Pensioni, Il testo della sentenza che sblocca la rivalutazione delle pensioni nel biennio 2012-2013

redazione Giovedì, 07 Maggio 2015

E' stata pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale la Sentenza della Corte Costituzionale che dichiara incostituzionale l'articolo 24, comma 25 del decreto legge 201/2011 nella parte in cui ha escluso l'indicizzazione all'inflazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo inps erogati dalla previdenza pubblica per il biennio 2012-2013. Ecco il testo ufficiale della sentenza.

N. 70 SENTENZA 10 marzo - 30 aprile 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Pensioni - Perequazione automatica dei  trattamenti  pensionistici  -
  Limitazione, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente a  quelli  di
  importo complessivo fino a tre volte il  trattamento  minimo  INPS,
  nella misura del 100%. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per  la
  crescita, l'equita' e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici)  -
  convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22
  dicembre 2011, n. 214 - art. 24, comma 25. 
-   

(GU n.18 del 6-5-2015 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo  GROSSI,  Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  24,  comma
25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201  (Disposizioni  urgenti
per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei  conti  pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214, promossi dal Tribunale ordinario  di  Palermo,
sezione lavoro, con ordinanza del 6 novembre 2013,  dalla  Corte  dei
conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due
ordinanze del 13 maggio  2014,  e  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del  25  luglio
2014, rispettivamente iscritte ai nn. 35, 158, 159 e 192 del registro
ordinanze  2014  e  pubblicate   nella   Gazzetta   Ufficiale   della
Repubblica, nn. 14, 41 e 46, prima serie speciale, dell' anno 2014. 
    Visti gli atti di costituzione di C.G. e dell'Istituto  nazionale
della previdenza sociale (INPS), nonche' gli atti  di  intervento  di
T.G. e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 2015 il Giudice relatore
Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Riccardo Troiano per  C.G.,  Luigi  Caliulo  e
Filippo Mangiapane per  l'INPS  e  l'avvocato  dello  Stato  Giustina
Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il  Tribunale  ordinario  di  Palermo,  sezione  lavoro,  con
ordinanza del 6 novembre 2013, (r.o. n. 35 del 2014),  la  Corte  dei
Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due
ordinanze del 13 maggio 2014 (r.o. n. 158 e r.o. n. 159 del 2014),  e
la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la  Regione  Liguria,
con ordinanza del 25 luglio  2014,  (r.o.  n.  192  del  2014)  hanno
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  del  comma  25
dell'art.  24,  del  decreto-legge  del  6  dicembre  2011,  n.   201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con  modificazioni,  dall'  art.  1,
comma 1 della legge 22 dicembre 2011, n.  214,  nella  parte  in  cui
prevede  che  «In   considerazione   della   contingente   situazione
finanziaria,   la   rivalutazione    automatica    dei    trattamenti
pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1,
della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta, per  gli  anni
2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di  importo
complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura
del 100 per cento», in riferimento agli artt. 2,  3,  23,  36,  primo
comma, 38, secondo comma, 53 e 117, primo comma, della Costituzione. 
    Il Tribunale ordinario di Palermo, sezione  lavoro,  premette  di
essere stato adito per  la  condanna  dell'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS) a corrispondere al ricorrente  i  ratei  di
pensione maturati e non percepiti nel biennio  2012-2013,  maggiorati
di interessi e rivalutazione monetaria fino  all'effettivo  soddisfo,
previa     dichiarazione     di     illegittimita'     costituzionale
dell'azzeramento  della  perequazione   automatica   delle   pensioni
superiori a tre volte il trattamento  minimo  INPS  introdotto  dalla
norma censurata. 
    Il giudice rimettente rileva che la discrezionalita' di cui  gode
il  legislatore  nella  scelta  del  meccanismo  perequativo  diretto
all'adeguamento delle pensioni, fondata sul disposto degli artt. 36 e
38 Cost., ha trovato il proprio meccanismo attuativo nel  sistema  di
perequazione automatica  dei  trattamenti  pensionistici,  introdotto
dall'art. 19 della legge 30 aprile  1969,  n.  153  (Revisione  degli
ordinamenti pensionistici e norme in materia di  sicurezza  sociale).
Aggiunge che il blocco introdotto dalla normativa censurata  reitera,
rendendola piu'  gravosa,  la  misura  di  interruzione  del  sistema
perequativo gia' a suo tempo sancita dalla legge 24 dicembre 2007, n.
247 (Norme di  attuazione  del  Protocollo  del  23  luglio  2007  su
previdenza, lavoro e  competitivita'  per  favorire  l'equita'  e  la
crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro  e
previdenza  sociale),  che   era   limitata   ai   soli   trattamenti
pensionistici  eccedenti  otto  volte  il  trattamento  minimo  INPS,
nonostante   il   monito   rivolto   al   legislatore   dalla   Corte
costituzionale con la sentenza n. 316 del 2010, teso a  rimuovere  il
rischio della frequente reiterazione di misure volte a paralizzare il
meccanismo perequativo. 
    Con la  misura  censurata,  secondo  il  rimettente,  si  sarebbe
violato l'invito della Corte, mediante azzeramento della perequazione
per i trattamenti pensionistici di piu' basso importo, per  due  anni
consecutivi e senza alcuna successiva possibilita' di recupero. 
    Il giudice a quo richiama la  giurisprudenza  costituzionale  (in
particolare la sentenza n. 223 del  2012)  secondo  cui  la  gravita'
della situazione  economica,  che  lo  Stato  deve  affrontare,  puo'
giustificare  anche  il  ricorso  a  strumenti  eccezionali,  con  la
finalita'  di  contemperare  il   soddisfacimento   degli   interessi
finanziari con la garanzia dei servizi e dei diritti  dei  cittadini,
nel rispetto del principio fondamentale di eguaglianza. 
    Deduce, quindi, la violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost.,
poiche' l'assenza di rivalutazione impedirebbe la  conservazione  nel
tempo  del  valore  della  pensione,  menomandone   l'adeguatezza   e
dell'art.  36,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto  il  blocco   della
perequazione  lederebbe  il  principio  di  proporzionalita'  tra  la
pensione, che costituisce  il  prolungamento  della  retribuzione  in
costanza di lavoro, e il trattamento  retributivo  percepito  durante
l'attivita' lavorativa. 
    Sostiene, altresi', la lesione del combinato disposto degli artt.
36, 38 e 3 Cost.,  poiche'  la  mancata  rivalutazione,  violando  il
principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione e quello di
adeguatezza della prestazione previdenziale, altererebbe il principio
di   eguaglianza   e   ragionevolezza,   causando   una   irrazionale
discriminazione in danno  della  categoria  dei  pensionati.  Deduce,
inoltre,   la   violazione    del    principio    di    universalita'
dell'imposizione di  cui  all'art.  53  Cost.  e  di  quello  di  non
discriminazione ai fini dell'imposizione e di parita' di  prelievo  a
parita' di presupposto di imposta di cui al combinato disposto  degli
artt. 3, 23 e 53 Cost., poiche', indipendentemente  dal  nomen  iuris
utilizzato, la misura adottata si  configurerebbe  quale  prestazione
patrimoniale  di  natura  sostanzialmente   tributaria,   in   quanto
doverosa, non connessa all'esistenza di  un  rapporto  sinallagmatico
tra le parti  e  collegata  esclusivamente  alla  pubblica  spesa  in
relazione ad un presupposto economicamente rilevante. 
    2.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la  Regione
Emilia - Romagna, che ha sollevato  con  due  distinte  ordinanze  la
questione di legittimita' costituzionale del comma  25  dell'art.  24
del  d.l.  n.  201  del  2011,  come  convertito,  riferisce  che  il
ricorrente nel giudizio principale lamentava la mancata rivalutazione
automatica del  proprio  trattamento  pensionistico  in  applicazione
della norma oggetto di censura,  per  effetto  della  esclusione  del
meccanismo di perequazione per le pensioni di importo superiore a tre
volte il trattamento minimo INPS. 
