Pensioni

Pensioni

L'Inps in un recente messaggio ha spiegato che la penalizzazione non viene applicata a condizione che il lavoratore maturi i requisiti per la pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017.

Kamsin La riforma Monti Fornero ha previsto, per i lavoratori che accedono alla pensione anticipata con un'età inferiore ai 62 anni, la riduzione del trattamento di pensione di un importo pari all' 1 % per ciascuno dei primi due anni mancanti ai 62 anni d'età (60 e 61), destinata poi ad aumentare del 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto ai 60 anni di età.

La penalizzazione non opera sull'intero trattamento di pensione ma solo sulla eventuale quota retributiva maturata sino al 31 dicembre 2011. Quindi le prestazioni calcolate con il sistema contributivo (dal 1° gennaio 1996) e nella gestione separata non vengono comunque interessate dalla penalizzazione. Successivamente, il "decreto mille proroghe" del 2012 ha disposto la sospensione della penalizzazione per i soggetti che maturino il requisito contributivo per la pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017. Tale sospensione opera, però, a condizione che l'anzianità contributiva necessaria al pensionamento sia maturata considerando solo contribuzione derivante da "prestazione effettiva di lavoro", a cui il legislatore ha esplicitamente assimilato solo i seguenti periodi di contribuzione figurativa: il congedo di maternità, il servizio militare, la malattia e infortunio e la cassa integrazione guadagni ordinaria.

La materia è stata, poi, ulteriormente modificata nel 2013 con due provvedimenti che hanno incluso tra i periodi assimilabili alla prestazione effettiva di lavoro quindi utili a evitare la penalizzazione  anche le assenze dal lavoro per la donazione di sangue e di emocomponenti, i congedi parentali di maternità e paternità, nonché i congedi e i permessi concessi ai sensi della legge n. 104/1992 in favore del lavoratore disabile grave o di un suo familiare.

Da ultimo, con la legge di Stabilità 2015, il Parlamento è di nuovo intervenuto prevedendo uno stop generale alla penalizzazione con effetto sulle pensioni anticipate con decorrenza dal 1° gennaio 2015 e limitatamente ai soggetti che maturino i requisiti contributivi entro il 31 dicembre 2017.

Non subiranno il taglio dell'1-2% le pensioni anticipate liquidate nel regime misto (cioè riguardanti i lavoratori in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995) aventi decorrenza dal 1° gennaio 2015 e, limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, anche se la decorrenza della pensione si collochi successivamente a tale ultima data. Per effetto di tale modifica la penalizzazione in pratica non si applicherà:

  •  nei confronti delle prestazioni aventi decorrenza ricompresa tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017
  •  nei confronti delle prestazioni aventi decorrenza successiva al 31.12.2017 a condizione però che siano stati raggiunti i requisiti contributivi per la pensione anticipata entro il 31.12.2017

Ad esempio un lavoratore che abbia raggiunto i 42 anni e 10 mesi di contributi e 58 anni di età nel novembre 2017 qualora - pur potendo accedere alla pensione dal 1° dicembre 2017 - voglia comunque continuare a restare sul posto di lavoro per un altro anno, potrà farlo senza che ciò comporti l'applicazione della penalizzazione. In altri termini ciò che conta è che siano raggiunti i requisiti contributivi per il diritto alla pensione anticipata entro il 31.12.2017 mentre non rileva la data di decorrenza del rateo. Attenzione però. Se il lavoratore matura i requisiti successivamente dal 1° gennaio 2018 la decurtazione tornerà ad applicarsi (si veda tabella).

seguifb

Zedde

A cura del Patronato Acli

L'Inps salvaguarda la possibilità di mantenere l'arrotondamento dell'anzianità contributiva nei confronti dei dipendenti pubblici già usciti dal lavoro prima del 30 Aprile 2015.

Kamsin Lo stop all'arrotondamento dell'anzianità contributiva nei confronti dei dipendenti pubblici scatta a partire dal 1° maggio. Lo precisa l'Inps con il messaggio 3305/2015 con il quale integra le disposizioni già fornite con il messaggio 2974/2015 pubblicato lo scorso 30 Aprile 2015.

A partire da tale data non è piu' possibile attivare l'arrotondamento previsto originarimente dall'articolo 59 della legge 449/1997 che consente, com'è noto, di arrotondare alla frazione di mese l’anzianità contributiva per gli iscritti alle gestioni esclusive dell’A.G.O (cioè i dipendenti pubblici) - per i quali la contribuzione è calcolata in anni, mesi e giorni.

