Buonuscita, Niente retroattività del TFR per il personale dirigente assunto a contratto

Valerio Damiani Mercoledì, 24 Luglio 2019
La Corte Costituzionale ha bocciato la legge Regionale del Friuli Venezia Giulia che impediva con effetto retroattivo la valorizzazione del servizio prestato a tempo determinato con contratto di diritto privato ai fini del computo dell'indennità di buonuscita.
La Corte Costituzionale con la sentenza numero 174 del 22 Maggio 2019 depositata lo scorso 12 Luglio 2019 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 7, commi 28, 29 e 30 della Legge regionale del Friuli Venezia Giulia 33/2015 che escludevano la possibilità di computare ai fini della determinazione della misura dell'indennità di buonuscita il periodo di lavoro prestato da alcuni dirigenti assunti dalla stessa Regione con contratto di diritto privato a tempo determinato. Secondo la Corte Costituzionale la Regione Friuli aveva adottato le predette norme, aventi portata di interpretazione autentica (e quindi retroattiva), con l'unico fine di risolvere a proprio favore il contenzioso legale che aveva avuto origine sulla corretta interpretazione di una precedente legge regionale (la numero 53 del 1981) circa la computabilità di tale periodo ai fini del trattamento di previdenza dei dirigenti passati dal servizio statale a quello di diritto privato con la stessa Regione.

La questione

La questione interessava, infatti, alcuni dirigenti con funzioni apicali della Regione cessati dal servizio tra il 2005 ed il 2010 dopo essere stati assunti con contratto di lavoro di diritto privato a tempo determinato. Secondo la Regione il passaggio al contratto di diritto privato comportava, in relazione al servizio prestato, l'applicazione del regime del TFR ai fini della determinazione della misura del trattamento di servizio con un evidente risparmio di spesa per la Regione. Gli interessati, invece, basandosi sugli artt. 142 e 143 della legge regionale numero 53/1981 chiedevano che anche questo periodo, al pari di quello precedente, fosse determinato con le regole per il calcolo dell'IbU, l'indennità di buonuscita, essendo evidente che il rapporto di impiego, ancorché di diritto privato, era stato instaurato da un'amministrazione pubblica.

Le disposizioni da ultimo richiamate, del resto, prevedevano che ai fini della «determinazione del servizio utile ai fini dell’indennità di buonuscita», si considera «valutabile il servizio reso alle dipendenze dell’Amministrazione regionale, degli enti regionali e degli enti interessati da provvedimenti, statali o regionali, di soppressione, scorporo o riforma, il cui personale sia stato assegnato o trasferito alla Regione o agli enti regionali, compreso quello prestato anteriormente all’entrata in vigore della legge 8 marzo 1968, n. 152, nonché quello riscattato a tali fini». Più recentemente l’art. 12 della legge regionale numero 4 del 2004, ha considerato il servizio prestato con contratto di lavoro a tempo determinato utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, oltre che dell’anzianità di servizio.

La decisione

Ne è scaturito un ampio contenzioso legale che la Regione ha provato a risolvere a suo favore con una norma di interpretazione autentica contenuta nella legge regionale 33/2015. La norma incriminata ha disposto che nella «determinazione del servizio utile ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, in quanto trattamento di fine servizio», non può essere valutato il servizio «prestato con rapporto di lavoro a tempo determinato di diritto privato».

Il passaggio è finito sotto la lente della Consulta che l'ha dichiarato incostituzionale restituendo, pertanto, al Tribunale il compito di acclarare il corretto regime applicabile (TFR/TFS) ai lavoratori in questione in relazione al servizio prestato senza tener conto della disposizione incriminata. Nelle motivazioni la Consulta spiega che il legislatore regionale mirava espressamente ad alterare l'esito del contenzioso legale conferendo portata retroattiva ad una disposizione risalente al 1981. Veniva così disatteso uno dei principi cardine dello Stato di diritto secondo il quale al potere legislativo è preclusa la possibilità, a meno di motivi imperativi di interesse generale, di interferire con l’amministrazione della giustizia, quando il fine evidente è quello di influenzare la soluzione di una controversia.

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