Nicola Colapinto

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Nicola Colapinto, avvocato con specializzazione in diritto del lavoro, seguo le principali questioni giuslavoristiche e previdenziali per PensioniOggi.it. 

Nonostante le rassicurazioni del Premier e del Sottosegretario Graziano del Rio la possibilità di una estensione del blocco dei salari nel pubblico impiego non è una eventualità. Kamsin Più di un interlocutore, lungo l'asse Palazzo Chigi-Tesoro, conferma, secondo alcuni quotidiani, che almeno per il 2015 i margini per scongelare i salari degli Statali sono ridotti al lumicino. E casomai si tratta di accorciare al minimo, per gli anni a venire, i sacrifici di una platea di 3,3 milioni di persone. «Parlare di rinnovi o di sblocco delle retribuzioni in una fase come quella che stiamo attraversando  riassume una fonte  è fuori luogo.

Il quadro si è deteriorato negli ultimi mesi: il Paese è piombato in recessione e deflazione». Il che vuol dire, viene spiegato, che le eventuali risorse che resteranno dopo aver finanziato gli 80 euro di bonus, le spese indifferibili e la correzione di mezzo punto del deficit (circa 23 miliardi di euro da indicare nella prossima legge di Stabilità da presentare a metà ottobre al Parlamento) saranno utilizzate per altre misure. Vale a dire ammortizzatori sociali, taglio Irap e magari qualche intervento fiscale per i pensionati a basso reddito. 

Per far ripartire le retribuzioni ferme da 4 anni (con un risparmio cumulato di 11,5 miliardi per le casse pubbliche) servono 2,1 miliardi di euro l'anno prossimo. Che salgono fino a 4,5 comprendendo anche l'esercizio 2016. L'orientamento del Tesoro (ma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Delro ieri ha smentito proposte in tal senso da Via XX Settembre) sarebbe quella di cercare un compromesso utile per placare le proteste sindacali e dell' area della maggioranza più sensibile ai mal di pancia dei dipendenti pubblici. Dunque conferme del blocco per il solo 2015 (e non fino al 2018 come da indicazione del Def che nel tendenziale prevede risparmi da 8,6 miliardi) prendendo l'impegno in legge di Stabilità a risolvere la questione negli anni successivi.

L'ipotesi di un prolungamento del blocco dei contratti è quanto mai indigesta per Raffaele Bonanni, che chiede alla politica di concentrarsi invece su sprechi e inefficienze che secondo il segretario della Cisl fioriscono soprattutto a livello locale. «Spero che il governo non voglia proseguire su una strada sbagliata. Il blocco è un fatto gravissimo: i dipendenti pubblici sono gli unici che hanno il reddito fermo da otto anni. Qualcuno dice che sono comunque dei privilegiati, ma forse confonde la massa dei lavoratori con i grandi dirigenti. Ormai il grosso del pubblico impiego è fatto da persone che sono appena al di sopra dei 1000 euro al mese. È una vicenda pericolosa non solo per gli interessati ma per tutta la pubblica amministrazione, che viene danneggiata: non c'è più nessun progetto, non si affrontano i problemi, come dimostra anche la vicenda del ricambio generazionale.

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E' stata pubblicata in Gazzetta la legge di conversione del Decreto Competitività. Qui il testo del decreto legge 91/2014 coordinato con la legge di conversione.

Kamsin Il pacchetto per la crescita e competitività, con le misure anche su ambiente a agricoltura, è legge. E' stata infatti oggi pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 116/2014 che converte il Dl 91/2014 meglio noto come decreto competitività.  
Il provvedimento prevede vari interventi in favore delle imprese tra cui la spinta agli investimenti del manifatturiero, il rafforzamento della patrimonializzazione delle imprese (da compiersi con il rafforzamento dell'Ace), norme in grado di agevolare l'ingresso in borsa delle Pmi, e il taglio del 10% della bolletta energetica.

