Lavoro, Secondo l'Ue l'Italia non garantisce parità sul lavoro e giusta retribuzione a donne

Valerio Damiani Venerdì, 10 Luglio 2020
La bocciatura delle politiche italiane, e di quelle di altri 14 paesi su 15 dell'Ue, arriva dal Consiglio europeo dei diritti sociali (Ceds) del Consiglio d’Europa, che si è espressa sul reclamo presentato dall’Ong University Women of Europe.
Secondo il Ceds, il Consiglio europeo dei diritti sociali, l’Italia non ha messo in campo sufficienti misure per assicurare pari opportunità sul luogo di lavoro e non garantisce una pari retribuzione alle donne. Oltre all'Italia, quattordici paesi Ue bocciati, e un solo promosso, la Svezia. La bocciatura arriva in esito al reclamo presentato dall’Ong University Women of Europe su cui si è pronunciato il Ceds in 15 decisioni adottate tra il 5 e 6 dicembre 2019 e diventate pubbliche il 29 giugno 2020.

Il Comitato europeo dei diritti sociali (Ceds), emanazione del Consiglio d’Europa, ha riscontrato violazioni al diritto alla parità di retribuzione e del diritto alle pari opportunità sul luogo di lavoro in 14 dei 15 Paesi che hanno accettato di applicare la procedura dei reclami collettivi della Carta sociale europea, tra questi compare anche l'Italia. In altre parole, le donne sono pagate meno degli uomini, a parità di mansioni, in Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovenia. Soltanto la situazione in Svezia è stata riconosciuta conforme alle disposizioni della Carta Sociale Europea.

Il Comitato ha identificato i seguenti obblighi per gli Stati: a) riconoscere il diritto alla parità di retribuzione per pari lavoro o lavoro di pari valore nella loro legislazione; b) assicurare l'accesso a rimedi efficaci per le vittime di discriminazione salariale; c) garantire e garantire la trasparenza salariale e consentire confronti retributivi; d) mantenere efficaci organismi per l'uguaglianza e le istituzioni pertinenti al fine di garantire la parità di retribuzione nella pratica. Inoltre, il diritto alla parità di retribuzione implica l'obbligo di adottare misure per promuoverlo. Questo obbligo, spiega il Ceds, ha due elementi: da un lato, la raccolta di dati affidabili e standardizzati per misurare e analizzare il divario retributivo di genere e, dall'altro, l'elaborazione di politiche e misure efficaci volte a ridurre il divario retributivo di genere sulla base di un'analisi di i dati raccolti. Gli Stati hanno anche l'obbligo di mostrare progressi misurabili nella riduzione del divario retributivo di genere.

Il Ceds ha riconosciuto che il divario retributivo di genere non è più unicamente o addirittura principalmente il risultato di una discriminazione in quanto tale ma deriva principalmente dalle differenze nelle cosiddette "caratteristiche medie" di donne e uomini nel mercato del lavoro. Queste differenze derivano da molti fattori, come la segregazione orizzontale, in cui vi è la concentrazione di un sesso in determinate attività economiche o la concentrazione di un sesso in determinate occupazioni e l'impossibilità per le donne di accedere a posizioni dirigenziali.

Secondo il Ceds nonostante il divario retributivo di genere si sia ridotto in alcuni Paesi, i progressi sono ancora insufficienti. Continuano, infatti, a sussistere diverse violazioni, la mancanza di trasparenza salariale gli ostacoli all'accesso a rimedi efficaci e licenziamenti di ritorsione; fattori che impediscono la piena realizzazione del principio della parità retributiva tra uomo e donna.  Inoltre, malgrado gli accordi sull’applicazione di sistemi di quote e l’adozione di altre misure, le donne continuano ad essere sotto rappresentate nelle posizioni decisionali all’interno delle aziende private.

Segui su Facebook tutte le novità su pensioni e lavoro. Partecipa alle conversazioni. Siamo oltre cinquantamila

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati