La questione riguardava l'accertamento delle responsabilità delle amministrazioni datrici di lavoro per il mancato tempestivo avvio delle procedure di negoziazione o concertazione del trattamento di fine rapporto e della previdenza complementare (c.d. secondo pilastro). Tali procedure, previste ai sensi delle disposizioni degli artt. 26, comma 20, L. 23/12/1998, n. 448 e 3, co. 2, D.Lgs. 5/12/2005, n. 252., avrebbero dovuto definire: a) la costituzione di uno o più fondi nazionali di pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare; b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse; c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare. La mancata attuazione di tali previsioni ha, quindi, danneggiato gli appartenenti al comparto difesa e sicurezza impedendogli l'adesione a forme di previdenza complementare e di irrobustire la propria pensione.
La causa
La causa sfociata in Cassazione scaturiva da un conflitto negativo di giurisdizione tra Tribunale Amministrativo del Lazio e Corte dei Conti, attivato a seguito della duplice richiesta di un militare della GdF danneggiato dall'inerzia della propria amministrazione nella realizzazione della previdenza integrativa settoriale, di ottenere il calcolo retributivo della propria pensione e, in via subordinata, il diritto al risarcimento del danno dall'amministrazione di appartenenza. Entrambi i giudici però avevano negato la propria competenza. In particolare il TAR si era dichiarato incompetente a favore della Corte dei Conti ravvisando che la mancata attuazione della previdenza complementare avrebbe determinato il diritto dell'assicurato al calcolo della pensione con il sistema retributivo posto che l'istituzione della previdenza complementare era destinata per legge a colmare il divario economico derivante dal passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. La Corte dei Conti aveva negato tale beneficio dichiarandosi però non competente circa la valutazione del risarcimento del danno, il cui compito spettava alla giustizia amministrativa.
La decisione
La Corte di Cassazione spiega che la controversia non riguarda la materia strettamente pensionistica ma piuttosto quella relativa al rapporto di impiego "e, prioritariamente, gli obblighi del datore di lavoro in merito all'avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto, e della conseguente istituzione della previdenza complementare, il cui mancato adempimento può essere fonte di responsabilità contrattuale". In altri termini, per la Corte, il conflitto va risolto in favore del TAR essendo pacifico che il rapporto di impiego rientra nel regime di diritto pubblico non contrattualizzato.
I giudici concludono affermando, pertanto, il seguente principio di diritto (che servirà anche per successivi giudizi in merito): «La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione- contrattazione, ai sensi delle disposizioni degli artt. 26, comma 20, L. 23/12/1998, n. 448, e 3, Co. 2, D.Lgs. 5/12/2005, n. 252, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo all'inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego, non già a materia riguardante un riguardante un trattamento pensionistico a carico dello Stato, sicché la relativa controversia esula dalla giurisdizione della Corte dei conti».