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Riportiamo le dichiarazioni ufficiali del Vice ministro dell'economia e delle finanze Morando rilasciato ieri, in Commissione Bilancio al Senato, sugli effetti, sul bilancio dello Stato, delle recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di Robin tax e di rivalutazione delle pensioni. Kamsin Il vice ministro ha indicato alla Commissione che il Governo non ha ancora assunto delle determinazioni sulle puntuali modalità di adempimento del dispositivo della sentenza in materia di rivalutazione delle pensioni, cosa che avverrà nelle prossime settimane. Ma ha avvertito che la decisione della Consulta lascia spazio di manovra al Governo per non restituire quanto sarebbe dovuto.

Cio' perchè, a detta del Viceministro, la sospensione introdotta con il Salva Italia nel 2011 ha avuto una durata biennale ed ha inciso anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato a differenza di quanto previsto dalla normativa precedente e a quella successiva che la Corte stessa ribadisce di considerare legittime. Pertanto secondo Morando, la sentenza della Corte può e deve essere pienamente rispettata attraverso un intervento che rimuova quelle componenti dell’intervento del dicembre 2011 che la Corte censura.

Dal punto di vista tecnico, la vicenda si è originata con il decreto-legge n. 201 del 2011, la cui relazione tecnica è, dunque, la base di riferimento per la quantificazione dell'ammontare di risorse coinvolto. Dato il rilievo che l’intervento sulla parziale deindicizzazione delle pensioni aveva per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, la relazione stessa illustra la platea degli interessati e definisce i risparmi attesi, sia al lordo, sia al netto del prelievo IRPEF.

Nel dettaglio si tratta, per l'anno 2012 di 3,8 miliardi lordi e 2,9 miliardi netti, per l'anno 2013 di 6,7 miliardi lordi e 4,9 netti, per l'anno 2014 di 6,7 miliardi lordi e 4, 9 netti, per l'anno 2015 6,6 miliardi lordi e 4,9 netti, con andamento analogo negli anni successivi, per arrivare al 2018, quando l'onere è quantificato in 6,4 miliardi lordi e 4,7 miliardi netti.

La relazione  metteva quindi in aperta evidenza che l’intervento di "blocco" dell’adeguamento 2012-2013 aveva un effetto permanente  di riduzione della spesa previdenziale, pari, al netto delle imposte, a più di 4,5 miliardi l’anno (la relazione tecnica limita l’esame al 2018, ma è evidente che gli effetti erano destinati a perdurare anche oltre questa data). La relazione tecnica originaria viene aggiornata, al momento del passaggio da una Camera all’altra, dopo ciascuna lettura: si chiama "relazione tecnica al passaggio": sulla questione che qui interessa, la tabella originaria subisce una rilevante modificazione.  Per l'anno 2012 si hanno, infatti,  2,4  miliardi lordi e  1,8 netti, per l'anno 2013, 4,2 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2014, 4,2 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2015, 4,1 lordi e 3,1 netti, per l'anno 2016 4,1 lordi e  3,0 netti, per l'anno 2017, 4,1 lordi e  3 netti,  per l'anno 2018,  4 lordi e 2,9 netti.

Questi mutamenti sono stati determinati dalla diversa definizione dei presupposti del calcolo. La relazione tecnica originaria assumeva a base la quota percentuale del monte pensioni corrispondente a pensioni superiori a due volte il minimo INPS: si trattava di circa il 76,5 per cento di tale grandezza. Nella relazione tecnica di passaggio la quota è quella relativa a pensioni superiori a tre volte il minimo: circa 54 per cento del monte pensioni pagato e da pagare nel 2011 e nel 2012. Non è un particolare di poco conto: il "peso" del blocco, che prima gravava su tre euro ogni quattro del monte pensioni complessivo, ora grava su un euro ogni due.

Governo e Parlamento avevano dunque tenuto ben presente l’esigenza di contemperare i due obiettivi in gioco: realizzare subito importanti risparmi di spesa, per evitare il possibile collasso finanziario, senza penalizzare gli interessi della platea dei pensionati più poveri, se conferma il rilievo della misura di "blocco" dell’adeguamento rispetto alla correzione complessiva del tendenziale realizzata dal decreto-legge (del resto resa evidente anche dal prospetto riepilogativo collocato dalla Ragioneria generale dello Stato in apertura della relazione tecnica di passaggio), ma si dà conto di significative variazioni intervenute nella lettura parlamentare del decreto-legge.

