Eleonora Accorsi

Eleonora Accorsi

Sono una giornalista freelance. Collaboro con diverse testate e blog nella redazione di notizie ed approfondimenti su materie fiscali e di diritto del lavoro. Dal 2014 collaboro con la redazione di PensioniOggi.it

La frenata dell'inflazione limiterà la crescita degli assegni nel 2015 e i pensionati dovranno restituire all'Inps i soldi elargiti in eccesso.

Kamsin Inizio d'anno amaro per i pensionati italiani. L'inflazione più bassa del previsto avrà effetti sulla consueta rivalutazione degli assegni ed a gennaio l'Inps taglierà i trattamenti riducendo gli importi. I calcoli sono facili: dato che l'andamento dei prezzi a fine 2014 (l'1,1% ) è stato più basso rispetto alle previsione dell'1,2 sulla base della quale, l'anno scorso, era stato calcolata la consistenza delle pensioni i pensionati devono restituire allo Stato i soldi elargiti in eccesso. Uno 0,1% in meno di inflazione reale rispetto a quella prevista.

A conti fatti una pensione minima (importo intorno ai 500 euro lordi) perderà 5,40 euro su dicembre 2014, mentre a una da 1.500 euro mancheranno 16,30 euro. La pessima sorpresa, però, avrà un effetto limitato al mese di gennaio perchè già a partire da febbraio la rivalutazione automatica prevista per il 2015 (calcolata sulla base di un'inflazione annua dello 0,3%) porterà nelle tasche di un pensionato con il trattamento al minimo 1,50 euro in più sul 2014 e tre euro di maggiorazione per una pensione da 1.500 euro. Insomma un piccolo recupero dopo la brutta sorpresa di inizio anno. Anche se bisognerà aspettare fine maggio per recuperare quanto perso a fine gennaio.

Il meccanismo - L'inflazione incide anche sul valore della pensione. E, proprio per scongiurare che con il passare del tempo l'assegno perda potere d'acquisto, esiste un meccanismo di salvaguardia che prende il nome di perequazione o rivalutazione automatica e che indica esattamente l'adeguamento periodico di quanto si percepisce all'aumento del costo della vita.

L'Istat determina la percentuale di incremento del livello dei prezzi da un anno all'altro ed eroga, da quel momento in avanti, la pensione aumentata di quella percentuale. Nel corso degli ultimi anni la leva della rivalutazione è stata ampiamente utilizzata — secondo diverse modalità — per realizzare risparmi per le casse dello Stato. Per il 2015 il meccanismo prevede l'adeguamento al 100% dell'indice Istat per le pensioni fino a tre volte il trattamento «minimo» (1.503,64 euro), mentre per quelle di importo superiore la rivalutazione sarà via via decrescente, fino a scomparire, come si vede nella tabella. Il punto è che per il 2015 proprio l'indice Istat utile per la perequazione — fissato a novembre dal ministero dell'Economia — sarà solo dello 0,30% e, dunque, i benefici saranno di conseguenza prossimi allo zero. Non solo, Poiché per il 2014 sono stati corrisposti incrementi superiori dello 0,10% a quanto dovuto, il risultato sarà un aumento ancora più basso: solo 0,20%. Per i trattamenti sopra i 3mila euro mensili lordi, per effetto di ulteriori aggiustamenti e conguagli, si arriverà addirittura a un taglio dell'assegno.

In tema di pensioni, è arrivata almeno una schiarita sul «caos date» per i pagamenti. La legge di stabilità ha fissato che gli assegni Inps saranno liquidati il primo del mese mentre quelli Inpdap il 16, così come è avvenuto fino ad oggi. Invece, per i titolari di due o più pensioni e nello specifico quelle di reversibilità, invalidità civile e di rendite vitalizie per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro le prestazioni saranno liquidate il 10 del mese. Ma ieri l'Inps ha ridimensionato la portata della novità indicando che nel mese di gennaio non ci sarà nessuna novità sul calendario dei pagamenti delle pensioni: gli assegni verranno liquidati come sempre il primo del mese e il 16 del mese. La questione si presenterà però nei mesi successivi, per cui occorrerà trovare «una soluzione ha precisato l'Inps. Il quale ha spiegato che «il problema riguarda i soli pensionati che incassano più assegni legati a carriere sia nel settore pubblico che in quello privato». Per loro, stando alla legge di Stabilità, la data sarebbe il 10 del mese.

