Bernardo Diaz

Bernardo Diaz

Bernardo Diaz, dottore commercialista collabora con PensioniOggi.it dal novembre del 2015.  

La Riforma della Pubblica Amministrazione è legge. I dipendenti pubblici non potranno piu' chiedere di rimanere in servizio per un biennio dopo aver raggiunto l'età pensionabile.

Kamsin Con la pubblicazione ieri in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione al Dl 90/2014 il primo passo della Riforma della Pa è diventata da oggi una realtà. Il Parlamento ha approvato lo scorso 7 agosto il provvedimento che contiene diverse novità, gia anticipate da Pensioni Oggi nei giorni scorsi, tra cui lo stop al trattenimento in servizio dopo aver raggiunto i requisiti per la pensione, il via libera alla possibilità di trasferire un dipendente pubblico nel raggio di 50 chilometri, purché non abbia figli sotto i tre anni o usufruisca della legge 104 per assistere disabili, gli oltre mille posti da vigili del fuoco, e un turn over più flessibile, con il via libera ad assunzioni per non più del 20% delle spese soste­nute per chi è uscito da quella ammini­strazione (percentuale che diventerà del 40 nel 2015 e del 100 nel 2018).

Con l'abolizione del trattenimento in servizio dalla fine di ottobre dunque qualunque dipendente pubblico abbia i requisiti per la pensione dovrà lasciare il posto (finora poteva, previo assenso della Pa, fermarsi ancora due anni), norma che solo per magistrati si applicherà più avanti, da inizio 2016.  Per loro, però, si introduce una stretta nella possibilità di avere un'aspettativa per lavorare con la Pub­blica amministrazione: chi ha incarichi di diretta collaborazione, non potrà più ricorrere all'aspettativa, dovrà andare fuori ruolo.

La stretta sui trattenimenti in servizio comporterà peraltro che, laddove il limite ordinamentale per il servizio risulti fissato a 65 anni, il lavoratore dovrà obbligatoriamente lasciare il posto a 65 anni se a tale età avrà maturato un diritto a pensione (in pratica la pensione anticipata). In caso contrario il rapporto proseguirà fino ai nuovi limiti previsti per il conseguimento della pensione di vecchiaia (66 anni 3 mesi). Non solo. Le amministrazioni potranno già risolvere il rapporto all'età di 62 anni, anche nei confronti dei dirigenti (ma non nei confronti dei magistrati, professori universitari e primari), purché questi abbiano raggiunto la massima età contributiva (cioè i 42 anni e 6 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne). Per attivare tale possibilità sarà tuttavia necessario un atto motivato e la risoluzione del rapporto non dovrà recare pregiudizio alla Pa.

C'è inoltre una stretta al conferimento degli incarichi a pensionati. Le pubbliche amministrazioni, nonché gli enti inseriti nel conto economico consolidato della Pa così come individuati dall'Istat, le autorità indipendenti e la Consob non potranno attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Agli stessi soggetti non potranno essere conferiti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni e degli enti e società da esse controllati. Sono salvi da questa regola solo i componenti delle giunte degli enti territoriali e i componenti o titolari degli organi elettivi di ordini e collegi professionali, nonché di enti aventi natura associativa. Gli incarichi e le collaborazioni sono tuttavia consentiti a titolo gratuito e per la durata massima di un anno. Non sono previste né proroghe, né rinnovi e i rimborsi spese eventualmente corrisposti dovranno essere rendicontati. Tali disposizioni troveranno comunque applicazione agli incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore del decreto (cioè dopo il 25 giugno 2014).

Il provvedimento prevede anche un taglio del 20% della remunerazione per i membri dei Cda di so­cietà partecipate che lavorano in manie­ra praticamente esclusiva con la Pa. Caleranno anche le somme che le imprese versano alle Camere di com­mercio, ma gradualmente: ci sarà un ta­glio del 35% nel 2015, del 40% nel 2016 e un dimezzamento nel 2017.