Risulta quindi acclarato che, in sede di conversione, è dato riscontrare non solo la presenza della documentazione tecnica circa le "attese maggiori entrate", di cui parla la sentenza,  (che sono però da intendersi come "minori spese"), ma anche lo sviluppo di un confronto politico circa i caratteri dell’intervento e il suo impatto sociale. Si può dunque concludere che la dialettica Governo-Parlamento si sia pienamente sviluppata proprio sul tema del ragionevole equilibrio tra "esigenze finanziarie" (sottolineate dal Governo con la decisione di "coprire" con l’indicizzazione al 100 per cento le pensioni fino a due volte il trattamento minimo) e i "diritti oggetto di bilanciamento". Equilibrio - malgrado la forte correzione introdotta (il monte pensioni pagate interessato dal blocco ridotto del 25 per cento circa) -  che si può ritenere ancora troppo spostato verso le "esigenze finanziarie". Non si può negare, tuttavia, che questo equilibrio sia stato consapevolmente ricercato. E che questa ricerca si sia sviluppata assumendo a base informazioni tecniche "di dettaglio".

Ci si può chiedere se fosse  veramente  difficile la "contingente situazione finanziaria" di quel fine novembre – inizio dicembre 2011. La sentenza sembra dubitarne quando afferma che la disposizione concernente l’azzeramento del meccanismo perequativo si limita a richiamare genericamente la contingente situazione finanziaria,  e poco oltre a dire che tale diritto (quello ad una prestazione previdenziale adeguata), costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio". Il comma 25 dell’articolo 24 del decreto-legge recita testualmente: "In considerazione della contingente situazione finanziaria".

Ma quel comma è parte – quantitativamente essenziale, come già visto – dell’articolo 24, che così recita, al comma 1: "Le disposizioni del presente articolo (tutte, compresa quella recata dal comma 24) sono dirette a garantire, il rispetto degli impegni internazionali e con l’Unione Europea, dei vincoli di bilancio, la stabilità economico-finanziaria e a rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul PIL, in conformità dei seguenti principi e criteri: equità e convergenza intra e intergenerazionale, con clausole derogative soltanto per le categorie più deboli".

[...omissis..] C’è chi sostiene che la sentenza non lasci spazio ad alcuna interpretazione: dichiarato illegittimo il comma 25 dell’articolo 24 del decreto 201, essa determinerebbe il ritorno alla legislazione vigente in materia di indicizzazione delle pensioni prima del dicembre 2011. Con le conseguenze finanziarie che sono ben illustrate dalla relazione tecnica originale al Decreto e alla relazione tecnica di passaggio sopra richiamata. Il Ministro dell’economia ha già messo in evidenza che, in questo modo, gli effetti sui conti pubblici sarebbero tali da determinare, contemporaneamente, la violazione della regola del 3 per cento nel rapporto indebitamento/PIL; la violazione della regola relativa al ritmo di avvicinamento all’Obiettivo di Medio Termine (il pareggio strutturale); la violazione della regola del debito.

Conseguenza inevitabile: la riapertura immediata della procedura di infrazione, per violazione delle tre regole fondamentali del Patto di Stabilità e Crescita Europeo. Ma è la stessa Corte, nella sentenza, a chiarire che non è questo il significato della sua decisione. Al punto 5 della sentenza, la Corte – nel dichiarare fondata la questione prospettata con riferimento agli articoli 3, 36 primo comma e 38, secondo comma, della Costituzione – ripercorre gli interventi legislativi messi in atto nel corso degli anni in tema di indicizzazione delle pensioni, e conclude che la disciplina generale prevede che soltanto le fasce più basse siano integralmente tutelate dalla erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche. Al punto 6 della sentenza la Corte esamina il susseguirsi nel tempo degli interventi di sospensione del meccanismo perequativo, e conclude richiamando la sentenza della Corte stessa n. 316 del 2010, con la quale ha reputato non illegittimo l’azzeramento (si intende ovviamente l’azzeramento dell’adeguamento ai prezzi), per il solo anno 2008, dei trattamenti pensionistici di importo elevato. Nel punto 7, la Corte rileva infine che quanto disposto dal comma 25 dell’articolo 24 del decreto salva Italia si discosta in modo significativo dalla regolamentazione precedente. Non solo la sospensione ha una durata biennale; essa incide anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato.

