L'Onorevole Maria Luisa Gnecchi, della Commissione Lavoro della Camera, nel suo intervento, ha ricordato come nell'audizione del 7 agosto scorso, lo stesso Inps, insieme al ministero del lavoro, concordassero sull'interpretazione di dare la possibilità di usufruire dell'opzione donna a coloro che avessero raggiunto i requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015, anche se la cosiddetta finestra si sarebbe collocata dopo tale data. Indicando come vicina una svolta. A tutt'oggi invece, nulla è cambiato stante l'opposizione del Ministero dell'Economia. Resta, in particolare l'interpretazione ministeriale, cristallizzata nelle circolari n. 35 e n. 37 del 2012 e cioè che questa possibilità sia limitata alle pensioni con la decorrenza fino al 2015 e, quindi, per effetto della finestra mobile (attesa di 12 e di 18 mesi), le lavoratrici devono aver raggiunto i requisiti anagrafici e contributivi entro novembre 2014 per le dipendenti e entro maggio dello stesso anno per le autonome.
Una scelta che penalizza le donne, già drammaticamente discriminate nel mondo del lavoro. La Gnecchi auspica comunque che una soluzione possa arrivare con la presentazione della legge di stabilità posto che il Governo ha preso precisi impegni nelle scorse settimane. Intanto gli ultimi dati Istat dicono che il 52,8 per cento delle lavoratrici pensionate percepiscono meno di 1.000 euro lordi mensili. Ma non basta. Nella loro carriera lavorativa, oltre ad avere più interruzioni per motivi familiari, hanno spesso contratti atipici.
Secondo l'Istituto di statistica, tra gli occupati, di età compresa tra i 16 e i 64 anni nel 2009, solo il 61,5 per cento delle donne ha avuto un percorso interamente standard. Inoltre, dagli anni '90 è progressivamente aumentato il part time femminile (spesso involontario), passando dal 21 per cento del 1994 al 32,2 per cento del 2014, con conseguenti minori livelli medi di retribuzione e importi più bassi dei contributi versati. A questo si aggiunga che il 30 per cento delle donne occupate lascia il lavoro dopo il primo figlio, confermando la drammatica incompatibilità tra vita familiare e occupazione.