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Pensione Anticipata, l'Inps conferma lo stop alla penalizzazione dal 1° gennaio 2015
Una circolare dell'Inps conferma lo stop alla penalizzazione solo sui trattamenti aventi decorrenza dal 1° gennaio 2015. Chi matura i requisiti entro il 2017 potrà accedere alla pensione senza penalità anche successivamente.
Kamsin Trova conferma ufficiale lo stop alla penalizzazione introdotto dalla legge di stabilità 2015 sino al 31 dicembre 2017 per i lavoratori iscritti alla previdenza pubblica. Lo ribadisce la Circolare Inps 74/2015 pubblicata oggi sul sito internet dell'istituto.
I destinatari. Non subiranno il taglio dell'1-2% le pensioni anticipate liquidate nel regime misto (cioè riguardanti i lavoratori in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995) aventi decorrenza dal 1° gennaio 2015 e, limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, anche se la decorrenza della pensione si collochi successivamente a tale ultima data.
La penalizzazione in pratica non si applicherà:
- nei confronti delle prestazioni aventi decorrenza ricompresa tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017;
- nei confronti delle prestazioni aventi decorrenza successiva al 31.12.2017 a condizione però che siano stati raggiunti i requisiti contributivi per la pensione anticipata entro il 31.12.2017.
Per effetto del principio della cristallizzazione del diritto alla pensione, infatti, "con riferimento ai soggetti che entro il 31 dicembre 2017 maturino il diritto alla pensione anticipata, ancorché abbiano alla stessa data meno di 62 anni di età, non si applica l’articolo 24, comma 10, del decreto legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, anche se la decorrenza della pensione si collochi successivamente alla predetta data ed a quest’ultima l’interessato abbia un’età inferiore a 62 anni".
Ad esempio un lavoratore che abbia raggiunto i 42 anni e 10 mesi di contributi e 58 anni di età nel novembre 2017 qualora - pur potendo accedere alla pensione dal 1° dicembre 2017 - voglia comunque continuare a restare sul posto di lavoro per un altro anno, potrà farlo senza che ciò comporti l'applicazione della penalizzazione. In altri termini ciò che conta è che siano raggiunti i requisiti contributivi per il diritto alla pensione anticipata entro il 31.12.2017 mentre non rileva la data di decorrenza del rateo.
Pensioni liquidate ante 2015. L'Inps conferma, invece, che gli assegni liquidati entro il 31.12.2014 restano soggetti alla penalizzazione a vita. "Con riferimento alle pensioni anticipate nel regime misto aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 2015 continua a trovare applicazione l’articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, così come modificato dalla legge del 30 ottobre 2013, n. 125, di conversione del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 e dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147, nel testo in vigore prima delle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 113, della legge n. 190 del 2014" precisa l'Inps.
Al riguardo si precisa che, ai fini previdenziali, per “anzianità contributiva derivante esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro”, deve intendersi la contribuzione obbligatoria dovuta per i periodi di “prestazione effettiva di lavoro”, espressa in mesi, settimane o giorni a seconda della gestione previdenziale di iscrizione del lavoratore. Pertanto, ai fini della non riduzione percentuale della pensione anticipata nel regime misto, occorre tener conto sia della contribuzione obbligatoria sia della contribuzione diversa da quella obbligatoria tassativamente elencata dall’articolo 6, comma 2-quater".
Documenti: Circolare Inps 74/2015
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Zedde
Riforma Pensioni, Poletti: studiamo anche altre forme per avvicinare l'uscita
Tra le ipotesi allo studio dell'esecutivo anche un maggior ricorso alla totalizzazione senza oneri di tutti i periodi contributivi e versamenti volontari detassati.
Kamsin In occasione del prossimo intervento sulle pensioni il Governo prenderà in esame anche ulteriori strumenti per aiutare le persone a maturare i requisiti per il pensionamento nella previdenza pubblica. Lo ha detto ieri a Palazzo Madama, nel corso del question time, il Ministro del lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, in risposta all'interrogazione sollevata dal presidente della Commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi.
