Il termine indica il meccanismo di garanzia secondo cui il lavoratore ha diritto alla salvaguardia del criterio di calcolo precedentemente acquisito prima dell'entrata in vigore di Riforme che peggiorano il sistema di calcolo dell'assegno pensionistico.

Il Pro Rata

Nell'ordinamento previdenziale il termine pro rata identifica una particolare tutela contro interventi peggiorativi relativi al sistema di calcolo dell'assegno. Si tratta sostanzialmente di un principio secondo cui le modifiche alle regole di calcolo della pensione si possono applicare tendenzialmente solo per il futuro e non relativamente ai contributi già versati negli anni precedenti.

A partire dagli '90 il legislatore è intervenuto più volte sui meccanismi di calcolo delle pensioni con l'obiettivo di contenere la spesa pensionistica. Le tappe fondamentali sono contrassegnate dalla Riforma Amato (dlgs n. 503/1992), dalla Riforma Dini (legge n. 335/1995) e dalla Riforma Fornero (Dl n. 201/2011). Tutti gli interventi hanno garantito il mantenimento delle precedenti regole di calcolo dell'assegno in riferimento ai contributi maturati rispettivamente al 31.12.1992; al 31.12.1995 per chi aveva meno di 18 anni di contributi alla predetta data; al 31.12.2011 a favore di chi al 31.12.1995 aveva almeno 18 anni di contributi.

E' questo principio che determina la presenza, di regola, di almeno tre distinte quote di pensione nel sistema di calcolo dell'assegno: una relativa all'anzianità sino al 1992, la seconda relativa all'anzianità sino al 1995 o al 2011 a seconda dei casi, la terza relativa all'anzianità dal 1996 o dal 2012 in poi (per alcuni fondi speciali dell'INPS - es. telefonici, elettrici, volo, dirigenti industriali - le quote di pensione possono essere anche più di tre). Ciò proprio perché il pro rata garantisce che il sistema di calcolo della pensione in relazione ai contributi acquisiti ad una data non sia modificato retroattivamente da una legge successiva. E' inevitabile, tuttavia, che questa protezione impedisce alle riforma pensionistiche di produrre un risparmio di spesa nell'immediato.

Queste modifiche sono state ispirate ad un graduale abbandono del sistema reddituale a favore del sistema contributivo. Il modello reddituale, infatti, genera spesso un reddito pensionistico maggiore rispetto al modello basato esclusivamente sul versamento dei contributi perché la pensione viene determinata sulla base esclusivamente degli ultimi anni di lavoro. Pertanto, ove, il lavoratore avesse ottenuto una progressione di carriera nelle vicinanze dell'età pensionabile avrebbe ottenuto una pensione rapportata al reddito percepito in tale ultimi anni di lavoro a prescindere dalla carriera e dalla retribuzione percepita in passato.

Il modello contributivo è più equo, da questo punto di vista, perché tiene conto della retribuzione (e quindi della contribuzione versata) ogni anno dal lavoratore. D'altro canto nel caso di carriere discontinue o precarie il modello contributivo penalizza fortemente il lavoratore a differenza di quanto accade con il sistema retributivo: quest'ultimo sistema, infatti, consentiva il "recupero" dei buchi contributivi avuti in carriera attraverso la valorizzazione degli ultimi anni di lavoro.

Casse Private

Nel sistema previdenziale privato, cioè negli enti di previdenza privati e privatizzati, la salvaguardia dei diritti acquisiti è stata invece piu' volte messa in discussione negli ultimi anni con l'articolo 1, co. 763 della legge n. 296/2006. Le Riforme approvate dalle Casse Private hanno infatti cancellato le quote di pensione determinate con parametri piu' favorevoli comportando, per i lavoratori iscritti in tali sistemi, una decurtazione anche di quanto acquisito fino a quel momento. La Suprema Corte ha dichiarato più volte l'illegittimità di tale operato sul quale l'articolo 1, co. 488 della legge n. 147/2013 (finanziaria 2014) ha provato a porre rimedio indicando, con un provvedimento retroattivo, che le delibere di queste Casse sono legittime anche se non tengono conto del rispetto del pro rata purchè adottate al solo fine di garantire l'equilibrio del sistema nel lungo periodo.

Ne è scaturato un ulteriore contenzioso legale sfociato con la sentenza n. 17742/2015 a SS.UU. della Cassazione nella quale, in sintesi, è stato affermato il principio secondo il quale l'efficacia delle delibere che comprimono il criterio del pro rata vale esclusivamente con riferimento a quei lavoratori che ottengono la liquidazione della pensione successivamente al 31 dicembre 2006 data di entrata in vigore della legge n. 296/2006 (cd. pro rata attenuato). Mentre non può trovare applicazione nei confronti dei pensionati al 31.12.2006 i quali, pertanto, non possono subire alcuna riduzione del trattamento pensionistico (cd. pro rata rigido).

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