul lavoro e sugli ammortizzatori sociali. A partire dalla normativa sull'articolo 18, che per quanto riguarda i licenziamenti collettivi e quelli disciplinari, dovrebbe vedere il ripristino in alcuni casi la reintegra. Poi devi rendere strutturali gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato in modo da rendere questo contratto meno costoso di quelli flessibili: finora gli incentivi sono stati solo uno spot, alti nel 2015 e adesso quasi spariti; infine, gli ammortizzatori sociali: va ripristinata, in termini eccezionali e mirati, la mobilità, perché se perdi il lavoro intorno ai 60 anni e l'età di pensione è stata spostata di 5 o 6 anni, ti ritrovi un gap che non puoi più colmare con gli attuali sostegni. Noi abbiamo già fatto la prima parte, permettendo con l'Ape di anticipare l'uscita a 63 anni: adesso dobbiamo riformare gli ammortizzatori. Quest'anno ci sono già 185 mila lavoratori che finita la mobilità non avranno più l'incentivo alla ricollocazione e non è detto che arrivino alla pensione: sono nuovi disoccupati potenziali".