Il decreto prevede, di particolare importanza, la concessione di un credito d'imposta al 15% per gli investimenti in nuovi macchinari (gli investimenti andranno fatti entro il 30 giugno 2015 mentre si potrà usufruire del beneficio in compensazione a partire dal 2016 e in tre quote annuali). C'è poi una revisione dell'Ace che dovrà rafforzare la patrimonializzazione delle piccole medie imprese, soprattutto di quelle che si quotano in borsa.

Più nel dettaglio, a partire dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014, i soggetti Irpef e Ires potranno fruire di un credito di imposta commisurato all'eccedenza del rendimento nozionale non utilizzato nel periodo di imposta per incapienza del reddito complessivo netto. Il credito d'imposta è fruibile in 5 anni nei limiti dell'Irap dovuta in ogni esercizio. Nel caso di soggetti incapienti Ires, lo sgravio potrà essere trasformato in un credito di imposta sull'Irap. Per chi si quota in borsa avrà inoltre un "Super Ace": per tre periodi d'imposta scatterà una maggiorazione del 40% della variazione in aumento del capitale per le società ammesse alla quotazione. L'incremento è temporaneo e si applicherà per tre periodi d'imposta, e cioè quello di ammissione alla quotazione e i due successivi, mentre negli esercizi successivi la variazione in aumento del capitale proprio sarà determinata senza tenere conto della maggiorazione del 40%.

Completano il pacchetto lo sconto sulla bolletta per le Pmi (norma che sarà completamente operativa entro un anno); la previsione di un sostegno al credito attraverso fonti di finanziamento alternative alle banche: si prevede in particolare la possibilità per assicurazioni e società di cartolarizzazione di finanziare le imprese. Queste potranno erogare direttamente finanziamenti alle aziende, senza limitarsi ad acquistare crediti esistenti ed erogati da altri.  Infine alcune norme del decreto semplificano gli adempimenti in materia di agricoltura. 

Ancora in materia di imprese il Decreto modifica i criteri di determinazione del valore delle azioni delle società quotate nel caso di recesso nonché la disciplina dell’acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori e della trasformazione di società di persone e il diritto di opzione. E’ ridotto il capitale minimo richiesto per la costituzione di una società per azioni da 120.000 euro a 50.000 euro. Si abroga l’obbligo di nominare un organo di controllo o un revisore unico per le srl aventi un capitale sociale non inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni.

Con il provvedimento viene modificato il regime fiscale di obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie, estendendo l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,50 per cento (in luogo della ritenuta del 26 per cento) agli interessi e agli altri proventi derivanti da obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie non negoziati, purché detenuti da uno o più investitori qualificati.

In materia di credito alle imprese,  esenta da ritenuta alla fonte gli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese, erogati da enti creditizi, imprese di assicurazione, organismi di investimento collettivo del risparmio che non fanno ricorso alla leva finanziaria costituiti negli Stati UE e SEE, cd. “white list”.

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Accantonato per ora un prelievo sulle pensioni d'oro e d'argento, una delle ipotesi sulla quale il governo sta lavorando, secondo quanto anticipa oggi il Messaggero, è quella di prorogare per altri due anni il blocco delle retribuzioni del pubblico impiego. Kamsin Dal 2010, ormai, 3,3 milioni di lavoratori dello Stato si vedono negare da governi di vario colore il rinnovo contrattuale: una misura che è stata confermata dall'ultima legge di Stabilità fino alla fine del 2014. Per l'indennità di vacanza contrattuale, invece, è previsto uno stop ai valori del 2012 fino al 2017. La stretta sugli stipendi degli statali ha permesso di risparmiare, tra il 2010 e il 2014, circa 11,5 miliardi di euro. Il nuovo blocco della contrattazione inserito dal governo Letta nella manovra finanziaria ha permesso ulteriori risparmi per altri 5 miliardi di euro, grazie non solo al congelamento delle retribuzioni, ma anche al blocco del turn over fino al 2018.