    Evidenzia,  alla  luce   della   giurisprudenza   costituzionale,
l'illegittimita' delle frequenti  reiterazioni  di  misure  intese  a
paralizzare il meccanismo perequativo,  sottolineando,  altresi',  il
carattere peggiorativo  della  norma  censurata  rispetto  all'art.1,
comma 19, della legge n. 247 del 2007, cosi' determinando  il  blocco
dell'adeguamento dei trattamenti superiori a tre  volte,  anziche'  a
otto volte, rispetto al trattamento minimo INPS, avuto anche riguardo
alla vicinanza temporale  rispetto  all'ultimo  azzeramento  attuato,
nonche' alla mancata previsione di un meccanismo di recupero. 
    In particolare, secondo il giudice a quo, il  vizio  della  norma
censurata emerge ove si  consideri  che  la  natura  di  retribuzione
differita delle pensioni ordinarie  e'  stata  ormai  definitivamente
riconosciuta dalla Corte costituzionale (viene richiamata la sentenza
n. 116 del 2013). Il maggior prelievo tributario  rispetto  ad  altre
categorie risulta, con piu' evidenza, discriminatorio, poiche'  grava
su  redditi  ormai  consolidati  nel  loro  ammontare,  collegati   a
prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno  esaurito  la
loro vita lavorativa, rispetto ai quali non  risulta  piu'  possibile
ridisegnare sul piano  sinallagmatico  il  rapporto  di  lavoro,  con
conseguente lesione degli artt. 3 e 53 Cost. 
    Ad avviso della Corte rimettente, il  mancato  adeguamento  delle
retribuzioni equivale a una loro decurtazione in  termini  reali  con
effetti permanenti, ancorche' il blocco sia  formalmente  temporaneo,
non essendo previsto alcun meccanismo di  recupero,  con  conseguente
violazione degli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost. Tale  blocco  incide  sui
pensionati, fascia per antonomasia debole per eta' ed  impossibilita'
di  adeguamento   del   reddito,   come   evidenziato   dalla   Corte
costituzionale, secondo la quale i redditi derivanti dai  trattamenti
pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura  diversa
e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai
fini dell'osservanza dell'art. 53 Cost., che non consente trattamenti
in peius  di  determinate  categorie  di  redditi  da  lavoro  (viene
richiamata ancora la sentenza n. 116 del 2013). 
    La Corte dei conti  aggiunge  che  l'introduzione  di  un'imposta
speciale, sia pure transitoria ed  eccezionale,  viola  il  principio
della  parita'  di  prelievo  a  parita'  di  presupposto   d'imposta
economicamente rilevante e che, quindi, il blocco della  perequazione
si traduce in una lesione del combinato disposto di cui agli artt.  3
e 53 Cost., in quanto la norma censurata limita i  destinatari  della
stessa soltanto  ad  una  "platea  di  soggetti  passivi",  cioe'  ai
percettori del trattamento pensionistico, in violazione del principio
della universalita' della imposizione. 
    Essa sottolinea, inoltre, come l'intervento legislativo  evidenzi
il carattere sempre piu' strutturale del  meccanismo  di  azzeramento
della  rivalutazione  e  non  quello  di  misura   eccezionale,   non
reiterabile,  senza  osservare  il  monito   espresso   dalla   Corte
costituzionale nella sentenza n. 316 del 2010, con riguardo ai  gravi
rischi  di  irragionevolezza  e  violazione  della   proporzionalita'
derivanti  dalla  frequente  reiterazione  delle   misure   volte   a
paralizzare il meccanismo di perequazione automatica,  in  quanto  le
pensioni,  anche  di  maggior  consistenza,  potrebbero  non   essere
sufficientemente difese in  relazione  ai  mutamenti  del  potere  di
acquisto della moneta. 
    Deduce, poi, come la norma censurata si presenti lesiva anche del
principio di affidamento del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica,
garantito  dall'art.  3  Cost.,  giacche'  i  pensionati  adeguano  i
programmi di vita alle previsioni  circa  le  proprie  disponibilita'
economiche, con conseguente pregiudizio per le aspettative di vita di
questi ultimi . 
    Sostiene, quindi, la palese  irragionevolezza  del  provvedimento
censurato e l'irrazionalita' dello stesso  per  eccedenza  del  mezzo
rispetto  al  fine,  dovendo  provvedersi  ad   esigenze   quali   la
«contingente  situazione  finanziaria»  richiamata  dal   legislatore
mediante la fiscalita' ordinaria, secondo il disposto di cui all'art.
53 Cost. 
    Invoca, infine, sulla base dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
quale  parametro  interposto,   la   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma 4 novembre 1950 (CEDU), ratificata  e  resa  esecutiva
con legge 4 agosto 1955, n. 848, richiamando poi il  principio  della
certezza del diritto, quale patrimonio comune degli Stati contraenti,
nonche' il diritto dell'individuo alla liberta' e alla  sicurezza  di
cui all'art. 6  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea,  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, il diritto di non discriminazione che
include anche quella fondata sul patrimonio  (art.  21),  il  diritto
degli anziani di condurre una vita  dignitosa  e  indipendente  (art.
25), il diritto alla protezione della famiglia sul  piano  giuridico,
economico  e  sociale  (art.  33)  ed  il  diritto  di  accesso  alle
prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali di cui all'art.
34 della medesima Carta. 
    3.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la  Regione
Liguria, premette che  la  ricorrente  nel  giudizio  principale  era
titolare di pensione  diretta  e  di  pensione  indiretta  del  Fondo
dipendenti INPS e che l'importo complessivo dei due  trattamenti  era
stato mantenuto fermo anche negli anni 2012 e 2013,  in  applicazione
della norma impugnata, aggiungendo che la parte aveva  agito  per  la
condanna dell'INPS  al  pagamento  delle  quote  di  trattamento  non
corrisposte, previo  promovimento  della  questione  di  legittimita'
costituzionale della norma censurata. 
    Nel merito, osserva la Corte rimettente che, pur avendo la  Corte
costituzionale ammesso, in  linea  di  principio,  la  compatibilita'
costituzionale di disposizioni legislative che incidano su situazioni
soggettive attinenti ai  rapporti  di  durata,  facendosi  carico  di
esigenze di contenimento della  spesa  pubblica,  la  stessa  ha,  al
contempo, invitato il legislatore a  salvaguardare  il  principio  di
ragionevolezza nelle manovre  economiche  adottate,  a  tutela  degli
interessi dei cittadini (viene richiamata  la  sentenza  n.  316  del
2010). 
    Nel caso del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, come
convertito, secondo il giudice a  quo  difetterebbero  i  presupposti
segnalati dalla giurisprudenza costituzionale, atteso che,  in  primo
luogo, l'intervento non avrebbe  il  carattere  realmente  temporaneo
voluto dal giudice delle leggi, perche' esteso per un arco  temporale
di due anni. Inoltre, esso non  riguarderebbe  soltanto  le  pensioni
piu' alte, incidendo, invece, sui trattamenti pensionistici  di  piu'
basso importo, superiori ad euro 1.405,05 lordi per il 2012 ed a euro
1.441,56 lordi per il 2013. Per tali trattamenti,  secondo  la  Corte
rimettente, la pressante esigenza di  rivalutazione  sistematica  del
correlativo valore monetario, che garantisce il soddisfacimento degli
stessi bisogni alimentari, sarebbe irrimediabilmente frustrata. 
    In particolare, lo sganciamento  dai  meccanismi  di  adeguamento
automatico dei trattamenti pensionistici superiori  a  tre  volte  il
minimo INPS, per un tempo  considerevole,  minerebbe  il  sistema  di
adeguamento costituzionalmente rilevante, con violazione dei principi
di cui agli artt. 36 e 38 Cost. 
