Questo prende il nome di previdenza complementare e consiste in un vero e proprio sistema di risparmio utile ad assicurarsi un futuro più roseo dal punto di vista economico.
Il funzionamento è estremamente semplice: i lavoratori vanno ad accumulare un capitale nel corso della propria vita professionale, che viene poi liquidato al momento del pensionamento, sotto forma di rendita aggiuntiva.
Non solo: questa formula, come spiega l’approfondimento di Day sul welfare aziendale e la previdenza complementare, consente anche di ottenere importanti benefici fiscali, tra cui la deducibilità dei contributi versati, per ridurre il reddito imponibile e quindi pagare meno tasse.
Come funziona la previdenza complementare
La previdenza complementare è nata con lo scopo di integrare la previdenza obbligatoria: ogni lavoratore può cioè decidere autonomamente di mettere da parte dei soldi mentre lavora in un fondo pensione, per poi avere una pensione integrativa quando arriva al termine della propria carriera professionale.
La scelta della somma da versare mensilmente o annualmente è libera e i soldi depositati vengono investiti sui mercati finanziari da gestori specializzati, con l’obiettivo di farli fruttare il più possibile.
Nel momento in cui la persona va in pensione, può optare tra ricevere una rendita mensile, cioè un assegno che si aggiunge alla pensione statale, oppure ritirare una parte di capitale, tutto insieme.
Il totale della somma accumulata varia non solo in base ai soldi versati, ma anche al numero di anni in cui la previdenza complementare è rimasta attiva, al rendimento degli investimenti e ai costi generali del fondo (commissioni e spese di gestione).
Il calcolo tiene conto del coefficiente di conversione, determinato sulla base dell’età e delle aspettative di vita del beneficiario.
Come attivare la previdenza complementare
Il primo modo per costruire una pensione integrativa consiste nell’apertura di un PIP, ovvero un piano individuale pensionistico gestito generalmente dalle compagnie di assicurazione. Si tratta di una sorta di polizza per la pensione tra l’agenzia e il lavoratore, senza intervento dell’azienda o dei sindacati.
La previdenza complementare può essere anche attivata tramite fondi pensione preesistenti, nati prima del 1993 (anno in cui è entrata in vigore la Legge che regola in modo uniforme il settore), che possono essere autonomi (fondi dotati di personalità giuridica propria) o interni (patrimonio accantonato all’interno di grandi imprese o banche) e sono rivolti esclusivamente a dipendenti dell’ente istitutivo, in base a regolamenti aziendali o accordi contrattuali preesistenti.
Un’altra formula è quella dei fondi pensione aperti, istituiti da banche, assicurazioni o società che gestiscono risparmi, a cui è possibile aderire individualmente, oppure attraverso l’intervento dell’impresa per cui si lavora.
Si può, infine, anche optare per i fondi pensione negoziali, stabiliti nei contratti di lavoro tra sindacati e datori di lavoro e pensati per particolari categorie di lavoratori (metalmeccanici, chimici, commercio, ecc.). Questi ultimi comprendono anche i fondi territoriali, per i lavoratori di una certa zona, nati da accordi locali tra associazioni di imprese e sindacati.
La tassazione della previdenza complementare
Essendo nata per affiancare il sistema previdenziale nazionale, la previdenza complementare beneficia di una tassazione agevolata.
In primis, i contributi versati nel fondo pensione sono deducibili dall’IRPEF, ovvero dal reddito su cui si calcolano le tasse, fino a un massimo di €5.164,57 all’anno, portando a un risparmio immediato sulle imposte.
In questo calcolo sono inseriti non solo i contributi versati volontariamente dal lavoratore, ma anche quelli provenienti dal datore di lavoro, oltre ad ulteriori versamenti effettuati a favore di familiari a carico. Il TFR destinato al fondo pensione non concorre invece al raggiungimento di questo limite e gode di un regime fiscale proprio.
I guadagni generati dai soldi investiti, poi, sono tassati solo al 20% e scendono al 12,5% se i rendimenti derivano da titoli di Stato. Infine, al momento di prendere la pensione integrativa, l’importo viene tassato con un’aliquota iniziale del 15% (molto più bassa delle normali aliquote IRPEF), che si riduce ulteriormente a seconda degli anni di partecipazione: dopo 15 anni, l’aliquota si riduce dello 0,30% ogni anno in più, fino ad arrivare a un taglio massimo di 6 punti percentuali.