Seguifb

Zedde

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto interministeriale che incrementa di 4 mesi l'età pensionabile dal 1° gennaio 2016. Gli effetti riguarderanno anche i lavori usuranti e i salvaguardati.

Kamsin Come anticipato ieri da pensionioggi.it il decreto del ministero dell'Economia 16 dicembre 2014 è stato pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 30 dicembre (qui il testo del decreto 16 Dicembre 2014). Dal 2016, dunque, scatterà il secondo aumento dei requisiti anagrafici e contributivi dopo l'adeguamento avvenuto nel 2013. In particolare, per le pensioni anticipate diventeranno necessari, per gli uomini, 42 anni e dieci mesi di contributi; per le donne 41 anni e dieci mesi di contributi.

Per la pensione di vecchiaia i requisiti restano differenti per le donne del settore privato rispetto agli uomini e alle donne del settore pubblico. Gli uomini, dipendenti o lavoratori autonomi, dovranno raggiungere i 66 anni e sette mesi di età. Lo stesso requisito è fissato per le donne del pubblico impiego. Per le lavoratrici del settore privato l'aumento della speranza di vita sarà piu' elevato in quanto so cumulano gli effetti dell'innalzamento dei minimi fissati dalla riforma previdenziale per arrivare a parificare i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia. Per le dipendenti del
settore privato serviranno quindi 65 anni e sette mesi, per le autonome 66 anni e un mese. 

Novità anche per i lavoratori salvaguardati e per gli usurati, cioè per coloro che si applica il sistema delle quote di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243. Dal 2016 sarà necessario perfezionare 61 anni e 7 mesi di età anagrafica ed il contestuale raggiungimento del quorum 97,6 con un minimo di 35 anni di contributi. Per gli autonomi serviranno, invece, 62 anni e 7 mesi ed un quorum pari a 98,6. 

Qui il pensionometro di pensionioggi.it per verificare la data di pensione.

seguifb

Zedde

Firmato il decreto interministeriale che incrementa di 4 mesi l'età pensionabile dal 1° gennaio 2016.  Per la pensione serviranno 66 anni e 7 mesi o 42 anni e 10 mesi di contributi.

Kamsin Dal 2016 bisognerà lavorare 4 mesi in piu' per agguantare la pensione. E' l'effetto del decreto interministeriale Lavoro-Economia che adeguerà tutti i requisiti necessari per conseguire la pensione alla stima di vita istat.  L'adeguamento fu introdotto da una legge del 2010 (governo Berlusconi) con cadenza triennale. La riforma Fornero lo accelerò, disponendo dal 2019 scatti ogni due anni. Serve, nella logica della legge, per la sostenibilità finanziaria del sistema: più si allunga la durata della vita, più tardi si va in pensione. 

Come anticipato da pensionioggi.it i ministeri confermano che il relativo decreto è stato firmato e che sarà a breve pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Dopo il primo scatto nel 2013, che fu di tre mesi, questa volta, quindi, l'aumento sarà maggiore: 4 mesi. Che si sommano sia al minimo d'età richiesto per la pensione di vecchiaia sia al minimo di anni di contributi necessario per la pensione anticipata. Pensione di vecchiaia Questo significa che dal primo gennaio 2016 ai lavoratori dipendenti, sia del privato sia del pubblico e ai lavoratori autonomi, per andare in pensione di vecchiaia non basteranno più 66 anni e tre mesi d'età, come fino alla fine del 2015, ma ci vorranno 66 anni e sette mesi (oltre a un minimo di 20 venti anni di contributi).