    Come ricordato dal giudice rimettente, la Corte costituzionale ha
affermato  (viene  citata  la  sentenza  n.  497  del  1988)  che  la
protezione  cosi'  garantita  ai  lavoratori  postula  requisiti   di
effettivita', tanto piu' che essa si collega alla tutela dei  diritti
fondamentali della persona  sanciti  dall'art.  2  Cost.,  mentre  il
perdurante  necessario  rispetto  dei  principi  di  sufficienza   ed
adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur  nell'esercizio
del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le  varie  esigenze
di politica economica e le disponibilita' finanziarie, di individuare
un  meccanismo  in  grado  di  assicurare  un  reale   ed   effettivo
adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle variazioni  del  costo
della vita (il richiamo e' alla sentenza n. 30 del 2004). 
    Il  Collegio   rimettente   osserva,   quindi,   che   la   Corte
costituzionale, pur avendo riconosciuto, con la sentenza n.  316  del
2010, la legittimita' di temporanee sospensioni  della  perequazione,
anche se limitate alle pensioni  di  importo  piu'  elevato,  ha,  al
contempo, precisato che la  ragionevolezza  complessiva  del  sistema
dovra' essere apprezzata nel quadro del contemperamento di  interessi
di rango costituzionale, alla luce dell'art.  3  Cost.  Con  cio'  si
intende evitare che una generalizzata esigenza di contenimento  della
finanza pubblica possa risultare sempre e comunque valido motivo  per
determinare la compromissione «di diritti maturati o  la  lesione  di
consolidate  sfere  di  interessi,   sia   individuali,   sia   anche
collettivi» (viene citata la sentenza n. 92 del 2013). 
    Deduce, poi,  il  contrasto  con  gli  artt.  3,  23,  53  Cost.,
sollevando d'ufficio la relativa questione, per essere stato  imposto
con la norma censurata un sacrificio cospicuo ad una  sola  categoria
di  cittadini,  incorrendo  nella   violazione   del   principio   di
eguaglianza, a causa della disparita' di trattamento che puo'  essere
ravvisata nella differente previsione di prestazioni  patrimoniali  a
carico di soggetti titolari di redditi analoghi. 
    4.- Si e' costituito in giudizio (r.o.  n.  35  del  2014)  C.G.,
ricorrente nel giudizio  principale  pendente  dinanzi  al  Tribunale
ordinario di Palermo, sezione lavoro, instando per la declaratoria di
illegittimita'   costituzionale   della   disposizione    legislativa
censurata. Sostiene, in particolare, il pregiudizio per l'adeguatezza
delle prestazioni previdenziali,  la  quale  imporrebbe  la  costante
perequazione  della  pensione  al  mutamento  dei  valori   monetari.
Aggiunge il difetto di qualsivoglia modalita' di recupero della somma
oggetto di blocco della perequazione per il biennio  2012-2013  e  la
conseguente violazione degli artt. 3, 36, primo comma, e 38,  secondo
comma, Cost., in quanto il criterio adottato  sarebbe  irragionevole,
lesivo del principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione,
nonche' del principio di adeguatezza di cui all'art. 38 Cost. 
    5.- Si e', altresi', costituito in tutti i  giudizi,  (r.o.  n.n.
35, 158, 159 e 192 del 2014), l'INPS, chiedendo che siano  dichiarate
manifestamente infondate le questioni di legittimita'  costituzionale
sollevate, alla luce della giurisprudenza costituzionale secondo  cui
spetta alla discrezionalita' del legislatore,  in  conformita'  a  un
ragionevole  bilanciamento  dei  valori  costituzionali,  dettare  la
disciplina di un  adeguato  trattamento  pensionistico  alla  stregua
delle risorse disponibili, fatta salva la  garanzia  di  salvaguardia
delle esigenze minime di protezione della persona. 
    L'Istituto osserva, al riguardo, che la norma censurata si limita
a sospendere l'operativita' del meccanismo rivalutativo esistente per
un breve orizzonte temporale e  a  salvaguardare  le  posizioni  piu'
deboli sotto il profilo economico, evidenziando,  altresi',  come  la
Corte,  con  la  sentenza  n.  316  del  2010,  abbia  gia'   deciso,
respingendola,  analoga  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007 ed aggiungendo che
la mancata perequazione per un  tempo  limitato  della  pensione  non
incide sulla sua adeguatezza,  in  particolare  per  le  pensioni  di
importo piu' elevato. 
    6.- Ha proposto intervento ad  adiuvandum  T.G.,  premettendo  di
essere iscritto al Fondo pensioni del personale delle Ferrovie  dello
Stato spa, di non aver goduto, in forza dell'applicazione della norma
di cui al comma 25 dell'art. 24, del  d.l.  n.  201  del  2011,  come
convertito, degli aumenti di perequazione automatica per la parte  di
pensione superiore a tre  volte  il  trattamento  minimo  e  di  aver
depositato analogo ricorso  per  le  proprie  pretese  pensionistiche
dinanzi alla sezione  giurisdizionale  del  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, allo  scopo  di  sentir  dichiarato  il  proprio
diritto alla perequazione automatica. 
    Assume,  in  particolare,  a  sostegno  dell'ammissibilita'   del
proprio  intervento,  il  difetto  di  tutela  per  chi   non   abbia
partecipato  al  giudizio  principale,  ma   versi   nelle   medesime
condizioni delle parti e, nel merito, la violazione degli  artt.  38,
secondo comma, 36, primo comma, e 3 Cost., nonche', infine, dell'art.
53 e del combinato disposto degli artt. 2, 23 e 53 Cost. 
    7.- E' intervenuto nei giudizi il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, instando per l'inammissibilita' o, comunque, per la  manifesta
infondatezza della questione sollevata. 
    La difesa dello Stato eccepisce preliminarmente il difetto  della
previa  domanda  amministrativa,  presupposto  dell'azione,  la   cui
mancanza renderebbe la domanda improponibile e adduce l'esistenza  di
una temporanea carenza  di  giurisdizione,  rilevabile  in  qualsiasi
stato e grado del giudizio. 
    L'Avvocatura  generale  rileva,  in  ogni  caso,   la   manifesta
infondatezza della questione riguardo a tutti i parametri segnalati e
richiama la giurisprudenza costituzionale, nonche' il principio dalla
stessa espresso, secondo cui la mancata perequazione  della  pensione
per un periodo contenuto non incide sull'adeguatezza del  trattamento
pensionistico. 
    8.- All'udienza pubblica, le parti costituite hanno insistito per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il  Tribunale  ordinario  di  Palermo,  sezione  lavoro,  con
ordinanza del 6 novembre 2013 (r.o. n. 35 del  2014),  la  Corte  dei
conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due
ordinanze del 13 maggio 2014 (r.o. n. 158 e n. 159  del  2014)  e  la
Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria,  con
ordinanza del 25 luglio 2014 (r.o. n. 192 del 2014),  dubitano  della
legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24,  decreto-legge
del 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti  per  la  crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n.
214, nella parte in  cui,  per  gli  anni  2012  e  2013,  limita  la
rivalutazione monetaria dei trattamenti  pensionistici  nella  misura
del  100  per  cento,  esclusivamente  alle   pensioni   di   importo
complessivo  fino  a  tre  volte  il  trattamento  minimo  INPS,   in
riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 23, 36, primo comma, 38,
secondo comma, 53 e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo
in relazione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4  novembre
1950 (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,  n.
848. 
    Tutti i giudici rimettenti ritengono che il comma 25 dell'art. 24
sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt.  3,
36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.,  in  quanto  la  mancata
rivalutazione, violando i principi di proporzionalita' e  adeguatezza
della prestazione previdenziale, si  porrebbe  in  contrasto  con  il
principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando  una  irrazionale
discriminazione in danno della categoria dei pensionati. 