Un impatto questo che il Def 2014 ipotizza di estendere al prossimo anno. I tecnici di via XX Settembre hanno infatti scritto che «nel quadro della legislazione vigente, la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Pa è stimata diminuire dello 0,7% per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell'attribuzione dell'indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018/2020». Di taglio in taglio, in effetti, i dipendenti pubblici nel giro di 5 anni hanno visto ridursi il salario reale del 14,6%. Con un sacrificio pro-capite che la Cgil quantifica in circa 4 mila euro. Il carico, ovviamente, cambia a seconda della mansione svolta: un impiegato ministeriale con meno di 30 mila euro lordi di stipendio ha dovuto rinunciare a circa 2.800 euro lordi, che diventerebbero 4 mila con il prolungamento al 2015 e 2016. Il salasso cresce salendo i gradini della gerarchia: sono 8.900 euro per un dirigente di seconda fascia, e arriva ai 19 mila euro di un ministeriale apicale e se lavora per un ente pubblico non economico Inps, Aci o Istat si sorpassano i 21 mila euro.

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Si accende la discussione sull'ipotesi di un prelievo sulle pensioni alte calcolate con il sistema retributivo. L'annuncio di Poletti non piace a Forza Italia. 

Kamsin Sui tagli alle pensioni d'argento e d'oro non c'è ancora un accordo politico tra le forze in Parlamento. Ma il ministro Poletti ha parlato l'altro giorno, in un'intervista al Corriere della Sera, di un possibile prelievo di solidarietà sugli importi piu' elevati, da introdurre nella prossima legge di stabilità, per aiutare gli esodati e gli altri interventi di "armonizzazione" sul capitolo previdenziale.

La declinazione di tale intervento non è stata chiarita anche se sono allo studio diverse misure sia raffreddando i meccanismi di perequazione, per quanto sostanzialmente non scattino con la deflazione, sia, appunto, con un contributo di solidarietà, diverso però da quelli introdotti dai governi Berlusconi e Monti, e bocciati dalla Corte costituzionale. Ieri con Poletti si è schierato il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti (Scelta civica) che in Parlamento ha presentato anche una proposta di legge: «Un contributo di solidarietà può e deve essere chiesto sull’eventuale differenza tra il livello di pensione che viene percepito e quello che viceversa spetterebbe sulla base della capitalizzazione dei contributi versati».

Al netto delle modalità di intervento, l'obiettivo è sempre lo stesso: fare cassa sulle pensioni superiori ad un certo importo. Ma quale? Prima della pausa estiva i tecnici del ministero dell’Economia hanno ragionato in particolare su un’”asticella” piuttosto bassa fissata intorno ai 50-60 mila euro lordi all’anno di pensione. Ma l'asticella potrebbe, se si trovasse un accordo politico, essere messa a un livello superiore: 3.500 euro netti al mese. Nel passato il premier Matteo Renzi non escluse infatti un contributo di solidarietà a carico delle pensioni superiori ai 3.500 euro netti al mese (circa 6 mila lordi) calcolati con il metodo retributivo. Ipotesi, peraltro, sostenuta dal consigliere economico del presidente del Consiglio, e parlamentare del Pd, Yoram Gutgeld nel suo libro “Più uguali più ricchi”.

Le risorse così individuate dovrebbero restare nel capitolo previdenza e finanziare interventi per risolvere i tanti fronti aperti con la Riforma Fornero del 2011: stop alle penalizzazioni sulle pensioni anticipate sino al 2017, individuazione di una soluzione strutturale al fenomeno "esodati", conclusione della vicenda che coinvolge i quota 96 della scuola, eccetera.

