Mobilità, i contratti a termine allungano la durata dell'assegno

Valerio Damiani Domenica, 24 Aprile 2016
Il periodo di lavoro a tempo parziale o a termine sono da considerare neutri a tutti gli effetti ai fini del beneficio monetario della mobilità, oltre che all’iscrizione alle liste speciali.
 
I lavoratori che percepiscono l'indennità di mobilità spesso si trovano di fronte all'interrogativo se è possibile o meno accettare un rapporto di lavoro senza perdere, per tale ragione, il diritto all'indennità di mobilità o subire una riduzione della stessa. La risposta a questa domanda nella maggior parte dei casi è affermativa anche se bisogna distinguere.

La legge 223/1991 (articolo 8, commi 6 e 7) prevede che un percettore di indennità di mobilità può accettare un'offerta di lavoro subordinato a tempo determinato o part-time (in quest'ultimo caso anche a tempo indeterminato) ottenendo la sospensione della prestazione ma il mantenimento dell'iscrizione nella lista (previa comunicazione entro 5 giorni dall'assunzione l'inizio dell'attività lavorativa all'Inps). In tale eventualità le giornate di lavoro prestate non sono computate ai fini della determinazione del periodo di durata del trattamento di mobilità fino al raggiungimento di un numero di giornate pari a quello dei giorni complessivi di spettanza del trattamento: si produce cioè uno slittamento della data di fine prestazione che, tuttavia, non può essere superiore alla durata della prestazione di mobilità inizialmente prevista. Alla fine del contratto di lavoro il lavoratore può presentare la domanda di ripristino dell’indennità di mobilità. 

Ad esempio, se un lavoratore ha diritto a 12 mesi di indennità di mobilità, e dopo due mesi di permanenza in mobilità, si rioccupa con un contratto a tempo determinato di sei mesi, avrà al termine del contratto diritto ai restanti dieci mesi di mobilità. Qualora lo stesso lavoratore si rioccupi sempre a tempo determinato in più contratti per un totale di quattordici mesi, gli resteranno di mobilità da fruire otto mesi e non più dieci in quanto la durata dei contratti ha prodotto due mesi di eccedenza. In definitiva, per capire il massimo di mesi di contratto a termine o a tempo parziale utilizzabili per non perdere alcun giorno di indennizzabilità, occorre rifarsi alla tavola seguente.

Contratti a tempo indeterminato. Bisogna invece ricordare che la stipula di un nuovo contratto a tempo pieno ed indeterminato provoca la decadenza dalla prestazione e dall’iscrizione alle liste di mobilità. Tuttavia, anche in questo caso, la disciplina dell'indennità di mobilità prevede alcuni specifici temperamenti. Infatti il lavoratore può riottenere l'iscrizione nelle liste in caso di mancato superamento del periodo di prova (fino ad un massimo di due volte) ovvero laddove il lavoratore non sia giudicato idoneo alla specifica attività cui l’avviamento si riferisce. Un’ulteriore possibilità di reiscrizione è prevista dall’articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 299/1994 (convertito con modificazioni dalla legge n. 451/1994), a norma del quale il lavoratore in mobilità assunto a tempo indeterminato e successivamente licenziato senza aver maturato dodici mesi di anzianità aziendale presso la nuova impresa, di cui sei di lavoro effettivamente prestato, è reiscritto nelle liste di mobilità ed ha diritto ad usufruire della relativa indennità per un periodo corrispondente alla parte residua non goduta decurtata del periodo di attività lavorativa prestata. 

A differenza dei rapporti a tempo determinato in questi casi non si darà luogo allo slittamento della data di fine della prestazione. Pertanto l'indennità di mobilità si ridurrà nella misura in cui si è prestata attività lavorativa a tempo indeterminato. Ad esempio si immagini un assicurato con diritto alla percezione dell'indennità per 24 mesi che dopo 15 mesi si rioccupa a tempo indeterminato. La ditta cessa l'attività dopo 6 mesi. Non avendo maturato i requisiti per una nuova mobilità, il lavoratore avrà diritto al ripristino della precedente prestazione per soli 3 mesi (cioè al residuo della prestazione originaria: 9 mesi meno i sei lavorati). 

A differenza della Naspi l'indennità di mobilità non prevede, pertanto, l'istituto della cumulabilità del trattamento di sostegno al reddito con i redditi derivanti dallo svolgimento di lavoro subordinato.

Attività autonome. Discorso diverso, invece, ove si avviasse un'attività di lavoro autonomo o parasubordinato. L'Inps ha di recente stabilito (Circolare Inps 67/2011) che in questo caso il lavoratore non può invocare l'istituto della sospensione della mobilità ma può cumulare la percezione dell’indennità di mobilità con i redditi purchè essi non comportino la perdita dello stato di disoccupazione; tali redditi, in vigenza dell’attuale normativa in materia di imposte sui redditi, sono quantificati in 4.800 euro nell’anno solare per l’attività di lavoro autonomo e 8.000 euro per le collaborazioni coordinate e continuative. 

In caso di superamento del suddetto limite, si produrrà la cancellazione dalle liste di mobilità e la decadenza dall’indennità per perdita dello stato di disoccupazione, dal momento dell’inizio dell’attività lavorativa. Ove, invece non il reddito prodotto rimanga inferiore ai suddetti limiti il compenso percepito si cumula con l'indennità di mobilità fino al raggiungimento della retribuzione percepita al momento della messa in mobilità rivalutata secondo gli indici ISTAT. Al superamento di detta retribuzione, l'indennità di mobilità verrà ridotta fino a concorrenza dell'importo della retribuzione percepita al momento dell'ingresso in mobilità. 

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