Secondo l'istituto, però, i criteri di arrotondamento in uso antecedentemente alla data di pubblicazione del messaggio 2974/2015 continuano a trovare applicazione nei confronti di coloro che al 30 Aprile 2015 abbiano già risolto il rapporto di lavoro ovvero abbiano un preavviso in corso. Cio' non per non pregiudicare il pensionamento di coloro che sono già usciti dal lavoro o sono in procinto di farlo. 

Resta inteso, inoltre, che l'arrotondamento continuerà a trovare applicazione nei confronti delle lavoratrici che chiedono l'opzione donna (i 35 anni di contributi possono essere quindi perfezionati con 34 anni, 11 mesi e 16 giorni di servizio), nei confronti dei salvaguardati ( 40 anni di contributi arrotondabili a 39 anni, 11 mesi e 16 giorni di servizio) e nel requisito contributivo necessario per conseguire la pensioni di inabilità (ad eccezione di quella prevista dall’art. 2, comma 12 della Legge n. 335/1995). 

Per quanto riguarda la liquidazione degli assegni straordinari a carico del Fondo a sostegno del reddito e dell’occupazione per il personale delle Società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, i criteri di arrotondamento, come precisati nel messaggio Hermes n. 2974 del 30 aprile 2015, si applicano esclusivamente agli assegni straordinari aventi decorrenza a partire dal 1° giugno 2015.

Documenti: messaggio inps 3305/2015

seguifb

Zedde

La Decisione del Governo potrebbe essere rimandata a dopo lo svolgimento delle elezioni amministrative. Damiano: rivalutare le pensioni di lavoro.

Kamsin Lunedì si saprà con maggiore chiarezza come il Governo intenderà dare esecuzione alla Sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 che ha dichiarato illegittima la rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps (oltre cioè i 1450 euro lordi al mese). Ieri mattina il ministro dell'Economia PierCarlo Padoan avuto un lungo incontro a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi per studiare le carte. Per ora sul piatto ci sono solo ipotesi che tuttavia hanno un minimo comune denominatore: i rimborsi saranno parziali. Una buona fetta dei 5milioni di pensionati coinvolti nel blocco biennale della perequazione tra gli anni 2012-2013 non vedrà la restituzione di quanto dovuto. 

L'obiettivo del Governo è infatti quello di limitare i danni garantendo una rivalutazione progressiva in base all'importo dell'assegno con una percentuale di indicizzazione inferiore a quella rimessa in pista dalla Consulta (90% sugli assegni sino a 5 volte il minimo e 75% oltre tale importo come prescrive la legge 388/2000 "Finanziaria 2001"). Probabilmente, soprattutto, ci sarà un tetto oltre il quale l'assegno non sarà piu' rivalutato. Le cifre e le soglie però non sono note.

La linea è stata dettata del Premier ieri: «restituiremo solo una parte dei soldi di queste pensioni» ma ha comunque escluso che si possa giungere già lunedì all'approvazione definitiva del decreto legge sulle pensioni. Secondo il premier «bisogna ripensare un modello di organizzazione delle pensioni, lo faremo nei prossimi giorni e mesi» ha detto. «Il governo Monti - ricorda il Premier - ha bloccato l'indicizzazione in modo considerato incostituzionale noi stiamo studiando come superare il limite rispettando le esigenze di bilancio sapendo che questi soldi non andranno i pensionati da 700 euro al mese. Perché la mia preoccupazione è per chi prende poco, poco, poco. Negli ultimi tempi ci stiamo specializzando nel risolvere i problemi creati da altri».

L'ipotesi di procedere a rimborsi parziali è tuttavia duramente contestata da quasi tutte le forze di opposizione. La Lega Nord ha previsto barricate in Parlamento per non far passare la misura finché il governo non provvederà a dare piena esecuzione alla Sentenza della Consulta. Salvini chiede anche di rimettere mano anche alla legge Fornero che dimostra, con la decisione della Corte, come ormai «faccia acqua da tutte le parti». Piu' morbida la linea della minoranza Dem che non è contraria tout court all'ipotesi di rimborsi ancorati all'importo dell'assegno purchè si riconosca a tutti, con una percentuale progressivamente minore, comunque una crescita.