Sugli esodati, come già anticipato da Pensioni Oggi, le ipotesi in campo sono prevalentemente due: pensionamenti flessibili a 62 anni e 35 di contributi con una penalità (proposta Damiano-Baretta) oppure il prestito pensionistico, un'ipotesi che sostiene il reddito dei lavoratori maturi che a 4 o 5 anni dalla pensione dovessero perdere il posto. Lo schema prevede che a questi lavoratori, che avrebbero difficoltà a trovare una nuova occupazione, vada dopo i due anni di indennità di disoccupazione (l’Aspi), un assegno di circa 750 euro al mese per il periodo necessario a maturare i requisiti per la pensione di vecchiaia. Una volta in pensione il lavoratore restituirebbe a rate quello che è di fatto un anticipo della pensione. Insomma una sorta di prestito previdenziale. La perdita sarebbe intorno al 5-6 per cento dell’assegno mensile. Un’operazione che allo Stato costerebbe circa 500-600 milioni l’anno. E ci sarebbe anche un contributo da parte delle aziende interessate per evitare che in questo modo possano surrettiziamente riemergere i prepensionamenti.

Ad ogni modo, l'ipotesi lanciata da Poletti, vede contrarie molte forze politiche (soprattutto Forza Italia) e la trattativa all'interno del Governo non è ancora partita. Come confermato ieri dal viceministro all'Economia, Enrico Morando, che ha addirittura escluso un intervento in materia previdenziale e ha invitato a «concentrarsi sulle vere riforme che servono al paese: lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, fisco».

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Ad ottobre quando il governo dovrà effettuare la spending review, il cuore della politica economica del governo, il capitolo previdenza dovrebbe essere al sicuro da un nuovo intervento restrittivo. L'esecutivo ha infatti in programma una riduzione delle uscite di 17 miliardi nel 2015 e di 32 miliardi nel 2016. Kamsin Il commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, fin dallo scorso marzo ha fornito l'elenco dettagliato delle voci dove intervenire. Basti pensare ai 2 miliardi e mezzo di tagli suggeriti sulla spesa previdenziale e sanitaria del 2015 che prevede una stretta sulle indicizzazioni, sulle reversibilità, sulle indennità di accompagnamento, contributo sulle pensioni più alte, che diventerebbero addirittura 8,5 nel 2016. Renzi, com'è noto, si è opposto agli inizi dell'anno ad un nuovo intervento restrittivo (pur aprendo alla possibilità di un contributo di solidarietà sulle pensioni) ed il lavoro di Cottarelli è stato messo nel cassetto.

Meno ostacoli politici incontrano invece le proposte che mirano a tagliare l'anno prossimo di 2,2 miliardi (3 miliardi nel 2016) i trasferimenti alle imprese da parte dello Stato e delle Regioni e di 1,8 miliardi (3,5 nel 2016) quelli alle società locali partecipate e al trasporto ferroviario. Ma si tratta di tagli che nessun governo è mai riuscito a fare. Sul debito, il governo dovrebbe come minimo ridare slancio a privatizzazioni e dismissioni immobiliari per confermare l'obiettivo di un incasso di 11 miliardi di euro  all'anno, dal 2014. Ma forse non basta. Di qui il fiorire di ipotesi tecniche su operazioni choc di abbattimento del debito attraverso la costituzione di un fondo patrimoniale dello Stato che emetterebbe obbligazioni.

Un altro fronte che potrebbe essere tagliato è quello delle agevolazioni e deduzioni fiscali. Possibile una stretta sulle spese veterinarie e quelle per i funerali. È comunque certo che i bonus che in qualche modo sono parte integrante del welfare italiano non verranno minimamente sfiorati. Si tratta delle detrazioni da lavoro e pensione che valgono quasi 38 miliardi (per 36 milioni di contribuenti). E non corrono rischi neppure le detrazioni per i familiari a carico per un valore di oltre 10 miliardi (3,5 per il coniuge e 6,7 per i figli). Più a rischio le spese sanitarie ( 2,3 miliardi per 14 milioni di contribuenti ), nel senso che potrebbe essere operata una selezione gra- duata in base al reddito. Tra le voci in discussione potrebbero rientrare le deduzioni per i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori (4,3 miliardi per quasi 12 milioni di contribuenti) e le spese per mutui e assicurazioni: sconti di quasi 2 miliardi. Contano poco invece voci come quelle per l'istruzione (300 milioni per 2 milioni cittadini) o per lo sport dei figli (55 milioni ).

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