Oltre all'introduzione di forme di "flessibilità in uscita" si studieranno anche meccanismi in grado di aumentare il maturato contributivo dei lavoratori su base volontaria. Come ad esempio la possibilità di incentivare fiscalmente i versamenti volontari, sia durante che dopo il rapporto di lavoro estendendo tale facoltà anche all'ex datore del lavoro, procedere ad un recupero più flessibile del periodo di laurea, estendere la totalizzazione a tutti i versamenti "perché nella logica contributiva nulla può andare perduto". Il suggerimento ad aprire a queste modifiche arriva proprio dell'ex-ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che da molti anni chiede di agevolare il versamento e la riunificazione dei contributi "dato che la discontinuità lavorativa è ormai, purtroppo, un fenomeno assai frequente. Solo in questo modo sarà possibile aiutare i giovani lavoratori a costruirsi una previdenza".
"Oltre a queste forme di incentivi - ricorda Sacconi - bisogna garantire maggiore complementarietà fra i pilastri della previdenza, fra quello obbligatorio e i due volontari, quello collettivo e quello individuale, in modo tale che sia sempre possibile, a certe condizioni irrobustire innanzitutto la prima pensione, quella fondamentale, anche traslando risorse dai due pilastri a carattere volontario a quello a carattere obbligatorio".
"Abbiamo i temi che il senatore Sacconi ci ha proposto. Io credo che questi debbano essere ricompresi nella riflessione che andiamo a fare, perché essi in qualche modo aiuterebbero uno stock di persone a maturare i requisiti per il pensionamento. Quindi abbiamo bisogno di produrre tutte le condizioni che specificamente possono intervenire rispetto a questo tipo di situazione. Queste sono tematiche che affronteremo all'interno di questa vicenda in occasione della prossima legge di stabilità" ha detto il Ministro del Lavoro.
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Zedde
Pensioni, Poletti: nessun intervento in agenda per depenalizzare gli assegni già liquidati
"Non sono in agenda interventi per estendere il blocco della penalizzazione agli assegni liquidati prima del 2015". "La norma è stata inserita dal Parlamento"
Kamsin "In questo momento il Governo non ha in previsione e non sta lavorando sulla cancellazione della disparità di trattamento sulle penalizzazioni, scelta fatta dalla legge di stabilità 2015". Lo ha detto il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ieri, durante il question time che si è svolto a Palazzo Madama. "Non l'ha fatto perché si tratta di un intervento di tipo parlamentare, nel senso che la norma è stata proposta ed approvata all'interno del percorso della legge di stabilità ed ha una sua logica, cioè fare in modo che il numero più alto di persone possa scegliere di andare in pensione. Essa quindi, in questo specifico momento in cui c'è bisogno di ricambio, ha la funzione di rendere più agevole l'uscita".
"Questa finalità chiaramente non è perseguibile rispetto alle persone che sono già in pensione; quindi non si coglierebbe questo obiettivo. Esiste il tema di una diversità di condizione che si va a determinare, ma, sul piano generale, credo che normalmente o molto spesso, quando si fa un intervento su una situazione di fatto, si produce sempre una situazione di prima e di dopo e quindi non si risolve questo tipo di problema. Il Governo oggi su questo aspetto non ha quindi iniziative in corso" ha concluso Poletti.
La vicenda riguarda circa 25mila pensionati, soprattutto lavoratrici, usciti tra il 2013 ed il 2014 con 41-42 anni di contributi accettando la famosa penalizzazione, cioè la riduzione del 2 per cento per ogni anno se si usciva prima dei sessantadue anni d'età. La legge di stabilità 2015, approvata lo scorso dicembre, prevede che nel triennio 2015-2017 potranno andare in pensione senza penalizzazione tutti coloro che avranno maturato i requisiti dei quarantadue anni e sei mesi ma non ammette al ricalcolo - e quindi alla depenalizzazione - degli assegni già liquidati entro il 31 dicembre 2014.
In pratica chi è uscito prima del 31 dicembre 2014 resterà con l'assegno penalizzato mentre chi va in pensione quest'anno o i prossimi due non avrà alcuna decurtazione. Una situazione foriera di ricorsi - hanno sottolineato i Senatori interroganti - perché c'è una disparità di trattamento inevitabile e forse c'è anche una violazione del principio costituzionale di uguaglianza".
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Contratti rumeni, il ministero annuncia un giro di vite sulle agenzie
Dopo il clamore suscitato dalla denuncia della Fillea Cgil, il ministero del lavoro è intervenuto ieri con una circolare. I "contratti rumeni" sono irregolari.
Kamsin Chi utilizza «i contratti rumeni» viola la legge e rischia sanzioni. Il ministero del Lavoro batte un colpo sul caso dell'agenzia interinale rumena che faceva pubblicità tramite un promoter italiano a Modena promettendo un pacchetto completo col 40 per cento di risparmio sul lavoro, tagliando «tredicesima, Tfr, contributi Inail e lnps». Una circolare inviata dalla Direzione generale per l'attività ispettiva alle direzioni territoriali e per informare gli imprenditori anche alle associazioni di categoria e alle agenzie di somministrazione.
Nella circolare si sottolinea il «contrasto con la disciplina comunitaria e nazionale in materia di distacco transnazionate» e il rischio di «ripercussioni, anche di carattere sanzionatorio, in capo alle imprese utilizzatrici». La circolare ricorda poi «l'attiva partecipazione ad iniziative che hanno coinvolto altri Stati Ue (progetto Enfoster, progetto Transpo, progetto Empower) e il decreto legislativo 276 del 2003: per l'articolo 23 le agenzie interinali con sede in altro Stato membro devono applicare ai lavoratori «condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte», insieme con l'applicazione della disciplina in materia di responsabilità solidale per l'adempimento degli obblighi retributivi e previdenziali.
Il ministero invita anche gli ispéttorati del lavoro ad aumentare la vigilanza contro abusi di questo tipo «prestando la massima attenzione a questi fenomeni».
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Riforma Pensioni, Poletti conferma: dal 2016 ci sarà piu' flessibilità in uscita
Il Governo interverrà sulle pensioni, modificando la riforma Fornero nella prossima legge di stabilità. Saranno introdotti i pensionamenti flessibili
Kamsin Flessibilità in uscita a partire dal prossimo 1° gennaio 2016 con l'abbinamento di uno strumento assistenziale per quei lavoratori vicini "alla pensione ma privi dei requisiti, non coperti da ammortizzatori sociali, che rischiano di trovarsi in una terra di nessuno". Lo ha annunciato ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, nel corso di una interrogazione che si svolta in Senato. Sul fronte degli ultra 55 enni senza lavoro Poletti ha ricordato "che da una parte abbiamo cercato di affrontare questo tema utilizzando l'ASDI, l'assegno di disoccupazione, cercando di prolungare questo istituto, ma il problema rimane, per cui dovremo trovare la maniera di affrontarlo".
Le modifiche con la legge di stabilità. "Credo che il momento nel quale potremo fare questa operazione non potrà che essere l'esame della legge di stabilità" ha detto Poletti, "perché avremmo bisogno di quantificare e qualificare le risorse che saranno necessarie per gestire le scelte che andremo a fare eventualmente in quella sede. "L'Inps è impegnata in un lavoro di analisi e nella predisposizione delle opzioni possibili che devono essere efficaci ed economicamente sostenibili. Da questo punto di vista sappiamo infatti che abbiamo dei vincoli o comunque delle condizioni normative che dobbiamo tenere assolutamente in considerazione e ai quali dobbiamo fare riferimento".
Tema Flessibilità in uscita. L'altro tema all'ordine del giorno è quello della flessibilità in uscita. "Questo è l'altro elemento sul quale ci stiamo esercitando, cioè valutare quali possono essere le modalità attraverso le quali produrre questa situazione. A questo è collegata la problematica che avete proposto: chiamiamola staffetta generazionale o come vogliamo, abbiamo comunque un tema di connessione tra uscita o ribaltamento di una logica".
Il dossier è allo studio del governo con l'obiettivo di disinnescare' possibili "problemi sociali", lo stesso Poletti ha rilanciato la proposta del "prestito pensionistico" elaborata dal suo predecessore, Enrico Giovannini: al lavoratore vicino alla pensione verrebbe data la possibilità di incassare in via temporanea un assegno pensionistico, da restituire in piccole somme alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia (si stimano oneri per meno di 1 miliardo tra il 2015 e il 2024).
Tra le ipotesi in campo sulla flessibilità in uscita vanno segnalate anche le proposte depositate dal presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), che consentono con 62 anni di età e 35 di contributi di andare in pensione con una penalizzazione dell'8 per cento; inoltre agli uomini e alle donne si consente di andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica e senza penalizzazioni (ddl 857). Oppure quella sulla quota 100, depositata proprio la scorsa settimana, che consente l'uscita a partire da 62 anni e 38 anni di contributi senza però alcuna penalità sull'assegno (ddl 2945).
Da Palazzo Chigi le obiezioni a questi progetti riguardano l'entità delle coperture finanziarie. «La prossima settimana - spiega Damiano - riprenderà il confronto sulle pensioni in commissione, esamineremo nuovi disegni di legge, per arrivare ad una proposta unitaria». Una proposta sarà poi presentata dall'Inps a giugno che ha avviato l'operazione trasparenza per far emergere le situazioni di privilegio, con assegni pensionistici solo parzialmente coperti dai contributi versati.
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Congedi Parentali, l'indennità si allunga sino al sesto anno di vita del figlio
Le misure sono contenute nella bozza di decreto attuativo del Jobs Act, approvato in via preliminare lo scorso 20 Febbraio dal consiglio dei ministri.
Kamsin Almeno per il 2015 i genitori potranno fruire del congedo parentale sino ai 12 anni di età del figlio (invece di otto). Lo conferma il testo del decreto sulla conciliazione vita-lavoro trasmesso dal Governo alle Commissioni Lavoro di Camera e Senato per l'acquisizione dei rispettivi pareri.
Sempre quest'anno, i genitori avranno diritto all'indennità di congedo parentale, senza vincoli di reddito, fino all'età di sei anni (e non tre); avranno diritto all'estensione dell'indennità sino all'ottavo anno coloro che abbiano un reddito individuale inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria (circa 1255 euro). Il restante periodo (cioè dai 6 ai 12 anni nel primo caso e dagli 8 a 12 anni laddove si possa godere dell'estensione dell'indennità legata alle condizione di redddito) rimane non coperto dall'indennità di congedo.
Congedo ad Ore. Il provvedimento contiene inoltre una spinta all'utilizzo del congedo parentale a ore, possibilità introdotta dalla legge Fornero, e che doveva però essere regolamentata dalla contrattazione collettiva. Considerato che ciò fino a oggi è avvenuto in pochissimi casi, il legislatore ne consente l'uso anche senza disciplina contrattuale fissando alcune regole di carattere generale. In particolare il decreto prevede che ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria. Vengono modificati anche i termini di preavviso: da 15 giorni si passa a 5 per il congedo giornaliero e a 2 in caso di congedo ad ore.
Congedo di maternità. Altre modifiche riguardano il congedo di maternità. Da un lato si concede la possibilità per la madre di sospenderlo in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata. Se pertanto il bambino viene ricoverato nel periodo previsto per la cosiddetta astensione obbligatoria (tre o quattro mesi dopo il parto) il periodo può essere sospeso e riprenderà a decorrere dopo le dimissioni del figlio, a condizione che la lavoratrice produca una attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell'attività lavorativa. Il diritto della sospensione del congedo può essere esercitato una sola volta per ogni figlio. L'altra importante novità è l'estensione del diritto a percepire l'indennità di maternità (direttamente dall'Inps) anche nel caso di risoluzione del rapporto per giusta causa, precedentemente escluso.
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Riforma Pensioni, la Lega presenta un nuovo ddl sulla quota 100. Ecco le novita'
La Lega Nord ha depositato oggi in Commissione Lavoro una variante al disegno di legge sulla quota 100 in grado di consentire il pensionamento anche a chi ha 60 anni e 40 anni di contributi.
Kamsin In vista della riapertura del cantiere sulle pensioni la Lega nord ha depositato oggi in Commissione Lavoro della Camera la propria proposta per consentire ai lavoratori la libertà di scelta nell'accesso ai trattamenti pensionistici. Ne hanno dato notizia in una nota gli onorevoli Prataviera e Fedriga firmatari e promotori del provvedimento.
I contenuti. Il provvedimento propone l'accesso alla pensione a condizione che sussistano almeno 58 anni di età o 35 anni di contributi piu' il contestuale perfezionamento della quota 100, valore dato sempre dalla somma dell'età anagrafica del lavoratore unitamente ai contributi versati. Questa combinazione può essere raggiunta, specificano dalla Lega, in un range temporale molto ampio proprio per tutelare un maggior numero di situazioni lavorative.
Secondo il testo del provvedimento della Lega (qui il testo ufficiale del ddl 2955) sono otto gli incroci tra età anagrafica e anzianità contributiva in grado di centrare la quota 100 e quindi garantire il pensionamento. Si parte da un ipotetico 58 anni con 42 anni di contributi, si passa per la soglia "rotonda" dei 60 anni e 40 anni di contributi, poi per il binomio 62 anni e 38 di contributi sino a raggiugere l'altro estremo a 65 anni e 35 anni di contributi (si veda la tabella per le combinazioni possibili). La Lega, inoltre, in via transitoria, per un periodo di tre anni, intende sospendere l’adeguamento dei requisiti anagrafici e contributivi di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita, di cui all’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78.
Si arricchisce così il confronto sulle reintroduzione del pensionamento con le quote dopo che la scorsa settimana la minoranza Dem aveva depositato ufficialmente una proposta simile a firma degli onorevoli Damiano e Gnecchi (il ddl 2945), proposta in cui però erano richiesti almeno 62 anni di età (qui i dettagli nell'appronfondimento dedicato da pensionioggi.it).
La nostra iniziativa, ricordano dalla Lega, sottolinea come sia necessario mettere mano il prima possibile alla Riforma Fornero per garantire maggiore flessibilità in uscita. "E' infatti del tutto evidente come lo stravolgimento dei requisiti pensionistici causati dalla Fornero abbiano, di fatto, allungato di molto l’età lavorativa delle persone, infondendo nei lavoratori sfiducia e pessimismo in merito alla possibilità di pensionamento, che viene ora percepita più come una chimera che come un diritto. Inoltre, l’innalzamento dell’età pensionabile, prolungando la permanenza al lavoro, ha bloccato il ricambio generazionale penalizzando fortemente l’accesso occupazionale dei giovani in un mercato del lavoro già in fase recessiva per la prolungata crisi economica.
Ci auguriamo quindi che la maggioranza abbia il coraggio di portare questi disegni di legge all'esame dell'Aula e di non tenerli nel cassetto come è accaduto sino ad oggi".
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Pensioni, quando scatta il pensionamento d'ufficio nelle Pa
I Dipendenti pubblici che hanno maturato un diritto a pensione entro il 2011 dovranno essere collocati in pensione forzosamente al compimento dei 65 anni.
Kamsin I lavoratori nelle pubbliche amministrazioni che hanno raggiunto un diritto a pensione entro il 2011 (cioè prima dell'entrata in vigore della Legge Fornero) dovranno obbligatoriamente lasciare il posto allo scoccare dei 65 anni. L'articolo 2, comma 4 del decreto legge 101/2013 convertito con la legge 125/2013 è infatti tassativo nello stabilire che chi ha raggiunto i requisiti per la pensione entro il 2011 non possa, neppure su domanda, chiedere di restare in servizio sino alle nuove età pensionabili introdotte con la Riforma Fornero.
Questa norma, sino all'estate scorsa, era in parte temperata dalla possibilità di chiedere comunque il trattenimento in servizio per un biennio - e quindi si poteva arrivare sino a 67 anni - ma il decreto sulla pa (il decreto legge 90/2014) ha mandato in soffitta anche questa "opportunità". Oggi quindi bisogna lasciare obbligatoriamente al compimento dei 65 anni, età che corrisponde al limite ordinamentale per la permanenza in servizio nella maggior parte delle amministrazioni pubbliche.
Interessati da questa disposizione sono i lavoratori che hanno raggiunto i 40 anni di contributi entro il 31 dicembre 2011, la quota 96 (60 anni di età e 36 anni di contributi; oppure 61 anni e 35 di contributi), le lavoratrici che hanno raggiunto i 61 anni e 20 di contributi sempre entro il 2011.
Un esempio può aiutare a comprendere: si immagini un lavoratore che ha raggiunto 60 anni ad ottobre 2011 con il contestuale perfezionamento di 36 anni di contributi. Questi potrà rimanere in servizio sino ad ottobre 2016 e dal 1° novembre dello stesso anno sarà collocato in pensione d'ufficio da parte della sua amministrazione. Non gli sarà, in altri termini, consentito di raggiungere i 66 anni e 7 mesi previsti dalla legge Fornero per la pensione di vecchiaia.
