Secondo i Giudici la tesi, tuttavia, non regge; l'imprenditore, nel caso le risorse non fossero sufficienti all'integrale versamento degli stipendi e dei contributi, dovrebbe piuttosto comprimere il versamento dello stipendio "essendo obbligo del sostituto quello di ripartire le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da poter adempiere il proprio obbligo, anche se ciò dovesse comportare l'impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare". "Né può configurarsi - continuano i giudici - a fronte di una situazione di carenza di liquidità dell'azienda che abbia indotto il datore di lavoro a dare la preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e a pretermettere il versamento delle ritenute, lo stato di necessità, atteso che la punibilità della condotta deve essere individuata proprio nel mancato accantonamento delle somme dovute all'Istituto (in nome e per conto del quale tali somme sono state trattenute), sussistendo comunque la provvista sufficiente all'adempimento che solo la scelta dell'imprenditore ha fatto sì che avesse diversa destinazione.
Con questa considerazione hanno respinto la posizione sostenuta dalla difesa dell'imprenditrice, secondo cui «la possibilità di ripartire le risorse esistenti in modo da poter assolvere al debito parafiscale anche se ciò non consenta il pagamento degli stipendi nel loro intero ammontare non può ritenersi…un'opzione né razionale né legittima» perché determinerebbe un danno per i dipendenti e per l'azienda stessa.
Regime sanzionatorio
La sentenza affronta, inoltre, il tema del regime sanzionatorio applicabile, dato che l'imprenditrice ha sostenuto che per l'anno 2009 fosse intervenuta la prescrizione. I giudici osservano che i mancati versamenti per quell'anno ammontano a oltre 10mila euro, soglia della depenalizzazione introdotta con il decreto legislativo 8/2016. Ove l'omesso versamento delle ritenute non avesse superato l'importo di 10 mila euro annui sarebbe stata applicabile, di fatti, la sola sanzione amministrativa (ipotesi depenalizzata). Quindi gli importi contestati, anche applicando la disciplina più favorevole oggetto della novella normativa, restano sanzionabili penalmente. Con l'occasione la Corte precisa anche i nuovi termini di decorrenza della prescrizione a seguito del richiamato intervento di depenalizzazione.
Nel vecchio regime il reato si consumava in corrispondenza di ogni omesso versamento mensile di ritenute, cioè al giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento dei contributi. Nel nuovo e vigente regime, invece, la consumazione coincide, «secondo una triplice diversa alternativa, o con il superamento, a partire dal mese di gennaio dell'importo di 10 mila euro ove allo stesso non faccia più seguito alcuna ulteriore omissione, o con l'ulteriore o le ulteriori omissioni successive sempre riferite al medesimo anno ovvero, definitivamente e comunque, laddove anche il versamento del mese di dicembre sia omesso, con la data del 16 gennaio dell'anno successivo». Va rammentato che a seguito dell'intervento legislativo del Dlgs 8/2016 sia nel caso di illecito amministrativo che penale è prevista, comunque, una sorte di ravvedimento breve: il datore di lavoro non è punibile (non c'è reato né sanzione) qualora provveda al pagamento delle ritenute entro tre mesi dalla notifica della contestazione della violazione.