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La Rete dei Comitati degli Esodati chiede al premier Matteo Renzi l'approvazione di una settima salvaguardia. "Scontato l'esito del referendum".

Kamsin Un ulteriore provvedimento legislativo che tuteli dalla normativa Fornero tutti coloro che non erano più occupati al 31.12.2011 per avvenuta risoluzione contrattuale a qualsiasi titolo, oppure avere entro quella data sottoscritto accordi collettivi o individuali che, come esito finale, prevedano il futuro licenziamento; e che maturano il diritto pensionistico, con le previgenti norme entro, il 31.12. 2018.

E' quanto torna a chiedere la Rete dei Comitati degli Esodati al Governo dopo la bocciatura del referendum sulla Riforma Fornero promosso dalla Lega Nord. Secondo la Rete restano esclusi dalle 6 salvaguardie finora approvate, almeno 49.500 cittadini, come certificato dal Governo in base a dati documentali INPS, resi noti  in risposta all' interrogazione parlamentare dell’On.Gnecchi lo scorso 15 Ottobre 2014. "Sulla reale consistenza della platea in questione - precisano  dal Comitato - sono ormai 3 anni che assistiamo ad un indecoroso balletto; nel giugno 2012 INPS li aveva quantificati e certificati in quasi 400.000 che, al netto dei 170.000 salvaguardati dalle 6 “lotterie” sarebbero ora ridotti ad oltre 200.000".

Il Comitato chiede quindi "con fermezza e determinazione che Governo e Parlamento procedano sollecitamente ad approvare una 7a salvaguardia, che comprenda ALMENO i 49.500 esodati , attualmente non salvaguardati e certificati da Governo e INPS. Un provvedimento d'urgenza, finanziato dai residui dei fondi già stanziati per le precedenti salvaguardie e che risultano ampiamente sufficienti allo scopo, senza alcuna necessità di reperire ulteriori risorse".

Dal canto loro i memebri della Rete degli Esodati annunciano che nelle prossime settimane saranno di nuovo a presidiare le sedi governative ed istituzionali per far sentire la loro voce.

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Sono le cifre risultanti dalle informazioni fornite dalle amministrazioni che hanno aderito alla rilevazione, il 64% del totale degli enti iscritti al sistema per il monitoraggio.

Kamsin Oltre 316mila statali hanno fruito nel 2013 dei permessi della legge 104 per i lavoratori disabili. E' quanto emerge dalle cifre  pubblicate sul sito della Funzione Pubblica.  Nel 2013 si sono avvalsi dei permessi 316.514 dipendenti pubblici su un totale di 3,2 milioni, in pratica un dipendente su dieci si è assentato per assistere i disabili, ma restano da aggiungere i dati della scuola. Per avere un quadro più completo occorre quindi attendere che vengano inclusi altri dati, soprattutto del settore della scuola, che vanta il maggior numero di dipendenti. Dovrebbe essere comunque solo una questione di tempo, visto che nei giorni scorsi dal ministero dell'Istruzione è partita una nota, rivolta ai direttori generali degli uffici scolastici regionali, che richiama all'obbligo della comunicazione al Dipartimento della Funzione Pubblica, entro il 31 marzo di ogni anno, dei dati relativi ai permessi fruiti in base alla legge 104.

Il 13 gennaio il ministero dell'Istruzione ha, infatti, sollecitato con una nota ai direttori generali degli uffici scolastici regionali per richiamarli all'obbligo di comunicare le informazioni sui permessi, in vigore dal 2010 (quando ministro della Pa era Renato Brunetta). Il sottosegretario all'Istruzione, Davide Faraone, fa sapere che «entro la settimana» si avranno anche i dati relativi alla scuola. E, pur ammonendo a non «criminalizzare la legge 104, che è uno strumento di civiltà e democrazia», ricorda che tra gli obiettivi del governo c'è «il contrasto dei furbi che ne abusano e tolgono il diritto a chi spetta». Faraone ricorda soprattutto il caso di Agrigento, dove è stata avviata un'inchiesta denominata "La carica delle 104" che, lo scorso 22 settembre, ha portato a 12 arresti e poi a centinaia di indagati per quella che si sarebbe rivelata, secondo gli inquirenti, una vera e propria fabbrica di falsi invalidi.

Tornando agli ultimi dati a disposizione, le giornate di permesso cumulate nel complesso, durante il 2013, sono state pari a 6 milioni 258 mila, di cui quasi 5,8 milioni, quindi oltre il 92%, fruite per assistenza a parenti o affini.

I permessi previsti dalla 104 sono quelli consentiti dalla legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità, che permette fino a tre giorni di assenza dal lavoro sia per il lavoratore con disabilità grave, che non perde nulla in termini di stipendio, che per il dipendente che assiste un parente malato (coniuge, figlio, genitore, ma anche fratello, nonno o nipote e, in casi particolari, anche parenti di terzo grado, come gli zii). Una possibilità concessa sia ai lavoratori pubblici, che privati, ma con risultati applicativi molto diversi nei due comparti. Come emerge da un monitoraggio molto dettagliato diffuso dal ministero della Pa nel 2012, su dati 2010, su 529mila beneficiari della 104, nel privato se ne contavano 285mila (pari all'1,43% dei dipendenti privati totali), mentre nel pubblico 244mila (pari al 7,4% dei dipendenti pubblici): in pratica, gli statali utilizzavano questo strumento oltre cinque volte in più degli altri lavoratori. Il comparto con la più elevata percentuale di fruizione risultò proprio la scuola (103.871 beneficiari, pari ad oltre il 42%).

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La leader della Cisl ribadisce la necessità di intervenire sulla Riforma Fornero per garantire maggiore flessibilità in uscita. Critico il giudizio sulla previdenza complementare colpita dal Governo con la Finanziaria 2015.

Kamsin Non si può rimettere in discussione la legge Fornero senza gravare sui conti pubblici. Abbiamo ben presenti le compatibilità di bilancio. Ma non meno che l'occupazione giovanile è in forte sofferenza e che il sistema previdenziale oggi è troppo rigido. E' quanto afferma il segretario della Cisl Furlan dalle pagine del quotidiano Avvenire. Occorre invece ripristinare una certa flessibilità in uscita e tener conto che non tutti i lavori, e non tutti i lavoratori, sono uguali: le persone hanno esigenze differenti e a 67 anni è diverso stare seduti a una scrivania o salire su un'impalcatura. Bisogna far sì, perciò, che sia possibile andare in pensione dopo un certo numero di anni di contribuzione, in combinazione a una certa età".

L'ipotesi della sindacalista è di ripristinare, insomma, il sistema delle quote, cioè la vecchia pensione di anzianità. Ma a che livello? La Furlan non fissa soglie specifiche, anche se l'ipotesi di partenza - sostiene la sindacalista - è quella che ha rilanciato il Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano: cioè la quota 100 con un minimo di 60 anni e 35 anni di contributi. "Questa è la strada a condizione però che a 40 o 41 anni al massimo resti l'uscita indipendentemente dall'età anagrafica e si cancelli quel controverso sistema di penalizzazioni che colpisce oggi solo una parte dei lavoratori". Inoltre, - ricorda la Furlan - si possono incentivare  con contributi figurativi o sgravi fiscali  le "staffette" tra un lavoratore anziano che passa a part-time e un giovane che entra in azienda e impara un mestiere.

L'altro problema che sottolinea la Furlan è la stangata sulla previdenza complementare. La finanziaria 2015 rischia di far danni anche nel campo previdenziale, grazie all'aumento delle tasse sui fondi pensione. "L'impatto della nuova aliquota  balzata in un sol colpo dall'11,5 al 20%  sarà quello di assottigliare l'assegno integrativo nel futuro. Un'assurdità, vista la progressiva magrezza delle nuove pensioni, complice la frammentazione delle carriere, il passaggio al contributivo puro con stipendi in media bassi, il Pil depresso di questi anni.

Colpire la previdenza integrativa non sembra dunque una mossa furba. Basti pensare che tra il 50 e il 60% dei dipendenti privati versa il Tfr nei fondi, proprio per accumulare un tesoretto extra negli anni della vecchiaia. In tutto sono 6 milioni i lavoratori italiani iscritti, uno su quattro. L'effetto della stangata sarà quello di avere pensioni integrative più povere domani (fino al 13% in meno), oppure versamenti più salati oggi ( fino al 12% in più) per mantenere lo stesso assegno futuro. I più penalizzati saranno i giovani.  Renzi aveva promesso di intervenire. Ma la soluzione trovata, non ancora attiva, quella del credito di imposta ai fondi pensione, non sembra poter avere una ricaduta sul lavoratore" .

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Martedì 27 gennaio, alle 14 la commissione Lavoro della Camera, nell'ambito dell'esame della proposta di nomina del Presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, svolgerà l'audizione informale del professor Tito Boeri. L'appuntamento sarà trasmesso in diretta sulla webtv. Lo rende noto un comunicato di Montecitorio.

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“Il voto della Grecia dimostra che la politica dell’austerita’ e dei tagli indiscriminati allo stato sociale portata avanti della cosiddetta Troika, e’ stata controproducente. Continuare su questa strada significherebbe allontanare settori sempre piu’ ampi di cittadini dalla condivisione della prospettiva di un’Europa piu’ forte ed unita”. Kamsin  Lo dichiara in una nota il Presidente della Commissione Lavoro Cesare Damiano.    “Il segnale che arriva dalla Grecia – aggiunge – dev’essere l’occasione per cambiare strada: si’ all’Europa, no all’austerita’ a senso unico. Occorre dare impulso ad una prospettiva di crescita dell’economia  -prosegue Damiano- a partire dalla quale migliorare l’attuale situazione dell’occupazione e preservare lo stato sociale del continente dal diventare il bancomat da cui attingere per la riduzione del debito. La giusta richiesta nei confronti dell’Europa da parte del premier Renzi di avere maggiore flessibilita’ nei conti puo’, in questa situazione, uscire rafforzata e trarre anche beneficio dalle recenti decisioni del Presidente della Banca Centrale europea Mario Draghi” conclude l’esponente Pd.

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