Pensioni, La salvaguardia non protegge dall’innalzamento in «assoluto» dell’età pensionabile

Giovedì, 03 Novembre 2022
La Cassazione boccia il ricorso di un «esodato» a cui l'Inps non ha accolto la domanda per mancanza dei requisiti. Le vecchie regole vanno applicate nella loro interezza, cioè considerando anche gli adeguamenti programmati dal 2012 in poi secondo la normativa ante fornero.

La salvaguardia pensionistica non protegge dagli innalzamenti dell’età pensionabile destinati a trovare applicazione dal 2012 in poi secondo la disciplina ante Fornero. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31339 del 24 ottobre scorso con la quale i giudici hanno rigettato l’interpretazione offerta dai legali di un lavoratore a cui era stata negata dall’Inps una domanda di pensione di anzianità in regime di salvaguardia pensionistica.

Salvaguardie pensionistiche

I fatti riguardano l’applicazione dello speciale regime legale che ha consentito ad alcune categorie di lavoratori assicurati presso l’INPS (i cd. «esodati») di mantenere in vigore la previgente disciplina pensionistica, anteriore all’introduzione della legge Fornero. L’articolo 24 del dl n. 201/2011 convertito con legge n. 214/2011, infatti, ha confermato per 50mila lavoratori che avrebbero maturato la decorrenza della pensione entro un determinato lasso temporale l’ultrattività della disciplina in materia di requisiti di accesso e decorrenze vigenti al 6.12.2011 (data di entrata in vigore della riforma Fornero). La deroga è stata rinnovata altre otto volte, l’ultima con la legge di bilancio 2021, consentendo ad oltre 150mila lavoratori di mantenere il vecchio traguardo di pensionamento anziché attendere i nuovi requisiti.

La questione

Il caso scrutinato dalla Cassazione riguarda un particolare aspetto e cioè quello se la salvaguardia avesse richiamato la disciplina previgente prnella sua interezza, ivi compresa quella relativa al progressivo innalzamento dell'età pensionabileevisto per il periodo successivo al 2011 oppure meno. In particolare un lavoratore aveva presentato domanda di pensione di anzianità nel 2016 supponendo di aver maturato la cd. «quota 96» (60 anni e 36 anni di contributi), cioè la combinazione di requisiti richiesti al 6.12.2011 per l’accesso alla pensione di anzianità. La difesa del lavoratore pretendeva che la salvaguardia cristallizzasse tale requisito anche dopo il biennio 2011-2012 quando, in realtà, la legge n. 247/2007 aveva già programmato dal 2013 l’innalzamento alla superiore «quota 97» dei requisiti anagrafici e contributivi per l’andata in pensione. Siccome il lavoratore non era in possesso dei più elevati requisiti di pensionamento l’Inps gli aveva rigettato la domanda di pensione.

La decisione

Secondo la Cassazione questa tesi non può essere accolta. Per i giudici la salvaguardia va intesa nel senso di un richiamo alla disciplina normativa previgente nella sua interezza, ivi comprese quelle disposizioni che, seppur non ancora scattate alla data del 6 dicembre 2011, avrebbero trovato applicazione negli anni a venire. Tra queste l’innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi per la pensione di anzianità dal 2013 («quota 97»), gli adeguamenti alla speranza di vita (anch’essi programmati dal 2013 in poi) e al progressivo innalzamento dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato imposti dalla legge n. 111/2011.

Nelle motivazioni i giudici lo spiegano chiaramente: «diversamente argomentando, la deroga accordata ai lavoratori destinatari dell'art. 24, comma 14, d.l. n. 201/2011, e successive modifiche e integrazioni, finirebbe col concernere non soltanto la non applicazione delle nuove disposizioni di cui all'art. 24, commi 1 ss., d.l. n. 201/2011, ma altresì le norme ad esso previgenti e che erano destinate a trovare applicazione successivamente al 6.12.2011, al maturare delle condizioni da esse di volta in volta previste: e quest'ultima è conclusione che non può dirsi voluta né dalla lettera della legge né, a fortiori, dalla sua ratio, per come dianzi ricostruita». Di conseguenza la Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore confermando la decisione della Corte d’Appello di Firenze.

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