Stessa cosa per le lavoratrici dipendenti del pubblico impiego, mentre per quelle del settore privato l'aumento, sempre nel 2016, sarà più forte perché segue uno specifico percorso di armonizzazione previsto dalla legge, che prevede un aumento da 63 anni e 9 mesi, valido fino al termine del 2015, a 65 anni e 7 mesi. Discorso analogo per le lavoratrici autonome che passeranno dagli attuali 64 anni e 9 mesi a 66 anni e un mese dal primo gennaio 2016. Crescono, poi, i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia prevista per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 (sistema contributivo). Si passa da 63 e 3 mesi a 63 e 7 mesi. 

Dal 1° gennaio 2016 aumenteranno anche i requisiti per lasciare con la pensione anticipata.  Per lasciare il lavoro in anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia, gli uomini devono avere attualmente almeno 42 anni e sei mesi di contributi mentre alle donne bastano 41 anni e sei mesi. Sarà così ancora per un anno, fino alla fine del 2015. Poi dal 2016 il requisito salirà a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne.

Si ricorda, inoltre, che con la legge di stabilità (pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale), è andata in soffitta la penalizzazione - sino al 31 Dicembre 2017 - per chi, pur raggiungendo questo minimo contributivo, fosse andato in pensione con meno di 62 anni d'età.

Ecco quindi i requisiti per conseguire le prestazioni pensionistiche nei prossimi anni.

Le tabelle elaborate dalla Ragioneria generale dello Stato al momento della riforma Fornero sviluppano, infati, fino al 2050 e oltre le conseguenze della norma sull'adeguamento periodico dei requisiti alla speranza di vita. Sulla base di queste stime, peraltro confermate dallo scatto decretato per il 2016, l'età per la pensione di vecchiaia salirà progressivamente fino a 70 anni nel 2050, anno in cui gli anni di contributi necessari per accedere alla pensione anticipata saranno arrivati a 46 anni e 3 mesi. 

Seguifb

Zedde

Una sentenza del Giudice del Lavoro di Salerno ha accolto il ricorso di 42 docenti salernitani promosso dallo Snals. Gli insegnanti potranno essere collocati in pensione con effetto giuridico dal 1.9.2012.

Kamsin ll giudice del lavoro del Tribunale di Salerno, Ippolita Laudati, ha riconosciuto con sentenza numero 31595 lo scorso 3 novembre il diritto al pensionamento di 42 prof salernitani in Quota 96, di fatto bocciando la Legge Fornero che li aveva costretti a restare in servizio. Il ricorso è stato presentato dallo Snals. Pubblichiamo di seguito il testo della sentenza del Giudice di Salerno che potrà risultare utile per altri lavoratori nella medesima situazione.

Si rammenta che si stratta di una sentenza di primo grado alla quale Miur e Inps potranno promuovere appello. 

TRIBUNALE DI SALERNO - Sentenza 03 novembre 2014, n. 4216

Pubblico impiego - Comparto istruzione - Requisiti anagrafici e contributivi - Collocamento in quiescenza - Diritto a partire dal primo settembre 2012

Ragione di fatto e di diritto

Con ricorso (in riassunzione) depositato in data 11.10.2012, i ricorrenti come in premessa epigrafati, nella loro qualità di docenti attualmente in servizio, convenivano in giudizio il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ritenendo sussistente il loro diritto alla pensione dal 31.8.2012 in forza di quanto delineato dal sistema ante d.l. 201/11 conv. in L. 214/11.

L’art. 24 d.l. 201/11, al comma 3, individua quale elemento discriminante del regime applicabile la data di maturazione dei requisiti di età e di anzianità contributiva alla data del 31.12.2011: per coloro che hanno maturato il diritto entro tale termine vale il vecchio regime, per gli altri il regime successivo.

La circolare n. 2 dell’8.3.2012 del Dip. Funzione Pubblica al punto 6) prende in esame la particolarità del comparto scuola affermando espressamente che rimane ferma la vigenza degli specifici termini di cessazione dal servizio stabiliti in relazione all’inizio dell’anno scolastico per le esigenze di servizio.

Orbene, condividendo quanto già statuito da parte della giurisprudenza di merito, ad avviso dell’ufficio detta circolare appare in linea con il testo della citata legge la quale si occupa esclusivamente della riforma dei requisiti per la maturazione del diritto al trattamento pensionistico, e dunque dei fatti costitutivi del diritto a pensione, modificando le regole stabilite in precedenza con riferimento all’età ed all’anzianità contributiva.

Non sembra invece preoccuparsi dei problemi relativi ad eventuali sfasature temporali tra il momento in cui si verificano i fatti costitutivi del diritto (età-anzianità contributiva) ed il termine dal quale si può far valere tale diritto (cessando di fatto la prestazione lavorativa).

La circolare della quale si sta discorrendo distingue la data di maturazione del diritto dai termini di cessazione dei servizio, ossia distingue i fatti costitutivi del diritto a pensione dai momento afferente la decorrenza Dunque, se la legge nuova non si occupa della decorrenza, avendo presente come discrimen il momento di maturazione dei requisiti di età/anzianità, il termine di decorrenza è regolato dalla vecchia normativa.

Questo è quanto accade nel comparto scuola laddove il DPR n. 358/98 stabilisce una sfasatura tra data di maturazione del diritto e data di collocamento a riposo che coincide con la fine dell’anno scolastico, ossia il 31.8.2012 nel caso di specie.

Di questa sfasatura dà atto la circolare n. 2/12 che evidenzia che nel comparto scuola ci sono specifici termini di cessazione del rapporto a differenza di altri comparti, per cui il dipendente - pur avendo maturato i requisiti costitutivi del diritto a pensione al 31.12.2011 - deve aspettare la fine dell’anno scolastico che termina il 31.8.2012.

Poiché per evitare un disservizio e garantire la continuità didattica al docente viene "imposto" di continuare a lavorare fino al 31.8.2012, appare irragionevole che proprio in forza di questa esigenza egli subisca gli effetti (negativi o positivi poco importa) di leggi successive che modificato il suo diritto già acquisito e non ancora esercitato.

Sulla scorta delle suesposte considerazioni, il ricorso deve esser accolto e, per l’effetto, accertato e dichiarato il diritto dei ricorrenti al collocamento in quiescenza alla data dell’1.9.2012.

Spese di lite compensate in ragione del contrasto giurisprudenziale In materia.

P.Q.M.

1) Accoglie il ricorso e, per l’effetto, accertata e dichiara il diritto dei ricorrenti tutti ad esser collocati in quiescenza alla data dell’1.9.2012;

2) Compensa le spese di lite.

Motivi contestuali.

(Gdl Ippolita Laudati)

 

Come già anticipato da pensionoggi.it ad analoghe considerazioni era giunto nel 2012 il giudice dr.ssa Baroncini del Tribunale di Roma, collocando in quiescenza due docenti in deroga alla vigente riforma Fornero, senza che il M.I.U.R. proponesse specifico ricorso in appello. Mentre altri giudici del Lavoro si sono espressi differentemente da quelli di Roma e Salerno: in taluni casi hanno respinto la richiesta dei ricorrenti; in altri si sono dichiarati incompetenti per materia e hanno rinviato alla Corte dei Conti; in altri, ancora, hanno rinviato alla Corte Costituzionale per eventuali profili di incostituzionalità.

La Consulta, il 19 Novembre 2013, si è espressa sull’inammissibilità del ricorso per la sua formulazione: conseguentemente, due ricorsi sono stati ripresentati (da parte dei tribunali di Siena e Ragusa) e sono in attesa di sentenza della Corte stessa.