Chi invece è soggetto alla legge Fornero, cioè non ha perfezionato un diritto a pensione entro il 2011, può continuare a restare in servizio sino alle nuove eta' fissate dalla Riforma del 2011 e cioè sino a 66 anni e 3 mesi per la pensione di vecchiaia (66 anni e 7 mesi dal 2016). C'è solo un limite introdotto dall'articolo 2, comma 5 del Dl 101/2013: se il dipendente perfeziona la massima anzianità contributiva, cioè 41 anni e mezzo di contributi le donne e 42 anni e mezzo gli uomini, prima dell'età per la vecchiaia, la Pa dovrà risolvere il rapporto di lavoro purchè il lavoratore abbia raggiunto o superato i 65 anni.
Risoluzione facoltativa. Per quanto riguarda, invece, la risoluzione facoltativa, quella cioè "discrezionale" da parte delle pubbliche amministrazioni (istituto comunque poco utilizzato), la Circolare della Funzione Pubblica 2/2015 precisa che chi ha maturato un diritto a pensione prima del 2011 possa essere mandato a casa già con 40 anni di contributi; chi invece è soggetto alle regole fornero può essere congedato non prima dei 62 anni al compimento dei requisiti contributivi previsti per avere diritto alla pensione anticipata (articolo 1 del decreto legge 90/2014). In tal caso l'amministrazione deve dare un avviso motivato almeno sei prima della risoluzione.
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A cura di Paolo Ferri - Patronato Acli
730 precompilato, la dichiarazione online resta facoltativa
I contribuenti potranno sempre procedere alla compilazione della dichiarazione tramite il sistema tradizionale cioè con il 730 o con il modello Unico.
Kamsin Siamo vicini alla partenza della dichiarazione dei redditi precompilata. A partire dal prossimo 15 aprile i contribuenti potranno accedere al modello precompilato elaborato dalla Entrate con le credenziali Fisconline rilasciate dall'Agenzia (codice Pin e password), oppure della Carta Nazionale dei Servizi o delle credenziali Inps e decidere se accettarlo o integrarlo.
Il 730 precompilato si tratta di una vera e propria dichiarazione dei redditi nella quale l'Agenzia delle Entrate ha già inserito i dati su redditi, ritenute, versamenti e alcune spese detraibili o deducibili. Il contribuente deve solo verificare se i dati inseriti sono corretti. Quindi, a seconda dei casi, può accettare la dichiarazione senza fare modifiche, rettificare i dati non corretti, integrare la dichiarazione per inserire, ad esempio, altre spese deducibili o detraibili.
La precompilata è comunque facoltativa. È infatti sempre possibile presentare la dichiarazione dei redditi con le modalità ordinarie (modello 730 o modello Unico). Il contribuente potrà quindi scegliere tra due strade. Prendere per buono il 730 precompilato e, se lo ritiene opportuno, integrarlo, oppure procedere alla dichiarazione dei redditi alla vecchia maniera. Una delle differenze principali sta però nei controlli: se si accetta il precompilato senza integrarlo non ce ne saranno. Inoltre, se il contribuente lo farà direttamente, senza dover ricorrere ad un CAF non dovrà sostenere alcun ulteriore costo aggiuntivo.
Non è in alcun modo invece possibile spedire il 730 per raccomandata o consegnarlo all'Agenzia delle Entrate, si può utilizzare esclusivamente il canale telematico o direttamente o attraverso intermediario abilitato CAF o un commercialista. I costi degli intermediari saranno comunque più elevati perché diventano responsabili di tutte le incongruenze documentali risultanti dalla dichiarazione stessa.
Occhio però alle scadenze. Se si vuole utilizzare il modello precompilato la presentazione della dichiarazione dovrà avvenire tra il 1° maggio ed il 7 luglio. In questo intervallo di date il contribuente può liberamente modificare e correggere il modello; alla fine è prevista una ricevuta di ritorno che certifica l'avvenuta trasmissione della dichiarazione.
I destinatari. Per il primo anno di sperimentazione, il 730 precompilato vale solo per i contribuenti che hanno percepito nel 2014 redditi di lavoro dipendente inseriti nella Certificazione Unica 2015 ed hanno presentato per il 2013 il modello 730 oppure il modello Unico o Unico Mini. Sono esclusi, quindi, i contribuenti non in possesso dei requisiti per la presentazione del modello 730 o che non possono presentarlo personalmente. Tra questi i contribuenti con partita Iva (tranne i produttori agricoli in regime di esonero) nonchè le colf e le badanti (in quanto le famiglie presso cui lavorano non sono considerate per legge sostituti d'imposta).
