Lavoro, Il Part-Time non può ridurre la disoccupazione

Federico Pica Venerdì, 17 Novembre 2017
La Corte di Giustizia Europea ha bocciato una norma spagnola che ancorava la durata della disoccupazione al numero di giorni lavorati nei sei anni antecedenti.
 L’indennità di disoccupazione per i lavoratori in part time “verticale” deve essere calcolata sulla base di tutta la contribuzione versata e non solo su quella relativa ai giorni lavorati. Lo ha stabilito la Corte di giustizia Europea nella causa C98/15 del 9 novembre scorso, che ha accolto le ragioni del ricorso di una lavoratrice spagnola, addetta alle pulizie per oltre 12 anni e mezzo, poi licenziata, la quale si è vista ridurre il periodo di fruizione dell’ammortizzatore sociale da 720 a 420 giorni. Il calcolo della prestazione di sostegno al reddito era stato fatto sulla base di una normativa spagnola secondo la quale in caso di lavoro a tempo parziale, la durata della prestazione di disoccupazione è determinata in funzione dei giorni effettivamente lavorati nei sei anni precedenti (nel caso di specie 1.387 giorni) senza tener conto della contribuzione complessivamente versata in tale periodo a favore del lavoratore. 

Per questa ragione, la lavoratrice si è rivolta al Tribunale del lavoro di Barcellona lamentando il fatto che l’esclusione dei giorni non lavorati dal calcolo della durata dell’indennità di disoccupazione crea una disparità di trattamento a sfavore dei lavoratori a tempo parziale di tipo verticale, che versano comunque integralmente tutti i contributi negli ultimi sei anni. Il Giudice spagnolo, che pure ha accolto le ragioni della lavoratrice, ha ritenuto di dover chiedere comunque un parere alla Corte di giustizia europea per verificare la coerenza della norma spagnola rispetto alle direttive dell’Ue in materia, sottolineando anche il fatto che i contratti part time verticali investano prevalentemente le donne. Secondo i dati statistici forniti dal giudice spagnolo e considerati non contestabili dal Corte Europea, infatti, le titolari di contratti di lavoro part time verticale rappresentano una percentuale tra il 70 e l’80% del totale di questa tipologia contrattuale, da ciò la conclusione che la norma spagnola costituisce “una disparità di trattamento a sfavore delle donne”.

Nel ricorso, il Tribunale spagnolo ha sottolineato come i lavoratori in part time verticale sono doppiamente penalizzati, sia perché percepiscono una retribuzione più bassa rispetto agli altri, dovuto al ridotto orario di lavoro, sia in quanto in caso di disoccupazione la durata della relativa indennità verrebbe calcolata sui soli giorni lavorati, sebbene il periodo di contribuzione sia più esteso. Con la sentenza la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha sciolto ogni dubbio sull’argomento, concludendo in via generale che “la direttiva osta ad una normativa che, nel caso di lavoro a tempo parziale “verticale”, escluda i giorni non lavorati dal calcolo dei giorni di contribuzione, quando sia constatato che la maggior parte dei lavoratori a tempo parziale verticale è costituita da donne che subiscono le conseguenze negative di tale normativa”.   

Tale misura, perciò, “non risulta idonea a garantire la correlazione che deve sussistere tra i contributi versati dal lavoratore e i diritti che questi possono richiedere in materia di disoccupazione”. Infatti, dall’applicazione di una tale normativa risulterebbe che un lavoratore a tempo parziale, con contributi versati per ogni giorno di tutti i mesi dell’anno, riceverebbe l’indennità di disoccupazione per un periodo di tempo inferiore rispetto a quello riconosciuto ad un lavoratore a tempo pieno con gli stessi contributi.La sentenza di per sé non risolve la controversia nazionale, compito che invece spetta al Tribunale spagnolo, che dovrà comunque uniformarsi. Tuttavia, rappresenta ugualmente un vincolo per gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un quesito analogo. 

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