    La norma censurata recherebbe anche un vulnus agli artt. 2, 23  e
53  Cost.,  poiche'  la  misura  adottata  si  configurerebbe   quale
prestazione patrimoniale di  natura  sostanzialmente  tributaria,  in
violazione  del  principio  dell'universalita'   dell'imposizione   a
parita' di capacita' contributiva, in quanto posta a  carico  di  una
sola categoria di contribuenti. 
    La sola Corte dei conti, sezione giurisdizionale per  la  Regione
Emilia - Romagna censura, infine, la predetta disposizione, anche con
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla CEDU,
richiamando, poi, gli artt. 6, 21,  25,  33  e  34  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    2.- I giudizi hanno ad oggetto  la  stessa  norma,  censurata  in
relazione   a   parametri   costituzionali,   per   profili   e   con
argomentazioni in larga misura coincidenti. 
    Deve, pertanto, esser disposta la riunione dei giudizi al fine di
un'unica pronuncia (ex plurimis, sentenza n. 16 del  2015,  ordinanza
n. 164 del 2014). 
    Nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Palermo, sezione
lavoro, ha spiegato intervento ad adiuvandum T.G., che non  e'  parte
nel procedimento  principale,  assumendo  di  aver  proposto  analogo
ricorso dinanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per  la
Regione Lazio, allo scopo di sentir riconosciuto il  proprio  diritto
alla perequazione automatica del trattamento pensionistico,  per  gli
anni 2012 e 2013, negato dall'INPS. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte  (per  tutte,
sentenza  n.  216  del  2014),  possono  intervenire   nel   giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale le sole parti del giudizio
principale  ed  i  terzi  portatori  di  un  interesse   qualificato,
immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e
non semplicemente regolato, al pari di  ogni  altro,  dalla  norma  o
dalle norme oggetto di censura. 
    La circostanza che l'istante sia parte in un giudizio diverso  da
quello oggetto dell'ordinanza di  rimessione,  nel  quale  sia  stata
sollevata analoga questione di legittimita'  costituzionale,  non  e'
sufficiente  a  rendere  ammissibile   l'intervento   (ex   plurimis,
ordinanza n. 150 del 2012). 
    Conseguentemente, poiche' T.G. non e' stato  parte  del  giudizio
principale nel corso del quale e' stata  sollevata  la  questione  di
legittimita' costituzionale oggetto dell'ordinanza iscritta al n.  35
del reg. ord. 2014, ne'  risulta  essere  titolare  di  un  interesse
qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al  rapporto
sostanziale dedotto in giudizio, l'intervento dallo  stesso  proposto
va dichiarato inammissibile. 
    3.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la  Regione
Emilia-Romagna, nelle  due  ordinanze  di  rimessione,  dubita  della
legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201
del  2011,  come  convertito  dalla  legge  n.  214  del   2011,   in
riferimento, fra l'altro all'art. 117, primo comma,  Cost.  e  invoca
genericamente,  quale  parametro  interposto,  la   CEDU,   per   poi
richiamare, piu' specificamente, una serie di disposizioni  contenute
nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. 
    In particolare, sono evocati, oltre al principio  della  certezza
del diritto quale «patrimonio comune agli Stati contraenti», anche  «
gli altri diritti garantiti dalla Carta:  il  diritto  dell'individuo
alla  liberta'  e  alla  sicurezza  (art.  6),  il  diritto  di   non
discriminazione, che include anche quella fondata  sul  "patrimonio",
(art. 21), il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa ed
indipendente (art. 25), il diritto alla protezione della famiglia sul
piano giuridico, economico e sociale (art. 33), il diritto di accesso
alle prestazioni di sicurezza sociale  e  ai  servizi  sociali  (art.
34)». 
    La questione, come prospettata, e' inammissibile. 
    Va preliminarmente rilevato che questa Corte ritiene configurarsi
un'ipotesi di inammissibilita' della questione,  qualora  il  giudice
non  fornisca  una   motivazione   adeguata   sulla   non   manifesta
infondatezza  della  stessa,  limitandosi  a  evocarne  i   parametri
costituzionali, senza argomentare in modo sufficiente in ordine  alla
loro violazione (ex plurimis, ordinanza n. 36 del 2015). 
    In tale ipotesi, il difetto nell'esplicitazione delle ragioni  di
conflitto tra la norma censurata e i parametri costituzionali evocati
inibisce lo scrutinio nel merito delle  questioni  medesime  (fra  le
altre, ordinanza n. 158 del 2011), con  conseguente  inammissibilita'
delle stesse. 
    Nel caso di specie, la Corte rimettente si  limita  a  richiamare
l'art. 117, primo comma,  Cost.,  per  violazione  della  CEDU  «come
interpretata dalla Corte di Strasburgo» 
    senza addurre alcun elemento a sostegno di tale asserito  vulnus,
in particolare con riferimento  alle  modalita'  di  incidenza  della
norma oggetto di impugnazione sul parametro costituzionale evocato. 
    Inoltre il richiamo alla CEDU si rivela, nella sostanza, erroneo,
atteso che esso risulta affiancato  dal  riferimento  a  disposizioni
normative  riconducibili  alla   Carta   dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea. Quest'ultima fonte, come  risulta  dall'art.  6,
comma  1  del  Trattato  sull'Unione  europea,  come  modificato  dal
Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato  e  reso
esecutivo con la legge 2 agosto 2008, n. 130,  ha  lo  stesso  valore
giuridico dei trattati. 
    Pertanto, l'esame dell'ordinanza di rimessione  non  consente  di
evincere in qual modo le norme  della  CEDU  siano  compromesse,  per
effetto dell'applicazione della disposizione oggetto di censura. 
    Una   tale   carenza   argomentativa   costituisce   motivo    di
inammissibilita' della questione di legittimita'  costituzionale,  in
quanto preclusiva della valutazione della fondatezza. 
    Il giudice a quo non fornisce sufficienti elementi che consentano
di vagliare le modalita'  di  incidenza  della  norma  censurata  sul
parametro genericamente invocato ed omette di  allegare  argomenti  a
sostegno degli effetti pregiudizievoli di tale incidenza, richiamando
erroneamente disposizioni normative  afferenti  al  diritto  primario
dell'Unione europea. 
    4.- La questione di costituzionalita' per violazione degli  artt.
2, 3, 23 e 53 Cost., in relazione  alla  presunta  natura  tributaria
della misura in esame, non e' fondata. 
    Tutte le ordinanze di  rimessione  affermano  che,  nel  caso  di
specie, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato,  la  misura  di
azzeramento della rivalutazione automatica per gli anni 2012 e  2013,
relativa ai  trattamenti  pensionistici  superiori  a  tre  volte  il
trattamento minimo INPS, configurerebbe una prestazione  patrimoniale
di  natura  tributaria,  lesiva  del   principio   di   universalita'
dell'imposizione a parita' di capacita' contributiva, in quanto posta
a carico di una sola categoria  di  contribuenti.  Nell'imporre  alle
parti di concorrere alla spesa pubblica non in ragione della  propria
capacita' contributiva, essa violerebbe il principio di eguaglianza. 
    I rimettenti richiamano, in particolare, le decisioni n. 116  del
2013 e n. 223  del  2012  nella  parte  in  cui  si  afferma  che  la
Costituzione non impone una tassazione fiscale uniforme, con  criteri
assolutamente identici e proporzionali  per  tutte  le  tipologie  di
imposizione tributaria, ma esige un  indefettibile  raccordo  con  la
capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato  a  criteri
di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico  campo
tributario, del principio di eguaglianza (in tal senso, fra  le  piu'
recenti, sentenza n. 10 del 2015). Cio'  si  collega  al  compito  di
rimozione degli ostacoli economico-sociali che di fatto  limitano  la
liberta' e l'eguaglianza dei cittadini-persone umane, in  spirito  di
solidarieta' politica, economica e sociale di cui agli artt.  2  e  3
della Costituzione (ordinanza n. 341  del  2000,  ripresa  sul  punto
dalla sentenza n. 223 del 2012). 