In ogni caso serve prima un confronto con le parti sindacali osserva il Presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano. L'ex ministro ricorda le storture del blocco: «una coppia coniugata con due assegni di 1400 euro lordi al mese ha ottenuto, su entrambe le prestazioni, la piena indicizzazione all'inflazione nel biennio 2012-2013. Ma se nella stessa coppia avesse lavorato solo il marito per 40 anni, raggiungendo così una prestazione lorda di 2800 euro al mese con la quale mantiene anche la moglie, a costui abbiamo sottratto in questi anni piu' di 5 mila euro e stiamo erogandogli una pensione di circa oltre 1500 euro l'anno piu' bassa di quanto gli sarebbe stato corrisposto senza il blocco. E' evidente quindi che le pensioni di lavoro devono essere salvaguardate entro un limite molto piu' elevato di quanto si legge sui giornali» ha concluso Damiano.

seguifb

Zedde

E' possibile simulare quanto dovrà essere corrisposto ai pensionati titolari di prestazioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps nel 2012

Kamsin La sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 che ha sbloccato l'indicizzazione degli assegni nel biennio 2012-2013 superiori a tre volte il trattamento minimo inps (1.404 euro lordi) porterà diversi denari nella tasche dei pensionati italiani. Come già anticipato sulle pagine di questo giornale l'effetto sarà mediamente pari a poco piu' di mille euro in piu' l'anno per gli assegni dai 1500 ai 1800 euro lordi per poi salire gradualmente al crescere dell'importo base dell'assegno, senza alcun limite. Ed è proprio questo il problema. Lo stralcio del comma 25 dell'articolo 24 del Dl 201/2011 operato dalla Consulta produce effetti nei confronti di tutti gli assegni, anche quelli d'oro che vedrebbero così cifre molto superiori.

Si pensi infatti che un assegno di 4mila euro al mese dovrebbe ricevere ben 2.500 euro l'anno in piu', mentre uno da 5 mila (circa 10 volte il trattamento minimo inps) dovrebbe vedersi restituiti almeno 3mila euro all'anno. Una distorsione che, da quanto si apprende, sarà corretta dal Governo attraverso un decreto legge ad hoc al quale stanno già lavorando i tecnici del MEF e dell'Inps. In pratica si introdurrà un "tetto" oltre il quale la rivalutazione del biennio 2012-2013 non sarà piu' riconosciuta riducendo, di conseguenza, gli oneri per lo Stato.

Per aiutare i lettori a districarsi in questa materia abbiamo dunque elaborato un apposito programma, qui sotto disponibile, che consente rapidamente di simulare, previo inserimento del valore dell'assegno prima del blocco dell'indicizzazione, cioè nel 2011, quanto deve essere restituito dall'Inps ai pensionati per tutto il periodo in cui ha operato questa norma, cioè dal gennaio 2012 al maggio 2015, e quanto dovrà essere corrisposto a partire dal 1° giugno 2015. Già perchè l'aumento verrà acquisito nel valore dell'assegno in via permanente. Si precisa che la cifra che viene visualizzata nel programma è al lordo delle ritenute fiscali e non considera, per quanto riguarda i rimborsi, gli interessi che l'istituto dovrà corrispondere a norma di legge.

Aggiornamento del 25 Maggio. Il Governo ha varato il decreto legge 65/2015 con il quale, sostanzialmente, non ha riconosciuto alcuna indicizzazione per gli assegni superiori a 6 volte il minimo inps ed un bonus molto ridotto per gli assegni ricompresi tra 3 e 6 volte il minimo il 1° Agosto 2015. Qui è possibile verificare in anteprima a quanto ammonteranno i rimborsi stabiliti dal Governo.

seguifb

Zedde

Il Ministro del Lavoro passa in rassegna gli interventi all'esame del Governo per favorire la staffetta generazionale e l'accompagnamento alla pensione di coloro che hanno perso il lavoro.

Kamsin Un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro, magari con penalizzazioni, a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva; un prestito pensionistico per chi ha perso il posto di lavoro ma non ha ancora compiuto l'età pensionabile con obbligo di restituzione delle somme una volta conseguita la pensione. Sono queste le due misure allo studio del Governo per riformare la legge Fornero secondo quanto dichiarato ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in risposta ad una interrogazione dell'Onorevole Gnecchi (Pd).

Il Ministro del Lavoro conferma che il Governo sta completando lo studio di due tipologie di misure: da un lato favorire il ricambio generazionale dall'altro risolvere «prioritariamente» le difficoltà delle persone che, a seguito degli effetti della «riforma Monti-Fornero» e della crisi economica, si sono trovate senza lavoro e non hanno ancora maturato i requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico.

Quanto al primo ordine di interventi Poletti ha indicato che è «stata già avviata un'attenta riflessione sulle misure volte a favorire la cosiddetta staffetta generazionale. In tale direzione, vi sono attualmente numerose ipotesi in campo e il Governo sta individuando le soluzioni più idonee nella consapevolezza delle difficoltà legate alle possibili fonti di copertura.» L'obiettivo secondo Poletti  è predisporre «interventi normativi finalizzati a prevedere forme di flessibilità di pensionamento che possano, così, favorire il ricambio generazionale».