Tra le particolarità della sentenza che ci appaiono interessanti c'è il fatto che il personale ricorrente sarà posto in quiescenza dal 1° settembre 2012. Ciò dovrebbe far pensare che il tribunale abbia ritenuto inapplicabile anche l'articolo 1, comma 21 del decreto legge 138/2011 che aveva introdotto, dal 1° gennaio 2012, la finestra mobile "suppletiva" anche al comparto in parola.

Seguifb

Zedde

L'esecutivo ha sul tavolo diverse proposte per ammorbidire la Riforma Fornero senza stravolgere l'impianto che sta generando significativi risparmi per lo Stato. Possibile l'estensione del calcolo contributivo in favore degli ultracinquantenni senza lavoro.

Kamsin «Stiamo ragionando su come rendere più flessibile l'età del pensionamento. Ma serve cautela per gli effetti sui conti pubblici e per non incrinare la credibilità che l'Italia ha costruito proprio grazie alla riforma previdenziale». E' quanto sostiene una fonte autorevole del governo citata oggi dalle agenzie di stampa. Una modifica della Riforma Fornero sembra necessaria anche per far ripartire il mercato del lavoro, ormai al palo da anni con una disoccupazione che continua a crescere. L'obiettivo è duplice: da una parte, correggere le rigidità della riforma Fornero del 2011 sull'età pensionabile per bloccare definitivamente il fenomeno degli esodati; dall'altra consentire ai giovani di subentrare ai più anziani nei posti di lavoro.

Il primo segnale della nuova strategia del governo è arrivato con la legge di Stabilità: dal prossimo anno vanno via le penalizzazioni (cioè il taglio dell'assegno pensionistico) per chi decide di andare in pensione dopo aver versato per 42 anni e 6 mesi i contributi all'Inps senza aver ancora compiuto i 62 anni di età.

Il dossier pensioni è comunque sul tavolo di Palazzo Chigi e potrebbe subire un'accelerazione qualora la Corte Costituzionale nei prossimi giorni dichiarerà ammissibile il referendum sulle pensioni proposto dalla Lega Nord. A quel punto, fonti vicine al Governo, fanno sapere che un intervento sulla Riforma Fornero sarebbe "inevitabile" per scongiurare il rischio di uno tsunami sui conti pubblici.

Le proposte di Riforma sono note e sono già state piu' volte accennate da pensionioggi.it. Si tratta di ripristinare un minimo di criteri flessibili per andare in pensione, soprattutto a tutela dei lavoratori più anziani che dovessero perdere l'occupazione e che si troverebbero senza stipendio, senza sostegno al reddito dopo un po' e troppo lontani dalla pensione. Si ragiona su alcune opzioni compatibili con l'impianto generale della legge Fornero senza compromettere cioè i risparmi attesi. Così riprende quota la proposta di concedere ai lavoratori prossimi alla pensione ( a 2-3 anni di distanza) che dovessero essere licenziati, un anticipo di una quota dell'assegno pensionistico ( pari a circa 700 euro al mese) che verrebbe poi restituita in piccole rate una volta maturati i requisiti per il pensionamento. Ipotesi che nel passato aveva sostenuto anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti e che costerebbe non più di 4-500 milioni l'anno.

Piu' improbabile invece, l'approvazione del disegno di legge Damiano (i cd. pensionamenti flessibili) perché troppo costosi. Resta sul tavolo anche la proposta del consigliere economico di Palazzo Chigi Yoram Gutgeld di consentire —come ha spiegato ieri in un'intervista a Repubblica—di ricalcolare l'assegno pensionistico esclusivamente con il metodo contributivo di quei lavoratori ultracinquantenni rimasti senza lavoro. Costoro, in cambio della certezza della pensione, accetterebbero una decurtazione significativa dell'importo.

seguifb
zedde

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati