Pensioni, Quando il part-time incide sulla misura dell'assegno

Franco Rossini Mercoledì, 06 Maggio 2020
Lo svolgimento del lavoro part-time può non determinare un allungamento dell'età pensionabile anche se la minore contribuzione incide sulla misura della pensione. 

Uno dei principali problemi per i lavoratori è quello di comprendere come incide il lavoro part-time sulle prestazioni pensionistiche. A differenza di quanto si pensa il lavoro part-time, infatti, non sempre allontana la pensione anche se influisce (sempre) in senso negativo sulla determinazione della misura della stessa dato che la retribuzione percepita dal lavoratore è inferiore e ciò si riverbererà inevitabilmente sulla rendita pensionistica.

Per quanto riguarda il raggiungimento del diritto alla pensione nel settore privato le settimane, i mesi e gli anni di lavoro svolti in part-time orizzontale (e dal 2021 anche verticale o ciclico) vengono conteggiati come full-time a condizione che sia stato rispettato il minimale inps per il lavoro dipendente, un valore di poco superiore a 10.724 euro nel 2021, ovvero circa 206€ settimanali (ai sensi dell'articolo 7 del Dl 463/1983). Ad esempio un lavoratore del settore privato che ha lavorato 35 anni a tempo pieno ed altri 8 anni con lavoro part-time con un reddito annuo superiore al predetto minimale inps al termine della carriera lavorativa potrà vantare sempre un'anzianità contributiva di 43 anni (35+8=43). Che potrebbe essere utilizzata, ad esempio, per accedere alla pensione anticipataPer i lavoratori del pubblico impiego le regole sono invece più favorevoli in forza dell'articolo 8, comma 2, della legge n. 554 del 1988. La disposizione da ultimo citata prevede, infatti, che ai fini dell'acquisizione del diritto alla pensione a carico dell'Amministrazione interessata e del diritto all'indennità di fine servizio, gli anni di servizio ad orario ridotto sono da considerarsi sempre utili per intero. 

Ciò che cambia è la misura della pensione. Bisogna partire da un dato abbastanza intuitivo: la prestazione sarà inferiore a quella che sarebbe stata maturata con il tempo pieno. E' infatti inevitabile che, diminuendo la retribuzione percepita durante l'anno, diminuirà anche il valore dell'assegno. Quindi tanto maggiore è il periodo di part-time tanto superiore sarà la riduzione dell'importo della pensione futura. 

Per chi ormai sceglie il part-time dopo il 2011, decidendo di concludere ad orario ridotto gli ultimi anni di carriera lavorativa, gli effetti negativi legati ad un calo della retribuzione esplicheranno i propri effetti esclusivamente sulle quote dell'assegno determinate con il sistema contributivo. Per tutti i lavoratori. Uno degli effetti della Riforma del 2011 è stato, infatti, quello di estendere il sistema contributivo anche con riferimento a coloro che potevano vantare almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995. Ebbene dato che nel sistema contributivo, l'accantonamento dei contributi dipende esclusivamente dalla retribuzione del lavoratore un abbassamento della retribuzione dovuta al part-time si tradurrà in un valore inferiore di contributi sui quali poi sarà calcolato il montante complessivo della pensione. La pensione contributiva si ottiene, infatti, moltiplicando il montante contributivo individuale (per il part time il 33% della retribuzione, che è notevolmente inferiore a quella di un lavoratore a tempo pieno) per il coefficiente di trasformazione. 

A differenza di quanto si crede, invece, l'eventuale parte dell'assegno determinata con il sistema retributivo non viene svalutata. Anche se si termina la carriera lavorativa ad orario ridotto. Perchè l'ordinamento riconosce al lavoratore una retribuzione pensionabile sostanzialmente pari a quella che avrebbe ricevuto se fosse rimasto con un rapporto a tempo pieno ampliando il lasso temporale entro cui ricercare le retribuzioni pensionabili per il calcolo della quota A (ultimi cinque anni per anzianità maturata entro il 1992) e della quota B (ultimi 10 anni per anzianità maturata dal 1993 sino al 1995 o sino 2011 a seconda dei casi) di un periodo pari esattamente al numero di settimane mancanti all'anno pieno ai fini della misura della pensione. Questo meccanismo impedisce, in definitiva, che gli ultimi anni di lavoro svolto a part-time svalutino le quote retributive dell'assegno. In alcuni casi addirittura è possibile che il pensionato ci guadagni qualcosa in quanto ampliandosi il periodo di riferimento per la ricerca delle ultime 260 e 520 settimane si andranno a rivalutare a ritmi maggiori le retribuzioni più remote nel tempo. 

Un meccanismo simile coinvolge anche il pubblico impiego: per la determinazione delle quote retributive di pensione si continuerà ad utilizzare il valore della retribuzione (virtuale) prevista per il rapporto di lavoro a tempo pieno (arg. ex art. 8 della legge 554/1988; Circ. Inpdap 61/1997; Informativa Inpdap 68/2002; Informativa Inpdap 61/2000).

Le soluzioni per integrare la retribuzione

Per ovviare alla perdita della contribuzione occorre ricordare che i periodi di lavoro part-time possono essere riscattati dal 1996, ai fini della misura del trattamento pensionistico, a condizione che risultino non lavorati e che siano collocati entro il periodo temporale del rapporto di lavoro. O in alternativa si può chiedere la prosecuzione volontaria della contribuzione ad integrazione della retribuzione persa. 

Agli effetti del part-time sulla pensione devono porre attenzione soprattutto i giovani entrati nel mondo del lavoro dopo il 1995. Chi è nel sistema contributivo puro deve, infatti, considerare che questo sistema richiede per l'accesso alla pensione di vecchiaia che il primo rateo della pensione superi un determinato importo soglia, pari a 1,5 volte il valore dell'assegno sociale, cioè circa 690 euro lordi al mese. Lavorare per metà della carriera lavorativa con contratti di lavoro part-time potrebbe, pertanto, non far raggiungere il predetto importo e costringere il lavoratore a posticipare l'accesso finchè tale condizione non risulti raggiunta. E' noto infatti che il sistema contributivo prevede una pensione più elevata quanto più si dilata l'uscita (tramite l'attivazione di coefficienti di trasformazione più elevati). Solo al perfezionamento di 71 anni di età (requisito però da adeguare alla stima di vita) diviene possibile uscire a prescindere dall'importo soglia.

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