La Corte rileva altresì’ che le soluzioni adottate dal decreto salva Italia si differenziano anche dalla legislazione ad esso successiva: nel 2014-2016, infatti, la legge n. 147 del 2013 (legge di Stabilità) ha stabilito che la perequazione si applichi  - con la tecnica degli scaglioni - al 100 per cento sulla quota di pensione fino a tre volte il minimo, al 95 per cento per la quota di pensione da tre a quattro volte il minimo, al 75 per cento per la quota di pensione fino a cinque volte il minimo, al 50 per cento per la quota di pensione fino a 6 volte. E ha bloccato integralmente la perequazione per il solo 2014 e solo per le fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo.

Il giudizio della Corte sulla norma dichiarata illegittima trova quindi fondamento sulla riscontrata diversità dell’intervento del dicembre 2011 rispetto alle misure precedenti e successive (che la Corte stessa ricorda di aver considerato legittime con sue sentenze del passato; e mostra di continuare a considerare legittime anche nel presente, quando illustra – senza avanzare riserve - le caratteristiche dell’intervento deciso con legge di Stabilità per il triennio 2014-2016).

Due le ragioni del giudizio di diversità, rispetto ai precedenti, dell’intervento del decreto salva Italia: la durata biennale (e non annuale) del blocco dell’adeguamento ai prezzi; la mancata progressività del blocco, in rapporto alle diverse fasce di pensione percepita (sopra tre volte il minimo, l’adeguamento ai prezzi è interamente bloccato su tuttol’importo della pensione, non solo sulla quota eccedente tre volte il minimo). La Corte, dunque, ritiene che per queste due ragioni – durata e mancata progressività – la norma violi il principio di adeguatezza (articolo 38, secondo comma della Costituzione) e quello di sufficienza (articolo 36, primo comma della Costituzione) del trattamento pensionistico.

Dunque, la sentenza della Corte può e deve essere pienamente rispettata attraverso un intervento che rimuova quelle componenti dell’intervento del dicembre 2011 che la Corte censura. Stiamo lavorando per mettere a punto un intervento che abbia le caratteristiche suggerite dalla sentenza della Corte. È necessario farlo in tempi brevi, ma anche secondo modalità e con scelte e tecniche di copertura finanziaria che consentano di rispettare le regole fissate, in materia di tenuta dei conti pubblici e di decisione di bilancio, dalla Costituzione e dal Patto di Stabilità e Crescita che lega l'Italia agli altri Paesi dell’Unione.

Seguifb

Zedde

Arrivano ufficialmente altri 479 milioni per gli ammortizzatori in deroga nel 2014. Con il decreto interministeriale 89936/2015 firmato lo 8 maggio scorso del ministro del Lavoro e delle politiche e sociali e del ministro dell'Economia e delle finanze, vengono coperti i fabbisogni delle regioni per far fronte alle richieste di ammortizzatori in deroga per i restanti mesi del 2014. Kamsin  Il provvedimento attribuisce, inoltre, alle Regioni la facoltà di utilizzare una quota pari del 5% delle risorse stanziate dal predetto decreto per concedere trattamenti di integrazione salariale e di mobilità al di fuori dei limiti imposti dal decreto interministeriale n.83473 dell'agosto 2014, che ha modificato in senso restrittivo sia i requisiti dei lavoratori che possono beneficiare degli ammortizzatori in deroga, sia quelli delle imprese richiedenti.

Si ricorda che questa volta l'assegnazione delle risorse alle singole Regioni è stata fatta sulla base dei loro fabbisogni per coprire tutte le domande di concessione o proroga dei trattamenti di cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria e di mobilità in deroga alla vigente normativa, relative all'anno precedente. Il Dm 89936 ripartisce, infatti, le risorse tra le 12 regioni che non hanno potuto far fronte a tutte le domande del 2014 con le precedenti assegnazioni (Dm 83527 del 6 agosto 2014 e 86486 del 4 dicembre 2014) e che non hanno potuto contare su economie di spesa per evadere le eccedenze. Dall'attuale provvedimento sono rimaste escluse pertanto regioni come la Lombardia, il Lazio, il Piemonte, la Campania e la Liguria: si tratta di regioni in cui non si è registrato uno scostamento tra l'ammontare nominale delle domande presentate nel 2014 e quello delle economie accertate e certificate dall'Inps o comunque, erogabili tramite fondi interni.

Il decreto prevede che le Regioni beneficiarie di queste ultime risorse stanziate sono tenute a controllare i flussi di spesa per l'erogazione delle prestazioni e darne comunicazione al ministero del Lavoro e al Mef, per il rispetto del limite di stanziamento.

seguifb

Zedde

Documenti: DM 89936/2015

L'Associazione Nazionale Consulenti Tributaristi fissa otto punti per riformare ed armonizzare la gestione separata. Tra le richieste anche l'estensione della facoltà di ricongiunzione.