    L'azzeramento della perequazione automatica oggetto  di  censura,
tuttavia, sfugge ai canoni della prestazione patrimoniale  di  natura
tributaria,  atteso  che  esso  non  da'  luogo  ad  una  prestazione
patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto  autoritativo  di
carattere ablatorio, destinato a reperire risorse per l'erario. 
    La giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 219 e
n.  154  del  2014)  ha  costantemente  precisato  che  gli  elementi
indefettibili della fattispecie tributaria sono  tre:  la  disciplina
legale deve essere  diretta,  in  via  prevalente,  a  procurare  una
(definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo;
la decurtazione non  deve  integrare  una  modifica  di  un  rapporto
sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente
rilevante e derivanti  dalla  suddetta  decurtazione,  devono  essere
destinate a sovvenire pubbliche spese. 
    Un tributo consiste in un «prelievo coattivo che  e'  finalizzato
al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico di un  soggetto
passivo in base ad uno specifico indice  di  capacita'  contributiva»
(sentenza n. 102 del 2008). Tale indice deve esprimere l'idoneita' di
ciascun soggetto all'obbligazione tributaria (fra le prime,  sentenze
n. 91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del 1965  e  n.
45 del 1964). 
    Il comma  25  dell'art.  24  del  d.l.  n.  201  del  2011,  come
convertito, che dispone per un biennio il blocco  del  meccanismo  di
rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte  il
trattamento minimo INPS, non riveste, quindi, natura  tributaria,  in
quanto non prevede una  decurtazione  o  un  prelievo  a  carico  del
titolare di un trattamento pensionistico. 
    In base ai criteri elaborati  da  questa  Corte  in  ordine  alle
prestazioni patrimoniali, in assenza di una decurtazione patrimoniale
o di un prelievo della stessa natura a carico del  soggetto  passivo,
viene  meno  in  radice  il  presupposto  per  affermare  la   natura
tributaria della disposizione. Inoltre, viene a mancare il  requisito
che consente l'acquisizione delle risorse al  bilancio  dello  Stato,
poiche' la disposizione non fornisce, neppure in via  indiretta,  una
copertura a pubbliche spese, ma determina esclusivamente un risparmio
di spesa. 
    Il difetto dei requisiti propri dei tributi e, in generale, delle
prestazioni  patrimoniali  imposte,   determina,   quindi,   la   non
fondatezza delle censure sollevate in riferimento al mancato rispetto
dei principi di progressivita' e di capacita' contributiva. 
    5.- La questione prospettata con riferimento agli  artt.  3,  36,
primo comma, e 38, secondo comma, Cost. e' fondata. 
    La perequazione automatica, quale strumento di adeguamento  delle
pensioni al mutato potere di acquisto della moneta,  fu  disciplinata
dalla legge 21  luglio  1965,  n.  903  (Avviamento  alla  riforma  e
miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza  sociale),
all'art. 10, con la finalita' di fronteggiare la svalutazione che  le
prestazioni   previdenziali   subiscono   per   il   loro   carattere
continuativo. 
    Per  perseguire  un  tale  obiettivo,  in  fasi  sempre  mutevoli
dell'economia,  la  disciplina  in  questione  ha   subito   numerose
modificazioni. 
    Con l'art.19 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione  degli
ordinamenti pensionistici e norme in materia di  sicurezza  sociale),
nel prevedere in via generalizzata l'adeguamento  dell'importo  delle
pensioni nel regime dell'assicurazione  obbligatoria,  si  scelse  di
agganciare  in  misura  percentuale  gli   aumenti   delle   pensioni
all'indice del costo della vita calcolato dall'ISTAT, ai  fini  della
scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria. 
    Con l'art. 11, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 503, recante «Norme per il riordinamento del sistema previdenziale
dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23
ottobre 1992,  n.  421»,  oltre  alla  cadenza  annuale  e  non  piu'
semestrale degli aumenti a  titolo  di  perequazione  automatica,  si
stabili'  che  gli  stessi  fossero  calcolati   sul   valore   medio
dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai  ed
impiegati.  Tale  modifica   mirava   a   compensare   l'eliminazione
dell'aggancio alle dinamiche  salariali,  al  fine  di  garantire  un
collegamento con l'evoluzione del livello medio del  tenore  di  vita
nazionale. L'art.  11,  comma  2,  previde,  inoltre,  che  ulteriori
aumenti  potessero  essere  stabiliti  con  legge   finanziaria,   in
relazione all'andamento dell'economia. 
    Il  meccanismo  di  rivalutazione  automatica   dei   trattamenti
pensionistici  governato  dall'art.  34,  comma  1,  della  legge  23
dicembre  1998,  n.  448  (Misure  di   finanza   pubblica   per   la
stabilizzazione e lo sviluppo) si prefigge di tutelare i  trattamenti
pensionistici dalla erosione del potere di acquisto della moneta, che
tende a colpire le prestazioni  previdenziali  anche  in  assenza  di
inflazione. Con  effetto  dal  1°  gennaio  1999,  il  meccanismo  di
rivalutazione delle pensioni si applica per ogni singolo beneficiario
in funzione dell'importo complessivo dei  trattamenti  corrisposti  a
carico  dell'assicurazione  generale  obbligatoria.  L'aumento  della
rivalutazione automatica opera, ai sensi del  comma  1  dell'art.  34
citato, in misura  proporzionale  all'ammontare  del  trattamento  da
rivalutare rispetto all'ammontare complessivo. 
    Tuttavia, l'art 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2001), con riferimento al  meccanismo
appena illustrato di aumento della perequazione  automatica,  prevede
che esso spetti per intero soltanto  per  le  fasce  di  importo  dei
trattamenti pensionistici fino a  tre  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Spetta nella misura del 90 per cento per le fasce di importo da
tre a cinque volte il trattamento minimo INPS ed e' ridotto al 75 per
cento per i trattamenti eccedenti il quintuplo del  predetto  importo
minimo. Questa impostazione fu seguita dal legislatore in  successivi
interventi, a conferma di un orientamento  che  predilige  la  tutela
delle  fasce  piu'  deboli.  Ad  esempio,  l'art.  5,  comma  6,  del
decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81 (Disposizioni urgenti  in  materia
finanziaria), convertito, con  modificazioni,  dall'art.1,  comma  1,
della  legge  3  agosto  2007,  n.  127,  prevede,  per  il  triennio
2008-2010, una perequazione al 100 per cento per le fasce di  importo
tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS. 
    In  conclusione,  la  disciplina  generale  che  si  ricava   dal
complesso  quadro  storico-evolutivo  della  materia,   prevede   che
soltanto  le  fasce   piu'   basse   siano   integralmente   tutelate
dall'erosione  indotta  dalle  dinamiche   inflazionistiche   o,   in
generale, dal ridotto potere di acquisto delle pensioni. 
    6.- Quanto alle sospensioni del meccanismo perequativo,  affidate
a scelte discrezionali del legislatore, esse hanno seguito nel  corso
degli anni orientamenti  diversi,  nel  tentativo  di  bilanciare  le
attese dei pensionati con variabili esigenze  di  contenimento  della
spesa. 
    L'art. 2 del decreto-legge 19  settembre  1992,  n.  384  (Misure
urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di  pubblico  impiego,
nonche' disposizioni fiscali) previde che, in attesa della  legge  di
riforma del sistema pensionistico e, comunque, fino  al  31  dicembre
1993, fosse sospesa l'applicazione di ogni disposizione di legge,  di
regolamento o di  accordi  collettivi,  che  introducesse  aumenti  a
titolo di perequazione automatica  delle  pensioni  previdenziali  ed
assistenziali,  pubbliche  e  private,  ivi  compresi  i  trattamenti
integrativi a carico  degli  enti  del  settore  pubblico  allargato,
nonche' aumenti a titolo di  rivalutazione  delle  rendite  a  carico
dell'INAIL. In sede di conversione di  tale  decreto,  tuttavia,  con
l'art.  2,  comma  1-bis,  della  legge  14  novembre  1992,  n.  438
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  19
settembre  1992,  n.  384,  recante  misure  urgenti  in  materia  di
previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'  disposizioni
fiscali), si provvide a mitigare gli effetti della disposizione,  che
dunque opero' non come provvedimento di  blocco  della  perequazione,
bensi' quale misura di contenimento della rivalutazione, alla stregua
di percentuali predefinite dal legislatore in riferimento al tasso di
inflazione programmata. 
    In seguito, l'art. 11, comma 5, della legge 24 dicembre 1993,  n.
537  (Interventi  correttivi  di  finanza   pubblica),   provvide   a
restituire, mediante un aumento una tantum disposto per il  1994,  la
differenza tra inflazione programmata ed  inflazione  reale,  perduta
per effetto della disposizione di cui all'art. 2 della legge  n.  438
del 1992. Conseguentemente, il blocco,  originariamente  previsto  in
via generale e senza distinzioni reddituali dal legislatore del 1992,
fu convertito in una forma meno gravosa  di  raffreddamento  parziale
della dinamica perequativa. 
    Dopo l'entrata in vigore del sistema contributivo, il legislatore
(art. 59, comma 13 della legge 27  dicembre  1997,  n.  449,  recante
«Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica») ha imposto un
azzeramento della perequazione  automatica,  per  l'anno  1998.  Tale
norma, ritenuta legittima da questa Corte con ordinanza  n.  256  del
2001,  ha  limitato  il  proprio  campo  di  applicazione   ai   soli
trattamenti di importo medio - alto,  superiori  a  cinque  volte  il
trattamento minimo. 
    Il blocco, introdotto dall'art. 24, comma  25,  come  convertito,
del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, ora  oggetto  di  censura,
trova un precedente nell'art. 1, comma 19, della  legge  24  dicembre
2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23  luglio  2007
su previdenza, lavoro e competitivita' per favorire  l'equita'  e  la
crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro  e
previdenza  sociale)  che,  tuttavia,  aveva  limitato  l'azzeramento
temporaneo  della  rivalutazione   ai   trattamenti   particolarmente
elevati, superiori a otto volte il trattamento minimo INPS. 
    Si trattava - come si evince dalla relazione tecnica  al  disegno
di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 13 ottobre 2007 - di
una   misura   finalizzata   a   concorrere   solidaristicamente   al
finanziamento di interventi sulle pensioni di anzianita', a  seguito,
dell'innalzamento   della   soglia   di   accesso   al    trattamento
pensionistico (il cosiddetto "scalone") introdotto, a  decorrere  dal
1° gennaio 2008, dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia
pensionistica e deleghe  al  Governo  nel  settore  della  previdenza
pubblica,  per  il   sostegno   alla   previdenza   complementare   e
all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed
assistenza obbligatoria). 
    L'azzeramento della perequazione, disposto per effetto  dell'art.
1, comma 19, della legge n. 247 del  2007,  prima  citata,  e'  stato
sottoposto al vaglio di questa Corte, che ha deciso la questione  con
sentenza n. 316 del 2010. In tale pronuncia questa Corte ha posto  in
evidenza la discrezionalita' di cui gode  il  legislatore,  sia  pure
nell'osservare il  principio  costituzionale  di  proporzionalita'  e
adeguatezza  delle  pensioni,   e   ha   reputato   non   illegittimo
l'azzeramento, per il solo anno 2008, dei  trattamenti  pensionistici
di importo elevato (superiore ad otto  volte  il  trattamento  minimo
INPS). 
    Al contempo,  essa  ha  indirizzato  un  monito  al  legislatore,
poiche'  la  sospensione  a  tempo   indeterminato   del   meccanismo
perequativo,  o  la  frequente  reiterazione  di  misure   intese   a
paralizzarlo,  entrerebbero  in  collisione  con   gli   invalicabili
principi di ragionevolezza e proporzionalita'. Si  afferma,  infatti,
che «[...] le pensioni, sia pure di maggiore consistenza,  potrebbero
non essere sufficientemente difese  in  relazione  ai  mutamenti  del
potere d'acquisto della moneta». 
    7.- L'art.  24,  comma  25,  del  d.l.  n.  201  del  2011,  come
convertito, oggetto di censura  nel  presente  giudizio,  si  colloca
nell'ambito delle "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita'  e
il consolidamento dei  conti  pubblici"  (manovra  denominata  "salva
Italia")  e  stabilisce  che  «In  considerazione  della  contingente
situazione finanziaria», la rivalutazione automatica dei  trattamenti
pensionistici, in base al gia' citato meccanismo stabilito  dall'art.
34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, e'  riconosciuta,  per  gli
anni 2012 e 2013,  esclusivamente  ai  trattamenti  pensionistici  di
importo complessivo fino a tre  volte  il  trattamento  minimo  INPS,
nella misura del cento per cento. 
    Per effetto del dettato legislativo si realizza un'indicizzazione
al 100 per cento  sulla  quota  di  pensione  fino  a  tre  volte  il
trattamento minimo INPS, mentre le pensioni di  importo  superiore  a
tre volte il minimo non  ricevono  alcuna  rivalutazione.  Il  blocco
integrale della  perequazione  opera,  quindi,  per  le  pensioni  di
importo superiore a euro 1.217,00 netti. 
    Tale meccanismo si discosta da  quello  originariamente  previsto
dall'art.  24,  comma  4,  della  legge  28  febbraio  1986,  n.   41
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 1986) e confermato dall'art.  11  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  503  (Norme   per   il
riordinamento del sistema  previdenziale  dei  lavoratori  privati  e
pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge  23  ottobre  1992,  n.
421),   che   non   discriminava   tra   trattamenti    pensionistici
complessivamente intesi, bensi' tra fasce di importo. 
    Secondo la normativa  antecedente,  infatti,  la  percentuale  di
aumento  si  applicava  sull'importo  non  eccedente  il  doppio  del
trattamento minimo del fondo pensioni per  i  lavoratori  dipendenti.
Per le fasce di importo comprese fra  il  doppio  ed  il  triplo  del
trattamento minimo la percentuale era ridotta al 90 per cento. Per le
fasce di importo  superiore  al  triplo  del  trattamento  minimo  la
percentuale era ridotta al 75 per cento. 
    Le modalita' di funzionamento della disposizione  censurata  sono
ideate per incidere sui trattamenti  complessivamente  intesi  e  non
sulle fasce di  importo.  Esse  trovano  un  unico  correttivo  nella
previsione secondo cui, per le pensioni di importo  superiore  a  tre
volte  il  trattamento  minimo  INPS  e  inferiore  a   tale   limite
incrementato  della  quota  di  rivalutazione  automatica  spettante,
l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a  concorrenza
del predetto limite maggiorato. 
    La norma censurata e' frutto di  un  emendamento  che,  all'esito
delle osservazioni rivolte al Ministro del lavoro e  delle  politiche
sociali (Camera dei  Deputati,  Commissione  XI,  Lavoro  pubblico  e
privato,  audizione  del  6  dicembre  2011),   ha   determinato   la
sostituzione  della  originaria   formula.   Quest'ultima   prevedeva
l'azzeramento   della   perequazione   per   tutti   i    trattamenti
pensionistici di importo superiore a due volte il trattamento  minimo
INPS e, quindi, ad euro 946,00.  Il  Ministro  chiari'  nella  stessa
audizione che la misura  da  adottare  non  confluiva  nella  riforma
pensionistica, ma era da intendersi quale «provvedimento da emergenza
finanziaria». 
    La disposizione censurata ha formato oggetto di un'interrogazione
parlamentare (Senato della Repubblica, seduta n.  93,  interrogazione
presentata l'8 agosto 2013, n. 3 - 00321) rimasta inevasa, in cui  si
chiedeva  al  Governo  se  intendesse  promuovere  la  revisione  del
provvedimento, alla luce della giurisprudenza costituzionale. 
    Dall'excursus storico compiuto traspare che la norma  oggetto  di
censura si discosta  in  modo  significativo  dalla  regolamentazione
precedente. Non solo la sospensione  ha  una  durata  biennale;  essa
incide anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato. 
    Il provvedimento legislativo censurato si differenzia,  altresi',
dalla legislazione ad esso successiva. 
    L'art. 1, comma 483, lettera e), della legge  di  stabilita'  per
l'anno 2014 (legge 27 dicembre 2013, n.  147,  recante  «Disposizioni
per  la  formazione  del  bilancio  annuale   e   pluriennale   dello
Stato-legge di stabilita'») ha previsto, per il  triennio  2014-2016,
una rimodulazione nell'applicazione della percentuale di perequazione
automatica sul complesso dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo di cui all'art. 34, comma 1, della legge n. 448 del  1998,
con l'azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei  volte
il trattamento minimo INPS e per  il  solo  anno  2014.  Rispetto  al
disegno di legge originario  le  percentuali  sono  state,  peraltro,
parzialmente modificate. 
    Nel triennio in oggetto la perequazione si applica  nella  misura
del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo  fino  a
tre volte il trattamento minimo, del 95 per cento per  i  trattamenti
di importo superiore a tre volte  il  trattamento  minimo  e  pari  o
inferiori a quattro volte il trattamento minimo del 75 per cento  per
i trattamenti oltre quattro volte e pari o inferiori a  cinque  volte
il trattamento minimo, del 50  per  cento  per  i  trattamenti  oltre
cinque volte e pari o inferiori a sei  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Soltanto per il 2014 il blocco integrale della perequazione  ha
riguardato le fasce di importo superiore a sei volte  il  trattamento
minimo. Il legislatore torna dunque a proporre un discrimen fra fasce
di importo e si ispira a criteri di progressivita',  parametrati  sui
valori costituzionali della proporzionalita' e della adeguatezza  dei
trattamenti  di  quiescenza.  Anche  tale  circostanza  conferma   la
singolarita' della norma oggetto di censura. 
    8.- Dall'analisi dell'evoluzione normativa in  subiecta  materia,
si  evince   che   la   perequazione   automatica   dei   trattamenti
pensionistici e' uno strumento di natura tecnica, volto  a  garantire
nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38,
secondo comma, Cost.  Tale  strumento  si  presta  contestualmente  a
innervare il principio  di  sufficienza  della  retribuzione  di  cui
all'art. 36 Cost., principio applicato, per  costante  giurisprudenza
di  questa  Corte,  ai  trattamenti  di  quiescenza,   intesi   quale
retribuzione differita (fra le altre, sentenza  n.  208  del  2014  e
sentenza n. 116 del 2013). 
    Per le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita' e per la
sua strumentalita'  rispetto  all'attuazione  dei  suddetti  principi
costituzionali,  la  tecnica  della  perequazione  si  impone,  senza
predefinirne   le   modalita',   sulle   scelte   discrezionali   del
legislatore, cui spetta intervenire per determinare  in  concreto  il
quantum di tutela di volta in volta necessario.  Un  tale  intervento
deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo
comma,  e   38,   secondo   comma,   Cost.,   principi   strettamente
interconnessi, proprio in ragione delle finalita' che perseguono. 
    La ragionevolezza di tali finalita'  consente  di  predisporre  e
perseguire  un  progetto  di  eguaglianza  sostanziale,  conforme  al
dettato dell'art. 3, secondo comma, Cost. cosi' da evitare disparita'
di   trattamento   in   danno   dei   destinatari   dei   trattamenti
pensionistici.   Nell'applicare   al   trattamento   di   quiescenza,
configurabile  quale   retribuzione   differita,   il   criterio   di
proporzionalita' alla quantita' e qualita' del lavoro prestato  (art.
36, primo comma, Cost.) e nell'affiancarlo al criterio di adeguatezza
(art. 38,  secondo  comma,  Cost.),  questa  Corte  ha  tracciato  un
percorso coerente  per  il  legislatore,  con  l'intento  di  inibire
l'adozione di misure  disomogenee  e  irragionevoli  (fra  le  altre,
sentenze n. 208 del  2014  e  n.  316  del  2010).  Il  rispetto  dei
parametri citati si fa  tanto  piu'  pressante  per  il  legislatore,
quanto piu' si allunga la speranza di vita e con essa  l'aspettativa,
diffusa  fra  quanti  beneficiano  di  trattamenti  pensionistici,  a
condurre  un'esistenza  libera  e  dignitosa,  secondo   il   dettato
dell'art. 36 Cost. 
    Non a caso, fin dalla sentenza n. 26 del 1980,  questa  Corte  ha
proposto una lettura sistematica degli artt. 36 e 38  Cost.,  con  la
finalita' di offrire «una particolare protezione per il  lavoratore».
Essa ha affermato  che  proporzionalita'  e  adeguatezza  non  devono
sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo,  «ma  vanno
costantemente  assicurate  anche  nel  prosieguo,  in  relazione   ai
mutamenti  del  potere  d'acquisto  della  moneta»,  senza  che  cio'
comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello  delle
pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore
una sfera di discrezionalita' per l'attuazione, anche  graduale,  dei
termini suddetti (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010; n.  106  del
1996; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980; n. 46 del  1979;  n.  176  del
1975; ordinanza n. 383 del 2004). Nondimeno, dal canone dell'art.  36
Cost.  «consegue  l'esigenza  di   una   costante   adeguazione   del
trattamento di quiescenza  alle  retribuzioni  del  servizio  attivo»
(sentenza n. 501 del  1988;  fra  le  altre,  negli  stessi  termini,
sentenza n. 30 del 2004). 
    Il legislatore, sulla base di un  ragionevole  bilanciamento  dei
valori costituzionali deve «dettare  la  disciplina  di  un  adeguato
trattamento pensionistico, alla  stregua  delle  risorse  finanziarie
attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile  delle  esigenze
minime di protezione della persona» (sentenza n. 316 del  2010).  Per
scongiurare il verificarsi di «un non sopportabile  scostamento»  fra
l'andamento delle pensioni e delle retribuzioni, il  legislatore  non
puo' eludere il limite della  ragionevolezza  (sentenza  n.  226  del
1993). 
    Al legislatore spetta, inoltre, individuare idonei meccanismi che
assicurino la perdurante adeguatezza  delle  pensioni  all'incremento
del costo della vita. Cosi'  e'  avvenuto  anche  per  la  previdenza
complementare, che, pur non incidendo in maniera diretta e  immediata
sulla  spesa  pubblica,  non  risulta  del  tutto  indifferente   per
quest'ultima,  poiche'  contribuisce  alla  tenuta  complessiva   del
sistema delle assicurazioni sociali (sentenza n.  393  del  2000)  e,
dunque, all'adeguatezza della prestazione previdenziale ex  art.  38,
secondo comma, Cost. 
    Pertanto, il criterio di  ragionevolezza,  cosi'  come  delineato
dalla giurisprudenza citata in relazione ai principi contenuti  negli
artt. 36, primo comma, e 38, secondo  comma,  Cost.,  circoscrive  la
discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione
di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali. 
    9.- Nel vagliare la dedotta illegittimita'  dell'azzeramento  del
meccanismo perequativo per i trattamenti  pensionistici  superiori  a
otto volte il minimo INPS per l'anno 2008 (art.  1,  comma  19  della
gia' citata legge n. 247 del 2007), questa Corte  ha  ricostruito  la
ratio della norma censurata, consistente  nell'esigenza  di  reperire
risorse necessarie  «a  compensare  l'eliminazione  dell'innalzamento
repentino a sessanta anni a decorrere dal 1° gennaio 2008,  dell'eta'
minima gia' prevista per l'accesso alla  pensione  di  anzianita'  in
base all'articolo 1, comma 6, della legge 23 agosto  2004,  n.  243»,
con «lo scopo dichiarato di  contribuire  al  finanziamento  solidale
degli  interventi  sulle  pensioni  di  anzianita',   contestualmente
adottati con l'art. 1, commi 1 e 2, della medesima  legge»  (sentenza
n. 316 del 2010). 
