E' vietato adibire le gestanti al lavoro notturno anche se limitato

Bernardo Diaz Venerdì, 21 Settembre 2018
Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Ue. Le lavoratrici gestanti, puerpere o in allattamento non possono essere obbligate a svolgere l'attività in orario notturno se presentano un certificato medico che attesti tale necessità per tutelare la salute o la sicurezza.
La direttiva europea sulla tutela della sicurezza sul posto di lavoro delle lavoratrici gestanti impone agli stati membri di vietare che le donne in stato di gravidanza o in stato di allattamento possano essere chiamate allo svolgimento dell'attività lavorativa durante l'orario notturno anche se l'attività si svolge solo parzialmente in tale ambito, per effetto del turno di lavoro svolto dall'interessata. E' questo in sintesi il principio affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza della causa C-41/17 depositata lo scorso 19 Settembre 2018.

La Corte di Giustizia era stata chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, nonché degli articoli 4, 5, e 7, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.

La questione

La domanda perveniva nell’ambito di una controversia tra una lavoratrice spagnola che prestava attività di guardia di sicurezza privata, il suo datore di lavoro, e l'INSS (l'Inps spagnola). La lavoratrice svolgeva l'attività di vigilanza su turni giornalieri di 8 ore lavorative di cui solo una parte ricadevano nelle ore notturne (dal lunedì al giovedì da mezzanotte alle otto di mattina, il venerdì dalle due alle otto di mattina, il sabato dalle tre alle otto di mattina, e la domenica dall’una di notte alle otto di mattina). Ricadendo parzialmente il turno di lavoro nell'orario notturno e non potendo questo essere svolto in orari diversi la lavoratrice aveva chiesto la sospensione del suo contratto di lavoro e la concessione di un’indennità di rischio per il periodo di allattamento all'Istituto di Previdenza Spagnolo. La lavoratrice lamentava, infatti, che lo stato di allattamento era incompatibile con lo svolgimento del lavoro notturno ancorchè effettuato solo in alcune giornate della settimana e l'avrebbe esposta ad un rischio per la sua salute e sicurezza.

Contro il diniego delle proprie richieste la lavoratrice si era rivolta al tribunale di primo grado e poi al giudice d'Appello Spagnolo. Il giudice d'Appello a sua volta ha sollevato la questione innanzi alla Corte di Giustizia Ue osservando, infatti, che secondo il diritto comunitario, le lavoratrici in periodo di allattamento che svolgono un lavoro a turni nell’ambito del quale solo alcuni turni vengono effettuati in orari notturni devono beneficiare della medesima protezione accordata alle lavoratrici in periodo di allattamento che svolgono un lavoro notturno non articolato su turni. Ed ha chiesto alla Corte di Giustizia UE sostanzialmente di avvalorare o meno tale interpretazione.

La decisione

La Corte di Giustizia Ue ha confermato la tesi del Tribunale Spagnolo. Secondo i giudici europei, infatti, la normativa comunitaria consente di equiparare l'attività del prestatore a turni che svolge solo in alcune giornate l'attività notturna a quella prestata dal lavoratore notturno e deve pertanto godere della medesima protezione accordata dall'ordinamento per il lavoro notturno. La direttiva Ue 2003/88 all'articolo 2 paragrafo 4 definisce, infatti, il lavoratore notturno come "qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero, impiegate in modo normale" e "qualsiasi lavoratore che possa svolgere durante il periodo notturno una certa parte del suo orario di lavoro annuale". Inoltre, la citata direttiva precisa che la nozione di "periodo notturno" deve essere compresa come "qualsiasi periodo di almeno 7 ore, definito dalla legislazione nazionale e che comprenda in ogni caso l’intervallo fra le ore 24 e le ore 5".

"Dalla formulazione di tali disposizioni - spiegano i giudici nelle motivazioni - , e in particolare dall’impiego delle espressioni "qualsiasi periodo", "almeno 3 ore del suo tempo di lavoro" e "una certa parte del suo orario di lavoro", deriva che una lavoratrice la quale, come nel procedimento principale, svolge un lavoro a turni nel cui ambito compie unicamente una parte delle sue mansioni nelle ore notturne, deve ritenersi svolgere un "lavoro notturno" e deve pertanto essere qualificata come "lavoratore notturno", ai sensi della direttiva 2003/88".

Delineata l'applicabilità della Direttiva Ue 2003/88 la Corte accorda, quindi, al caso di specie la protezione specifica prevista dall’articolo 7 della direttiva 92/85. La disposizione da ultimo richiamata mira a rafforzare la protezione di cui beneficiano le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento sancendo il principio secondo il quale le medesime non sono tenute a svolgere un lavoro notturno quando quest’ultimo le espone a un rischio per la loro salute o per la loro sicurezza. "Orbene, se una lavoratrice in periodo di allattamento che, come nel procedimento principale, svolge un lavoro a turni dovesse essere esclusa dall’ambito di applicazione dell’articolo 7 della direttiva 92/85 per il motivo che essa svolge una parte soltanto delle sue mansioni in ore notturne, ciò avrebbe come conseguenza di svuotare tale disposizione di una parte del suo effetto utile. Infatti, la lavoratrice interessata potrebbe essere esposta a un rischio per la salute o per la sicurezza, con conseguente notevole riduzione della protezione di cui essa ha diritto di beneficiare in virtù di tale disposizione" spiegano i giudici.

In definitiva, nel caso di specie, la Corte Ue spiega che la lavoratrice ha diritto all’assegnazione ad un lavoro diurno oppure, in mancanza, una dispensa dal lavoro, previa esibizione di un certificato medico che ne attesti la necessità per la sicurezza o la salute personale, secondo le modalità stabilite dallo Stato membro.



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