I redditi inseriti. L'Agenzia inserisce nel 730 precompilato le informazioni contenute nella Certificazione Unica (redditi di lavoro dipendente, compensi di lavoro autonomo occasionale, ritenute Irpef, addizionale regionale e comunale, dati dei familiari a carico), alcuni dati contenuti nella dichiarazione dell'anno precedente (eccedenze di imposte non richieste a rimborso, oneri detraibili in più periodi d'imposta) e altri dati presenti in Anagrafe tributaria (per esempio, i versamenti effettuati con il modello F24), oltre agli interessi passivi sui mutui in corso, i premi assicurativi e i contributi previdenziali e assistenziali e i contributi versati per lavoratori domestici.
Per l'anno 2014 l'Agenzia non ha ancora inserito spese sanitarie, spese per istruzione, spese funebri e assegno al coniuge separato, perchè non in possesso delle informazioni.
seguifb
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Pensioni, le politiche degli ultimi anni sono sempre meno attente ai dettami costituzionali
Particolarmente "pesante" il mancato adeguamento delle prestazioni all'inflazione delle prestazioni durante il biennio 2012-2013 e il non aver riconosciuto il bonus degli 80 euro ai pensionati.
Kamsin Il mancato avvio di una politica dei redditi familiari veramente adeguata alle esigenze ed alle necessità correnti (con particolare attenzione alle famiglie monoreddito e a quelle numerose); il mancato contemperamento degli interessi dei singoli in un contesto di obiettivi da perseguire per il benessere generale; il sempre più frequente ricorso a “prelievi straordinari” non sorretti da alcuna definita programmazione, ma dettati solo da necessità contingenti (“far cassa” ad ogni costo per far fronte alle spese correnti in continua ascesa); il diffuso assistenzialismo quasi sempre privo di adeguata copertura finanziaria; la difesa, spesso inspiegabile, di “interessi di parte” o di “privilegi indebiti”, estremamente costosi per la collettività, sono oggi tra i motivi che più ostano l’avvio di una politica fiscale realmente “equa” incentrata sui principi solidaristici che obblighi tutti indistintamente a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53 Cost.).
Il processo inflattivo, quale da anni interessa l’economia del Paese, colpisce particolarmente le pensioni sia per la rigidità dei relativi trattamenti sia anche perché i previsti meccanismi di adeguamento al costo della vita non sempre compensano in modo adeguato e sufficiente la progressiva diminuzione del potere di acquisto degli stessi o, vengono, addirittura, disattesi.
Al riguardo basta, infatti, ricordare due “fatti” per comprendere bene quanto rilevanti siano state le “iniquità” perpetrate, negli ultimi tempi, a danno dei pensionati:
- il blocco dell’adeguamento dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita disposto a danno dei pensionati dei settori pubblico e privato per gli anni 2008, 2012, 2013 e, parzialmente, anche per il 2014;
- il mancato riconoscimento ai titolari di trattamenti pensionistici inferiori a 25 mila euro lordi annui del bonus di 80 euro netto mensile riconosciuto, a decorrere dal mese di maggio 2014 ai lavoratori dipendenti ricompresi nella medesima fascia reddituale.
La mancata rivalutazione delle pensioni, nelle percentuali quali periodicamente rilevate dall’ISTAT, ha comportato, ogni volta, per i pensionati un danno economico di rilevante portata non solo nell’immediato, ma anche per il futuro atteso che, in difetto di qualunque previsione di recupero per gli anni successivi, tale danno si protrae, ininterrottamente, all’infinito fino ad incidere sulla misura della pensione di reversibilità, ove spettante ai superstiti.
Tali provvedimenti, nel disconoscere, infatti, l’incidenza obiettiva dell’erosione inflazionistica sui redditi considerati, di fatto, hanno comportato una sostanziale decurtazione del valore reale delle pensioni, con grave pregiudizio per le economie delle famiglie e in dispregio di diritti costituzionalmente tutelati.
In conseguenza del blocco anzidetto nel periodo considerato le pensioni superiori ad euro 1.441,59 nel 2012 e ad euro 1.486,29 nel 2013 (al lordo delle ritenute fiscali), malgrado le consistenti variazioni intervenute nel costo della vita, quali accertate dall’ISTAT, pari a + 2,7% nel 2012 e a + 3,0% nel 2013, non sono state rivalutate con grave ripercussione sulla economia familiare di oltre 5 milioni di pensionati che, a fronte di una considerevole crescita dei prezzi dei beni e dei servizi destinati al consumo delle famiglie, si son visti “impoverire” la loro fonte, spesso unica, di reddito……si spera ora che la Corte Costituzionale, al cui vaglio sono state rimesse le ordinanze in interesse, ponga fine a tale iniquità e ristabilisca finalmente quelle garanzie e quelle certezze oggi così largamente disattese ponendo fine, una volta per sempre, a interventi arbitrari, adottati a danno dei pensionati, in dispregio di tutele e di diritti sanciti dalla Costituzione.
Nell’udienza pubblica del 10 marzo scorso la Consulta ha discusso sulla questione di legittimità costituzionale del blocco. Ad oggi, però, il suo pronunciamento non è noto atteso che la sentenza non è stata ancora depositata in cancelleria e, conseguentemente, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
Per quanto attiene il mancato riconoscimento ai titolari di trattamenti pensionistici inferiori a 25 mila euro lordi annui del bonus di 80 euro netti al mese si è di fronte ad una discriminazione gravemente lesiva del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
Se è lodevole, infatti, venire incontro alle esigenze di vita dei lavoratori dipendenti che guadagnano poco (meno di 25 mila euro lordi all’anno) concedendo loro un contributo economico (80 euro netti al mese), di contro appare fortemente iniquo e penalizzante non procedere allo stesso modo nei confronti di altri soggetti (i pensionati) che si trovano nella medesima condizione.
Nel rapporto “Trattamenti pensionistici e beneficiari”, diffuso dall’ISTAT, si legge che nel 2013 il 41,3% dei pensionati ha percepito un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese mentre un ulteriore 39,4% ha beneficiato di una pensione compresa tra mille e duemila euro. Dai dati emerge una realtà sconvolgente…ben l’80,7% ha fruito nel 2013 di un reddito da pensione inferiore a duemila euro al mese, al lordo delle ritenute fiscali....una condizione di grande precarietà per tantissimi pensionati a fronte della quale sorge spontanea una riflessione….il trattamento di pensione non è forse una “retribuzione differita” (come autorevolmente ribadito in più occasioni dalla Corte Costituzionale) che, al pari del salario percepito in costanza di lavoro, deve assicurare al pensionato ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti quali sanciti dagli artt. 36 e 38 della Costituzione?.....e allora perché non si è provveduto analogamente anche nei loro confronti?….
La pensione non è, infatti, un privilegio o un regalo graziosamente elargito dallo Stato, ma un diritto soggettivo acquisito a seguito di versamenti obbligatori di contributi che va tutelato nei modi più opportuni ed al cui impegno non può sottrarsi lo Stato sociale trattandosi di un bene costituzionalmente tutelato (art. 38, secondo comma, della Costituzione).
Non a caso la Risoluzione Europea sulle Pensioni, adottata dal Parlamento Europeo in data 21 maggio 2013, nel sottolineare una “errata sensibilità politica volta a percepire il tema pensioni più come un problema di finanza pubblica anzicchè come strumento di sviluppo economico da estrinsecarsi con il mantenimento del livello dei consumi e come volano di investimenti a medio e lungo termine”, deplora i forti tagli alle pensioni operati in taluni Paesi (tra cui il nostro) dal momento che “la riduzione delle prestazioni è solo indirizzata al risparmio di spesa senza tenere nella debita considerazione che ogni prelievo forzato finisce con l’incidere negativamente sui consumi e sulla occupazione determinando, spesso, situazioni di precarietà a livello delle singole famiglie soprattutto di quelle il cui unico reddito è solo pensionistico”.
Abbiamo solo riportato pochi esempi, quanto basta, però, per sottolineare, con la crudezza delle cifre, l’impoverimento di tanti, aggravato da distorsioni e disparità di trattamento, nella disattesa, spesso, di quei principi sanciti dal dettato costituzionale per il quale
- “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…… è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economia e sociale del Paese” (art. 3 Cost.),
in un contesto ampiamente partecipativo e solidaristico nel rispetto sempre dei bisogni e delle necessità dei singoli.
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Articolo a Cura di Fernando Sacco