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Tornano in discussione le delibere delle Casse di previdenza privata che hanno decurtato le pensioni senza rispettare in modo rigido il principio del pro rata, non considerando, cioè, quanto maturato fino a quel momento. Kamsin E' questo l'effetto della sentenza 17892/2014 della Corte di cassazione nel decidere su un ricorso che vedeva contrapposta la Cassa Ragionieri ed un proprio iscritto. 

I giudici della Suprema Corte non hanno infatti riconosciuto come norma di interpretazione autentica la "clausola di salvaguardia", contenuta nella legge di Stabilità per il 2014. La legge 147/2013 aveva infatti legittimato, con effetto retroattivo, le delibere delle Casse Professionali che avevano ridotto i trattamenti previdenziali degli assicurati per rispettare le esigenze di bilancio. Ad essere bocciato dai giudici di Piazza Cavour è proprio l'effetto retroattivo, proposto dal legislatore, che farebbe salve le delibere peggiorative delle rendite previdenziali emesse dagli enti prima del 2007, delibere che ora tornano dunque in discussione.

"La norma, che deriva dalla legge di interpretazione autentica può dirsi costituzionalmente legittima innanzitutto qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario" spiega la Cassazione. "Viene riconosciuta legittimità ed efficacia con effetto retroattivo, a distanza di oltre 10 anni, a delibere peggiorative di una sola categoria di assicurati, i pensionati, in contrasto con quanto affermato dal giudice delle leggi circa il rispetto generale del principio di ragionevolezza, che pure deve guidare i provvedimenti che introducono, in qualche forma, una disparità di trattamento".

Secondo Andrea Camporese, presidente Adepp (l'Associazione che riunisce 19 enti previdenziali privatizzati) "l tema è delicato e complesso e pone una questione prospettica di notevole rilievo perché si tratta di tenere insieme tre componenti: il patto dei diritti acquisiti; la necessità dell'equità intergenerazionale, ancor più rilevante a fronte di redditi bassi e discontinui; la sostenibilità prospettica dei sistemi. Noi vorremmo poter determinare i nostri sistemi tenendo presente tutti questi fattori con l'attenzione agli interessi di tutti. Sulla decisione della Corte non posso dire nulla, però il tema non scompare perché l'evoluzione dei sistemi previdenziali, che hanno virato verso il contributivo, e le modificazioni del mercato del lavoro pongono una domanda importante che non potremo evitare in futuro". 

Zedde

Entrerà nel vivo dopo la pausa estiva la seconda fase dell'operazione che mira a semplificare il mercato del lavoro, il cd. Jobs Act. Dopo il primo pacchetto di provvedimenti che ha semplificato a marzo scorso il ricorso ai contratti a termine e l'apprendistato, a settembre il Parlamento sarà chiamato a dare il via libera alla ddl delega. Kamsin  E il governo punta ad approvare tutti decreti delegati entro la fine del 2014 sperando così di completare entro i primi tre mesi del 2015 la riforma del lavoro.

Il piatto forte sul quale Matteo Renzi gioca gran parte della partita è il contratto a tutele crescenti, una novità che congelerà per i neo assunti l'articolo 18 per tre anni dando la possibilità alle imprese di licenziare in deroga alla disciplina vigente. Nei primi 36 mesi di durata del rapporto, una volta superato il periodo di prova di 6 mesi, il datore di lavoro potrà uscire dal contratto senza motivazione ma rispettando il periodo di preavviso. Per il dipendente (che comunque potrà chiedere il reintegro in caso di allontanamento discriminatorio), oltre a quanto maturato e dovuto durante il rapporto, è previsto il pagamento di una indennità pari a due giorni di retribuzione per ogni mese lavorato. Una novità questa peraltro rafforzata dalla contestuale riduzione dei contributi sociali: l'imprenditore spenderà la metà di quanto investe adesso per un dipendente a tempo indeterminato e un terzo in meno rispetto a uno dipendente a tempo determinato.