Kamsin Riduzione dell'aliquota base contributiva al 24% come è previsto nelle altre gestioni Inps; prevedere la ricongiunzione gratuita o onerosa al pari degli altri lavoratori, estensione della prosecuzione volontaria del versamento dei contributi anche da parte degli iscritti alla gestione separata Inps oggi ancora esclusi. Sono le principali richieste formulate al neo Presidente dell'Inps, Tito Boeri, dal numero uno dell'Ancot, l'Associazione Nazionale Consulenti Tributaristi, Arvedo Marinelli. L'Associazione, nello specifico ha individuato otto punti di intervento con lo scopo di armonizzare le regole che riguardano la previdenza dei lavoratori autonomi con partita iva senza un'autonoma cassa con quelle di altri lavoratori.

Particolare attenzione ricordano dall'Ancot va riservata comunque a quei problemi che potrebbero essere risolti a costo zero. Tra questi ci sono quelli relativi ai contributi silenti per i quali si chiede la correzione di alcune norme in materia di prosecuzione volontaria della contribuzione nella gestione per facilitare il perfezionamento del diritto alla pensione o di incrementare la misura. Un altro tema da risolvere è l'estensione della facoltà di ricongiungere la contribuzione nella gestione separata nelle altre forme di previdenza obbligatoria al pari di quanto accade negli altri fondi previdenziali. Un'assenza, quella della ricongiunzione, che si traduce spesso in assegni più bassi o piu' lontani per gli iscritti dato che questi sono costretti a optare necessariamente per la totalizzazione.

Tra le altre richieste formulate dall'Associazione spicca la riduzione delle sanzioni e degli interessi per ritardato pagamento; l'aumento della rivalsa dal 4 al 6% così come concessa agli iscritti alle Casse di Previdenza; la contribuzione ridotta per i giovani che lo richiederanno per i primi cinque anni dell'esercizio della professione e proporzionale al reddito. Marinelli propone al riguardo la riduzione al 50% dell’aliquota base fino a 35 anni e reddito fino a 10mila euro e del 70% aliquota base fino a 35 anni sul reddito sino a 20mila euro. Ciò avrebbe l’obiettivo di agevolare l’emersione del lavoro nero e nel contempo facilitare l’inserimento dei giovani che intendono avviare una professione autonoma. 

seguifb

Zedde

L'Inps, per voce del presidente Tito Boeri, si è detto pronto ad avviare le operazioni di rimborso, quale che sia la scelta del governo. 

Kamsin Slitta probabilmente a lunedì la decisione del Governo sulle pensioni. Renzi e Padoan hanno chiesto un mini-rinvio per mettere a punto un provvedimento che sarà «rispettoso della sentenza della Consulta e in linea con gli obiettivi di bilancio indicati nel Def», come ha ribadito ieri sera il ministero dell'Economia annunciando una «soluzione a breve». Si conferma quindi che il governo non intende aumentare il deficit oltre il 2,6% già indicato.

Partita dunque aperta sull'entità e sulle modalità del rimborso (calcola l'effetto sull'assegno della sentenza) anche se sembra prevalere l'ipotesi di procedere ad un adeguamento parziale e graduale. Circa 3-3,5 miliardi andranno comunque trovati tra «tesoretto» (1,6 miliardi di differenza tra deficit tendenziale e programmatico) e incasso dal rientro dei capitali, entrambe coperture che avranno comunque bisogno di una clausola di salvaguardia perché saranno verificate solo in sede di assestamento. All'interno di questo margine si sta ancora valutando una griglia di soluzioni, che guardano a limitare i rimborsi. Per il futuro il tema sarebbe poi affrontato con la legge di stabilità.

Sull'ipotesi di rimborsi parziali chiosa anche il viceministro all'Economia Enrico Morando (Pd), che ne ha parlato ieri in un'informativa alla Commissione Bilancio del Senato: «L'interpretazione in base alla quale la sentenza comporterebbe un ritorno alla legislazione precedente non è fondata», e in sostanza non c'è alcun obbligo di ridare tutto a tutti. La strada da percorrere, ha spiegato Morando, è invece quella di rimuovere le due ragioni che hanno portato la Corte a bocciare la normativa: perché «sospendeva l'indicizzazione per due anni e non per uno, come era accaduto in precedenza»; e perché il blocco riguardava anche pensioni più basse rispetto agli interventi del passato e non prevedeva un'applicazione progressiva, in base al reddito, dei tagli alla rivalutazione. In sostanza per rispondere alla sentenza l'esecutivo da un lato dovrebbe prevedere un meccanismo di indicizzazione decrescente al salire del reddito pensionistico e alzare la soglia oltre la quale non si prende nulla. Dall'altro però potrebbe limitarsi a restituire l'indicizzazione persa per uno solo dei due anni di blocco e non per entrambi.

