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Avranno diritto alla Naspi  i lavoratori che possono far valere non meno di 30 (invece di 18) giornate di lavoro nei dodici mesi precedenti la disoccupazione. Inoltre, l’indennità sarà piena solo per i primi tre mesi con una riduzione del 3% a partire dal quarto mese di percezione.

Kamsin Requisiti piu' stretti per avere accesso alla Naspi dal 1° maggio 2015.  Rispetto alla bozza di dlgs attuativo del Jobs Act approvata dal consiglio dei ministri la vigilia di Natale, infatti, il testo approdato in commissione lavoro al Senato contiene alcune modifiche che riducono l’accesso o l’entità della nuova prestazione Naspi. Si prevede tra l’altro, che ne avranno titolo i lavoratori che possono far valere non meno di 30 (invece di 18) giornate di lavoro nei dodici mesi precedenti la disoccupazione e, inoltre, l’indennità sarà piena solo per i primi tre mesi con una riduzione del 3% a partire dal quarto (anziché quinto) mese di percezione.

Nel testo del provvedimento, inoltre, viene trasferito all'articolo 17, la disciplina del «contratto di ricollocazione», originariamente contenuta nello schema di dlgs attuativo del «contratto a tutele crescenti».

Restano invece immutate le altre caratteristiche dell'ammortizzatore sociale. La nuova indennità, avrà la funzione "di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione". Destinatari sono i lavoratori dipendenti, con esclusione di quelli a tempo indeterminato delle p.a. e degli operai agricoli a termine o a tempo indeterminato.

La Naspi spetterà a chi abbia perso involontariamente l’occupazione e presenti congiuntamente i seguenti requisiti: stato di disoccupazione involontaria; almeno 13 settimane di contributi nei quattro anni prece- denti la disoccupazione; almeno 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.

Diversamente dall’Aspi, la nuova Naspi sarà d’importo rapportato alla retribuzione imponibile previdenziale (quella, cioè, su cui sono stati pagati i contributi attraverso Uniemens) degli ultimi quattro anni: l’importo sarà pari a tale retribuzione divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33, con i seguenti limiti: se la retribuzione non supera i 1.195 euro mensili, sarà pari al 75% di tale retribuzione; se supera i 1.195 euro mensili, sarà pari al 75% della retribuzione più il 25% della differenza tra retribuzione e 1.195.

L’indennità mensile, in ogni caso, non potrà superare 1.300 euro mensili. Inoltre è previsto che a partire dal quarto mese di fruizione, venga ridotta del 3% al mese. Anche su questa riduzione il testo dello schema di dlgs approvato in commissione Senato diverge rispetto a quello approvato dal consiglio dei ministri.

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Il punto in discussione è il mantenimento del reintegro, nei licenziamenti disciplinari, che, nello schema di Dlgs, scatta solo nel caso in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.

Kamsin "Bisogna dare la possibilità anche al datore di lavoro, in caso di condanna alla reintegrazione, di optare per una sanzione economica congrua. Già oggi nei principali paesi europei, Francia, Spagna e Germania, in cui vige la tutela reale, l'impresa può sostituirla con un adeguato indennizzo". E' quanto fa sapere il relatore al decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti (primo decreto attuativo del cd. Jobs Act), Maurizio Sacconi (Ap). Il presidente della commissione Lavoro del Senato, ha presentato ieri la relazione che apre la discussione sul parere che la commissione deve dare entro 30 giorni al provvedimento.

 Stesso termine entro il quale deve esprimersi anche la commissione Lavoro della Camera, dopo di che il consiglio dei ministri varerà definitivamente il decreto. Ma a Montecitorio, invece, Cesare Damiano (Pd), presidente della commissione Lavoro, punta a modifiche di segno contrario, in particolare eliminando le nuove regole peri licenziamenti collettivi, rafforzando l'indennizzo minimo e ripristinando il criterio della proporzionalità fra infrazione commessa e licenziamento disciplinare.

Sacconi ha evidenziato, inoltre, come le nuove regole «debbano ritenersi applicabili anche ai dipendenti del pubblico impiego, con le sole eccezioni riferibili alle procedure concorsuali di accesso e alle cosiddette carriere d'ordine» (cioè magistrature, polizia, forze armate, carriere diplomatica e prefettizia); e ha chiesto pure l'esplicita estensione a tutti i rapporti a termine che, ancorchè precedenti, vengano convertiti a tempo indeterminato dopo l'entrata in vigore del Dlgs. La pensano così anche autorevoli giuslavoristi, come il senatore Pietro Ichino (Scelta civica) e la fondazione dei consulenti del lavoro.

«È inoltre auspicabile  ha proseguito Sacconi prevedere esplicitamente che venga trattato come difetto di giustificato motivo oggettivo l'ipotesi di licenziamento per esito negativo della prova, nel caso in cui il periodo di prova risulti già scaduto, o il relativo patto invalido per qualsiasi motivo». Intanto, il servizio studi del Senato, in un dossier diffuso ieri, solleva intanto numerosi punti a rischio di contenzioso, anche costituzionale. In particolare sulle norme che consentono alle aziende con meno di 15 lavoratori di superare la soglia senza più applicare, anche ai vecchi, dipendenti, l'articolo 18. 

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Una riduzione del 10% sul trattamento pensionistico in cambio della possibilità di accedere alla pensione già con 60 anni e 35 di contributi.

Kamsin Possibilità di accedere alla pensione già all'età di 60 anni con una riduzione del 10% dell'assegno, incentivi per chi resta sino a 70 anni, nuovo tetto sulle pensioni d'oro oltre i 5mila euro netti mensili. E' questa la sintesi del disegno di legge presentato da Italia dei Valori alla Camera, il ddl è nato sulla base di una proposta di legge popolare dello scorso maggio.

“Bisogna ripensare il sistema pensionistico e creare nuovo welfare sociale. Quello dei pensionati è un mondo disintegrato e fortemente squilibrato. La nostra proposta al Governo, impegnato nella discussione sulle riforme, è di introdurre una flessibilità in uscita che preveda, tra i 60 ed i 70 anni, la libertà di scegliere quando andare in pensione con 35 anni di contributi versati, con penalità decrescenti tra i 60 e i 65 anni ed incentivi fino ai 70" sottolinea Ignazio Messina, Segretario nazionale IDV.

L'impianto della proposta è molto simile alla pdl 857 (cd. pensionamenti flessibili) promossa da Damiano e dalla minoranza dem e depositata alla Camera nell'Aprile 2013. A differenza di quest'ultima (che chiedeva un minimo di 62 anni e 35 di contributi) la proposta Idv fissa a 60 anni di età e 35 di contributi i requisiti per conseguire la pensione con una penalità del 10% sull'assegno (era dell'8% nella proposta Damiano), penalità che si riduce progressivamente al perfezionamento di 65 anni di età o al raggiungimento di 40 anni di contributi con 62 anni di età. Se si resta sul posto di lavoro oltre i 65 anni è previsto un incremento che può raggiungere il 6,5%.

Nel disegno di legge si prevede inoltre l'istituzione di un "sistema di crediti di cura a fini pensionistici", sul modello di quanto già accade in diversi ordinamenti europei, allo scopo di attenuare gli effetti prodotti dall’improvviso aumento dell’età pensionabile sulle donne, consistenti in:

1) contributi figurativi legati al numero dei figli ( ed altre fattispecie di lavori di cura ) stabiliti in 24 mesi per il primo figlio e 12 mesi per ogni figlio successivo, con un meccanismo a scalare rispetto alla contribuzione già riconosciuta a titolo di indennità di maternità e di congedi parentali.

2) integrazioni contributive per i periodi di lavoro part-time, legati ad esigenza di cura particolari e certificabili, essendo i lavoratori part-time penalizzati dal passaggio al contributivo (sul modello di quanto accade per esempio in Germania).

La Separazione dell'Assistenza dalla Previdenza - Nel progetto di legge c'è anche l'obiettivo di portare a compimento il processo già avviato dalla Legge 1989, n. 88 attraverso la separazione rigorosa dei bilanci rispettivamente riconducibili alle funzioni di natura assistenziale, a carico della fiscalità generale, e a quelle di natura previdenziale, finanziate dai contributi versati dai datori di lavoro e dei lavoratori/lavoratrici.

"Per rimediare le coperture abbiamo avanzato la possibilità di una patrimoniale sui grandi patrimoni sopra i 5milioni di euro al netto della prima casa, per tre anni, con un ricavo di 10mld di euro l’anno ed un tetto alle pensioni d’oro di oltre i 5mila euro netti, per recuperare 15mld di euro l’anno. In questo modo si da lavoro ai giovani e si aiutano anche le imprese” ha indicato Messina.

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Novità in arrivo per le partite Iva. Come già annunciato dal premier due giorni fa, il governo farà una parziale retromarcia sulle norme relative alla fiscalità di vantaggio introdotte con la legge di Stabilità 2015. C’è un «errore» nella norma che aumenta i contributi per le partite Iva (fino al 33% nel 2018, a livello dei lavoratori dipendenti), ha confermato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti intervenendo questa mattina a Radio Anch’io (Rai 1) e per rimediare l’esecutivo «non aspetterà la prossima legge di stabilità».

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La legge di stabilità ha introdotto una deroga alle "penalità" nei confronti dei lavoratori che accederanno alla pensione dal 1° gennaio 2015 con meno di 62 anni. Da chiarire gli effetti sulle pensioni già decurtate.

Kamsin Da quest'anno si potrà andare in pensione anticipata al perfezionamento di 42 anni e mezzo di contributi (41 anni e mezzo le donne) senza piu' dover guardare all'età anagrafica per evitare di far scattare le penalizzazioni. Il taglio dell'1-2% sulle quote retributive dell'assegno è stato sterilizzato sino al 2017 dal comma 113 dell'articolo unico della legge di stabilità 2015 (legge 190/2014).

Prima della modifica in parola il decreto legge 201/2011 aveva previsto che qualora l'accesso al pensionamento avvenga con età inferiori a 62 anni, trovino applicazione le penalità legate all'età pari all'1 % per ogni anno di anticipo rispetto ai 62, elevate al 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto ai 60 anni. Subito dopo Dl 216/2011 ha introdotto una deroga alla regola sopra citata prevedendo che la riduzione percentuale non trova applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la predetta anzianità contributiva derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria, per la donazione di sangue, per i congedi parentali di maternità e paternità nonché per i congedi e i permessi concessi ai sensi della legge 104/1992.

Successivamente tali periodi sono stati ampliati dal dipartimento della Funzione pubblica, il quale ha ricompreso nel concetto di prestazione effettiva di lavoro anche le ferie, in quanto diritto costituzionale irrinunciabile. Per l'Inps, costituiscono prestazione effettiva di lavoro anche i periodi chiesti a riscatto per la costituzione della rendita vitalizia se il datore di lavoro ha omesso il versamento obbligatorio dei contributi e questi non possono più essere versati con le normali modalità e non possono più essere richiesti dall'Inps essendo intervenuta la prescrizione di legge (messaggio 219/2013).

L'impianto normativo ha nei fatti fortemente penalizzato soprattutto quei lavoratori che potevano beneficiare di maggiorazioni (come ad esempio per esposizione all'amianto, lavoratori con invalidità superiore al 74%, sordomuti, ciechi) i quali riuscivano a perfezionare il requisito per l'accesso alla pensione anticipatamente rispetto ai 62 anni, si vedevano applicare le citate penalità sulle quote retributive di pensione (A e B). Nella stessa situazione potevano trovarsi anche quei lavoratori che avevano provveduto al riscatto del titolo di studio e coloro che avevano versato contribuzione volontaria. Per scongiurare la penalizzazione gli interessati erano costretti a recuperare i periodi ritenuti penalizzanti una volta perfezionato il requisito contributivo richiesto. In alternativa l'interessato doveva/poteva attendere il compimento dei 62 anni.

La legge di stabilità ora semplifica il tutto. Dal 1° gennaio 2015 e sino al 2017 chiunque raggiungerà i 42 anni e mezzo di contributi (41 anni e mezzo per le lavoratrici) non avrà applicata la decurtazione.

La tabella sopra mostra come cambiano nel tempo i requisiti per evitare l'applicazione della penalizzazione qualora si conseguano i requisiti contributivi utili per la pensione anticipata. Si ricorda, inoltre, che il decreto 16 dicembre 2014 ha preso atto dell'incremento della speranza di vita registrato dall'Istat pari a 4 mesi e dunque tale periodo dovrà essere aggiunto ai requisiti attualmente vigenti. Quindi, l'accesso al pensionamento anticipato, nel triennio 2016/2018, sarà subordinato al raggiungimento di 41 anni 10 mesi di contributi per le lavoratrici e di 42 anni e 10 mesi per i lavoratori.

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