In tema di contratti il Jobs act prevede poi una bella sforbiciata alle tipologie. Da 40 ne resteranno in vigore al massimo 6.  In questo modo, oltre al tempo indeterminato classico e quello a tutele crescenti, resterebbero l'apprendistato, il contratto a termine e quello di somministrazione.

Poi c'è la partita sugli ammortizzatori sociali che dovranno essere ristrutturati, la semplificazione delle procedure di assunzione e la trasformazione delle misure per la tutela della maternità. Piu' in forse, per problemi di copertura economica, invece l'assegno minimo per tutti coloro che perdono il posto di lavoro e che sono ancora coperti dalle tutele di Aspi e miniAspi. L'erogazione del sussidio, subordinato all'obbligo di seguire un corso di formazione professionale e cancellato nel caso in cui il disoccupato rifiuti una nuova proposta di lavoro, dovrebbe essere gestito da un'Agenzia unica federale.

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Tempi dimezzati per il riconoscimento dell'invalidità, estensione dell'efficacia del riconoscimento provvisorio, proroga automatica delle prestazioni in favore dei minori disabili che diventano maggiorenni, piu' facilitazioni nei concorsi e maggiori posti per le auto riservati in città. Kamsin Sono queste le principali novità "stabilizzate" con la conversione definitiva dell’articolo 25 del dl 90/2014 avvenuta ieri alla Camera.

In prima linea c'è il dimezzamento dei tempi per il riconoscimento da parte delle Commissioni mediche dello stato di invalidità. Viene infatti ridotto da 90 a 45 giorni il termine oltre il quale - in assenza della pronuncia della commissione - l'accertamento è effettuato, in via provvisoria dal medico specialista nella patologia del richiedente. 

Vengono inoltre ampliati gli effetti di tale accertamento provvisorio, prevedendo che esso rilevi - oltre che per le agevolazioni lavorative stabilite, con riferimento ai soggetti con handicap in situazione di gravità, dall'art. 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni - anche ai fini dell'applicazione delle norme sull'assegnazione di sede (nell'ambito delle amministrazioni pubbliche) e sulle domande di trasferimento, di cui all'art. 21 della citata L. n. 104 del 1992, nonché delle norme sui riposi, i permessi ed i congedi per l'assistenza a soggetti con handicap in situazione di gravità, di cui all'art. 42 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni.

Passa da 180 a 90 giorni il termine entro cui deve pronunziarsi la commissione medica nell'accertamento dell'invalidità e, viene previsto che la commissione medica, previa richiesta motivata dell’interessato, possa rilasciare, al termine della visita, un certificato provvisorio, il quale produce effetto fino all’emissione dell’accertamento definitivo da parte della commissione medica dell’INPS. 

Minori disabili - Innovazioni anche per i minori affetti da disabilità e titolari di una o piu' prestazioni economiche a carico dello Stato. In particolare si consente il riconoscimento provvisorio delle prestazioni erogabili agli invalidi maggiorenni ai minori titolari di indennità di frequenza a condizione che la domanda relativa a queste ultime sia stata presentata entro i sei mesi antecedenti il compimento della maggiore età.

Viene inoltre rafforzata la garanzia - per il disabile o l'invalido civile titolare di altri benefici economici - della continuità dell'erogazione delle provvidenze economiche nel momento del passaggio dalla minore alla maggiore età. In tal caso le prestazioni continuano ad essere erogate, ferma restando la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa di settore, senza necessità di presentare domanda in via amministrativa. 

Minori controlli sull'invalidità - Viene anche previsto che, nelle more dell’effettuazione delle eventuali visite di revisione e del relativo iter di verifica, i minorati civili e le persone con handicap, in possesso di verbali in cui sia prevista la rivedibilità conservino i diritti acquisiti in materia di benefici, prestazioni ed agevolazioni di qualsiasi natura. Per costoro inoltre, la convocazione a visita nei casi di verbali per i quali sia prevista la rivedibilità, sarà di competenza dell'INPS. Ci sarà poi l'esclusione dalle visite di controllo dello stato di invalidità in caso sia stata accertata una menomazione o una patologia stabilizzata o ingravescenti (con la soppressione quindi della condizione che tale accertamento abbia dato luogo al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento o di comunicazione).