Questa ipotesi non è solo di scuola. In queste ore è al vaglio dei tecnici e dei giuristi di Palazzo Chigi e Mef per valutarne la percorribilità. Di sicuro una decisione del genere ridurrebbe nettamente l'impatto dell'operazione. Va tenuto conto che nel 2012 la perdita del potere d'acquisto fu del 3% mentre nel 2013 scese all'1,2%. Limitando la restituzione a un solo anno è evidente che l'impegno potrebbe essere più che dimezzato. Anche se dal punto di vista politico è chiaro che la soluzione offrirebbe il fianco alle polemiche. Il presidente dell'Inps Tito Boeri ha auspicato ieri una misura basata sull'equità non solo tra i redditi e ma anche tra le generazioni. Secondo Boeri la restituzione, in virtù degli «importanti effetti redistributivi», «sia basata sull'equità non solo tra chi ha di più e chi ha di meno ma anche anche tra chi ha avuto di più e chi è chiamato a dare di più ma avrà di meno».

seguifb

Zedde

All'attenzione del Ministro del Lavoro c'è la questione riguardante i lavoratori che fruivano nel corso del 2011 dei congedi e dei permessi per l'assistenza di familiari con disabilità.

Kamsin Il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti risponderà oggi in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati all'interrogazione sollevata dagli Onorevoli Fedriga e Simonetti (Lega Nord)  sull'insufficienza dei posti relativi ai lavoratori che assistevano disabili nel 2011 destinatari della IV e VI salvaguardia (atto 5-05507).

Da mesi - si legge nell'interrogazione - i cosiddetti «esodati legge 104» attendono una risposta circa il loro futuro previdenziale. Si tratta di quei lavoratori che nel 2011 erano in congedo o permesso per assistere familiari con disabilità, ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e dell'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, che avrebbero perfezionato i requisiti anagrafici e contributivi per la pensione con le regole antecedenti all'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 entro il 36o mese successivo all'entrata in vigore del decreto medesimo (6 gennaio 2015).

Il predetto articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001, riguarda genitori, fratelli e sorelle conviventi in congedo per assistere persone con handicap grave, mentre l'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 riguarda genitori, parenti o affini entro il terzo grado (figli, genitori, fratelli e sorelle, nonni, zii, nipoti, bisnipoti e bisnonni, suoceri, genero, nuora, cognati, zii del coniuge) di un bambino fino ai 3 anni di età con handicap grave che hanno usufruito dei permessi mensili di tre giorni per l'assistenza del parente.

Per costoro la salvaguardia era contenuta nell'articolo 11 del citato decreto-legge n. 102 del 2013, convertito dalla legge n. 124 del 2013 (cosiddetto «quarta salvaguardia»); tale platea era stata stimata in 2.500 unità, invece, lo stesso Inps ha certificato oltre 4.800 aventi diritto a fronte dei 2.500 posti disponibili, comunicando che detta platea si è esaurita consentendo di salvaguardare solo i lavoratori che maturino i requisiti entro il 31 ottobre 2012. Sono pertanto rimasti fuori dalla tutela i lavoratori che hanno maturato il requisito dal 1o novembre 2012 al 31 dicembre 2013.

Il Governo - proseguono i deputati - non ha ancora deciso come sanare questi esuberi della 4o salvaguardia, ignorando che ad essi si aggiungono nel tempo gli ulteriori 1.800 lavoratori in congedo dal 2011 (di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d) della legge n. 147 del 2014) che perfezionano i requisiti pensionistici con le regole pre-riforma Fornero entro il 6 gennaio 2016.:

Pertanto - concludono i deputati -  si chiede se e ed in che termini il Governo intenda garantire gli «esodati legge 104» di cui alla IV salvaguardia in esubero rispetto ai posti disponibili senza vanificare le aspettative di coloro che, raggiungendo i requisiti entro il 6 gennaio 2016, rientrerebbero nella VI salvaguardia.

In discussione c'è anche l'interrogazione sollevata dall'Onorevole Gnecchi che chiede al Governo quali interventi in materia pensionistica intenda adottare per favorire il ricambio generazionale e garantire un adeguato tasso di sostituzione per i lavoratori più giovani (5-05423).

Seguifb

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