    In quell'occasione questa Corte non ha ritenuto che fossero stati
violati i parametri di cui agli artt.  3,  36,  primo  comma,  e  38,
secondo comma, Cost. Le pensioni incise per un solo anno dalla  norma
allora impugnata, di importo piuttosto elevato, presentavano «margini
di resistenza  all'erosione  determinata  dal  fenomeno  inflattivo».
L'esigenza di  una  rivalutazione  costante  del  correlativo  valore
monetario e' apparsa per esse meno pressante. 
    Questa Corte ha ritenuto, inoltre, non violato  il  principio  di
eguaglianza, poiche' il  blocco  della  perequazione  automatica  per
l'anno 2008, operato esclusivamente sulle pensioni  superiori  ad  un
limite d'importo di  sicura  rilevanza,  realizzava  «un  trattamento
differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle,
non incise dalla norma  impugnata,  dei  titolari  di  pensioni  piu'
modeste». La previsione generale  della  perequazione  automatica  e'
definita da questa Corte «a regime»,  proprio  perche'  «prevede  una
copertura decrescente, a mano a mano  che  aumenta  il  valore  della
prestazione». La scelta del legislatore in quel caso era sostenuta da
una ratio redistributiva del sacrificio imposto,  a  conferma  di  un
principio solidaristico, che affianca l'introduzione di piu' rigorosi
criteri di accesso al trattamento di  quiescenza.  Non  si  viola  il
principio di eguaglianza, proprio perche' si muove dalla ricognizione
di situazioni disomogenee. 
    La norma, allora oggetto d'impugnazione,  ha  anche  superato  le
censure di palese irragionevolezza, poiche' si e' ritenuto che non vi
fosse riduzione quantitativa dei trattamenti  in  godimento  ma  solo
rallentamento della dinamica perequativa  delle  pensioni  di  valore
piu' cospicuo. Le esigenze  di  bilancio,  affiancate  al  dovere  di
solidarieta', hanno  fornito  una  giustificazione  ragionevole  alla
soppressione della rivalutazione automatica annuale per i trattamenti
di importo otto volte  superiore  al  trattamento  minimo  INPS,  «di
sicura rilevanza», secondo questa Corte, e, quindi, meno  esposte  al
rischio di inflazione. 
    La richiamata pronuncia ha inteso segnalare che la sospensione  a
tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero  la  frequente
reiterazione  di  misure  intese  a  paralizzarlo,  «esporrebbero  il
sistema  ad  evidenti  tensioni  con  gli  invalicabili  principi  di
ragionevolezza e proporzionalita'», poiche' risulterebbe incrinata la
principale  finalita'  di  tutela,  insita   nel   meccanismo   della
perequazione, quella che  prevede  una  difesa  modulare  del  potere
d'acquisto delle pensioni. 
    Questa Corte si  era  mossa  in  tale  direzione  gia'  in  epoca
risalente, con il ritenere di dubbia legittimita'  costituzionale  un
intervento che incida «in misura notevole e  in  maniera  definitiva»
sulla  garanzia  di  adeguatezza  della  prestazione,  senza   essere
sorretto  da  una  imperativa  motivazione  di   interesse   generale
(sentenza n. 349 del 1985). 
    Deve  rammentarsi  che,  per  le  modalita'  con  cui  opera   il
meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del  potere  di
acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, e',  per
sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti,
calcolate non sul valore reale originario, bensi' sull'ultimo importo
nominale, che dal mancato adeguamento e' gia' stato intaccato. 
    10.- La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201
del 2011, se  vagliata  sotto  i  profili  della  proporzionalita'  e
adeguatezza del trattamento  pensionistico,  induce  a  ritenere  che
siano stati valicati i limiti di ragionevolezza  e  proporzionalita',
con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento
stesso  e  con   «irrimediabile   vanificazione   delle   aspettative
legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo  successivo  alla
cessazione della propria attivita'» (sentenza n. 349 del 1985). 
    Non  e'  stato  dunque  ascoltato  il   monito   indirizzato   al
legislatore con la sentenza n. 316 del 2010. 
    Si  profila  con  chiarezza,  a   questo   riguardo,   il   nesso
inscindibile che lega il dettato degli artt. 36, primo comma,  e  38,
secondo comma, Cost. (fra le piu' recenti, sentenza n. 208 del  2014,
che richiama la sentenza n. 441 del 1993). Su questo terreno si  deve
esercitare il legislatore nel  proporre  un  corretto  bilanciamento,
ogniqualvolta si profili l'esigenza di un  risparmio  di  spesa,  nel
rispetto di un ineludibile vincolo di scopo «al fine di  evitare  che
esso possa pervenire a valori critici, tali  che  potrebbero  rendere
inevitabile l'intervento correttivo della Corte» (sentenza n. 226 del
1993). 
    La  disposizione   concernente   l'azzeramento   del   meccanismo
perequativo, contenuta nel comma 24 dell'art. 25  del  d.l.  201  del
2011, come  convertito,  si  limita  a  richiamare  genericamente  la
«contingente situazione finanziaria», senza che  emerga  dal  disegno
complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze  finanziarie  sui
diritti oggetto di bilanciamento, nei  cui  confronti  si  effettuano
interventi cosi' fortemente incisivi. Anche in  sede  di  conversione
(legge 22 dicembre 2011, n. 214),  non  e'  dato  riscontrare  alcuna
documentazione  tecnica  circa  le  attese  maggiori  entrate,   come
previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
recante «Legge di contabilita' e finanza pubblica»  (sentenza  n.  26
del 2013, che interpreta il citato art.  17  quale  «puntualizzazione
tecnica» dell'art. 81 Cost.). 
    L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari
di trattamenti previdenziali modesti, e' teso alla conservazione  del
potere di acquisto delle somme  percepite,  da  cui  deriva  in  modo
consequenziale il diritto a una prestazione  previdenziale  adeguata.
Tale diritto, costituzionalmente fondato,  risulta  irragionevolmente
sacrificato nel  nome  di  esigenze  finanziarie  non  illustrate  in
dettaglio.  Risultano,  dunque,  intaccati  i  diritti   fondamentali
connessi  al  rapporto  previdenziale,  fondati   su   inequivocabili
parametri costituzionali:  la  proporzionalita'  del  trattamento  di
quiescenza, inteso  quale  retribuzione  differita  (art.  36,  primo
comma, Cost.)  e  l'adeguatezza  (art.  38,  secondo  comma,  Cost.).
Quest'ultimo e' da intendersi quale espressione certa, anche  se  non
esplicita, del principio di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost. e al
contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale  di  cui
all'art. 3, secondo comma, Cost. 
    La norma censurata e', pertanto,  costituzionalmente  illegittima
nei termini esposti. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara inammissibile l'intervento di T.G.; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  24,  comma
25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201  (Disposizioni  urgenti
per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei  conti  pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre  2011,  n.  214,  nella  parte  in  cui  prevede   che   «In
considerazione   della   contingente   situazione   finanziaria,   la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre
1998,  n.  448,  e'  riconosciuta,  per  gli  anni   2012   e   2013,
esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di  importo  complessivo
fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per
cento»; 
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come
convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 23 e 53, della
Costituzione, dal Tribunale ordinario  di  Palermo,  sezione  lavoro,
dalla  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Emilia-Romagna e dalla Corte dei Conti, sezione  giurisdizionale  per
la Regione Liguria, con le ordinanze indicate in epigrafe; 
    4)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come
convertito, sollevata, in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,
della Costituzione, in relazione  alla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge  4  agosto  1955,  n.  848,  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale per  la  Regione  Emilia-Romagna,  con  le  ordinanze
indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI 
 
   

 

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