Concorsi e Pubblico Impiego - Una serie di facilitazioni riguardano la partecipazione ai concorsi pubblici. La persona affetta da invalidità pari o superiore all'80% non sarà infatti piu' tenuta a sostenere la prova preselettiva, eventualmente inserita nei concorsi pubblici e negli esami di abilitazione alla professione. Inoltre i disabili, i quali abbiano conseguito le idoneità nei concorsi pubblici, possono essere assunti, ai fini dell'adempimento degli obblighi sul collocamento obbligatorio dei disabili (di cui alla L. 12 marzo 1999, n. 68), anche oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso.

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I dipendenti pubblici saranno collocati in pensione d'ufficio al raggiungimento dei 65 anni qualora abbiano maturato a tale data un diritto a pensione.

Kamsin Con l'abolizione del trattenimento in servizio, previsto dal dl 90/2014, i lavoratori della pubblica amministrazione potranno essere collocati in quiescenza al compimento del 65° anno di età, cioè al raggiungimento del limite ordinamentale per il servizio, limite vigente in molte delle Pa. La prosecuzione del rapporto di lavoro fino ai nuovi limiti anagrafici (66 anni 3 mesi) per la pensione di vecchiaia sarà ammissibile infatti solo ove, al raggiungimento del 65° anno di età, non risulti perfezionato un diritto a pensione. 

Sono questi gli effetti combinati del Dl 90/2014 e della regola introdotta nel Dl 101/2013 per i lavoratori delle Pa. In altri termini nel pubblico impiego il lavoratore deve lasciare il posto a 65 anni se a tale età ha maturato un qualsiasi diritto a pensione (si tratta principalmente del caso in cui il lavoratore ha raggiunto i requisiti contributivi per la pensione anticipata). In caso contrario il rapporto proseguirà fino ai nuovi limiti previsti per il conseguimento della pensione di vecchiaia. E superati i 65 anni il rapporto di lavoro si intenderà risolto al perfezionamento del primo requisito per la pensione senza che l'interessato possa chiedere di proseguire il rapporto di lavoro per un altro biennio.

Come si ricorderà infatti l’articolo 2, comma 5, del Dl 101/2013 ha interpretato autenticamente l’articolo 24 della riforma Monti-Fornero nel senso che per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite ordinamentale – al raggiungimento del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione – non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia; si fa eccezione solo per il trattenimento in servizio o per far conseguire all’interessato la prima decorrenza utile della pensione. Ora, con l'abolizione del trattenimento in servizio, sarà possibile pertanto superare il limite ordinamentale solo per far conseguire la pensione di vecchiaia quando l'interessato non ha maturato un diritto a pensione entro il 65° anno di età. Resta ferma comunque la possibilità di permanere sul posto di lavoro per il raggiungimento dell'anzianità contributiva minima richiesta per la pensione di vecchiaia (cioè 20 anni) anche se tale requisito dovesse risultare perfezionato successivamente al compimento dell'età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia.

La misura peraltro è sorretta anche dall'ulteriore possibilità (non obbligo) per la Pa, contenuta nel Dl 90/2014, di risolvere il rapporto di lavoro al raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata purchè il soggetto abbia perfezionato il 62° anno di età (65° anno per i dirigenti medici e del ruolo sanitario). La decisione della Pa dovrà essere in tal caso motivata con riferimento alle esigenze organizzative e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi.

Restano fuori da queste regole i magistrati, i professori universitari e gli Avvocati dello Stato. Si tratta di categorie di lavoratori per i quali è infatti previsto un limite ordinamentale piu' elevato, pari a 70 anni. Per costoro il pensionamento d'ufficio scatterà solo al raggiungimento del 70° anno di età e, peraltro, le Pa non potranno anticipare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro già all'età di 62 anni. 

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