Il Ministro annovera esplicitamente tra le possibili linee di intervento:
   a) l'introduzione di un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva;
   b) l'introduzione di un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro, con penalizzazioni, a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva. Questa ipotesi dovrebbe prevedere che al trattamento pensionistico venga applicata una riduzione sulla quota calcolata con il sistema retributivo pari ad una certa percentuale per ogni anno mancante all'età di vecchiaia.

Sostanzialmente si tratta delle stesse proposte all'esame della Commissione Lavoro della Camera (ddl 857 e ddl 2945 promossi dall'ex-ministro del Lavoro, Cesare Damiano)

Quanto alle misure di sostegno al reddito il Ministro ha fatto presente «che si sta valutando anche la possibilità di introdurre, in via sperimentale e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, un assegno di pensione anticipata alternativo alle prestazioni di sostegno al reddito. Tale strumento - prosegue Poletti - sarebbe in grado di colmare il gap temporale esistente tra la cessazione degli interventi di sostegno al reddito e il raggiungimento dei requisiti per l'accesso al pensionamento, consentendo ai lavoratori dipendenti la possibilità di percepire un assegno temporaneo fino al perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia, con successiva restituzione da parte del pensionato della somma complessivamente percepita».

Per il reperimento delle risorse necessarie a finanziare tali interventi il Ministro ha indicato che si può anche valutare di reintrodurre il divieto  di cumulo fra redditi da pensione e redditi da lavoro: «Nell'ambito dell'approfondimento in atto sul tema, tali proposte potranno essere valutate e concorrere con le altre ipotesi in campo al fine di adottare misure che possano favorire quanto più è possibile le nuove generazioni» ha concluso Poletti.

seguifb

Zedde

Zanetti:"Se si dovesse fare tutto in fretta presentando lunedì il dl definitivo l'unica scelta sarebbe quella di inserire la sola gradualità in base all'entità dell'assegno".

Kamsin L'affaire rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps (oltre cioè i 1450 euro lordi al mese) non sarà deciso a breve. Nel consiglio dei ministri di lunedì prossimo il Governo avrebbe in programma infatti la discussione delle sole linee guida ma il decreto vero e proprio (che fisserà tempi, soglie e modalità di rimborso) sarà adottato tra qualche settimana. A fine maggio o agli inizi di giugno. Fonti vicine all'esecutivo fanno sapere che serve maggior tempo per studiare le coperture per restituire i denari sottratti con il blocco nel biennio 2012-2013 dell'indicizzazione degli assegni cassato dalla Consulta. Il sospetto è comunque che si voglia far passare la tornata elettorale per sterilizzare gli effetti di una decisione impopolare sulle urne. 

Il Viceministro Morando ha indicato l'altro giorno in Senato infatti la strada da seguire: una sorta di equilibrismo tra i rilievi della Consulta e le esigenze di bilancio dello Stato. Non c'è alcun obbligo, afferma Morando, di restituire tutto a tutti: se così si facesse, rispettando alla lettera la decisione della Corte, si creerebbe un buco nel bilancio e salterebbe la regola del debito ed il deficit del 3% concordato con l'Ue.

L'ipotesi suggerita da Morando è invece quella di rimuovere le due ragioni che hanno portato la Corte a bocciare la normativa: perché «sospendeva l'indicizzazione per due anni e non per uno, come era accaduto in precedenza»; e perché il blocco riguardava anche pensioni più basse rispetto agli interventi del passato e non prevedeva un'applicazione progressiva, in base al reddito, dei tagli alla rivalutazione. In sostanza per rispondere alla sentenza l'esecutivo da un lato dovrebbe prevedere un meccanismo di indicizzazione decrescente al salire del reddito pensionistico e alzare la soglia oltre la quale non si prende nulla. Dall'altro però potrebbe limitarsi a restituire l'indicizzazione persa per uno solo dei due anni di blocco e non per entrambi.

Il metodo è condiviso anche dal sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti di Scelta Civica che ha sottolineato come "per avere il tempo di prevedere una progressività non solo a partire dagli assegni superiori a tre volte il minimo, fino ad una certa soglia che Sc indica a 5mila euro lordi (circa 10 volte il trattamento minimo), ma anche per una gradualità che tenga conto dell'allineamento tra assegno e contributi servono ancora alcune settimane di tempo".

Da qui la considerazione che, aggiunge, "il compromesso ideale, non per motivi elettorali ma per una reale equità, sia varare al cdm di lunedì delle norme procedurali sulle pensioni senza cifre ma solo i criteri generali della gradualità rinviando di qualche settimana la soluzione definitiva con soglie e relative coperture".

Inoltre "per inserire il principio della progressività anche in base all'allineamento con i contributi serve un po' di tempo in più per fare i calcoli necessari, assicurando però una decisione finale che non sia a rischio iniquità".

seguifb

Zedde

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati