La rioccupazione con contratti di lavoro a termine di durata inferiore a sei mesi non fa venir meno il diritto del lavoratore a fruire dell’ape sociale. Ciò perché tali contratti non determinano il venir meno dello stato di disoccupazione e, pertanto, non sono idonei ad incidere sui requisiti di accesso all’APE sociale. E’ il principio enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 30258/2024 con la quale i giudici hanno accolto le doglianze di un lavoratore licenziato che si era visto negare dall’Inps il diritto all’Ape sociale.
Disoccupati
Come noto tra le condizioni per il conseguimento dell’Ape sociale, cioè la prestazione di accompagnamento alla pensione di vecchiaia per i lavoratori in condizioni di difficoltà, la legge annovera i soggetti che si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di conciliazione obbligatoria (quella cioè che si attiva per le imprese che impiegano più di 15 dipendenti, ex art. 7 della legge 604/1966 a seguito ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo) ed abbiano integralmente esaurito la prestazione di disoccupazione loro spettante (es. Naspi).
La questione
Il caso sottoposto alla Corte riguardava un lavoratore che aveva perso il lavoro a tempo indeterminato a seguito di licenziamento con effetto dal 31 dicembre 2010. Nelle more del raggiungimento del requisito anagrafico richiesto (63 anni) si era rioccupato con un contratto di lavoro a termine di durata inferiore a sei mesi. Maturato il requisito anagrafico aveva, quindi, presentato domanda di Ape sociale considerando del tutto irrilevante la rioccupazione successiva. L’Inps però gli aveva negato la prestazione ritenendo che i requisiti concessori andassero riferiti all’ultimo dei lavori precedenti la prestazione e non a quelli precedenti ancora, ove vi sia stata nelle more disoccupazione e rioccupazione per periodi inferiori a sei mesi.
La Corte di Cassazione ha bocciato in toto la tesi dell’Inps osservando che tali contratti, essendo per legge «neutri» ai fini del mantenimento dello stato di disoccupazione (che, infatti, viene solo sospeso) non possono non esserlo anche ai fini del riconoscimento dell’Ape sociale. In tal senso, del resto, l’Inps con messaggio n. 4195/2017 aveva affermato che eventuali rapporti di lavoro subordinato di durata non superiore a sei mesi, svolti nel periodo successivo alla corresponsione della prestazione di disoccupazione, non determinano il venir meno dello stato di disoccupazione e non incidono perciò sull’APE sociale.
Osserva la Corte che, peraltro, le modifiche apportate dal legislatore con la L. 205/2017 che hanno ampliato l‘accesso all’APE sociale ai lavoratori a termine, «non possono aver in alcun modo né modificato i requisiti di accesso alla prestazione per i lavoratori già inclusi, né hanno tolto agli stessi il diritto alla prestazione alle condizioni di legge». Come noto la legge citata ha riconosciuto la prestazione dal 1° gennaio 2018 anche ai lavoratori la cui disoccupazione sia conseguenza della scadenza di un contratto a termine a condizione che nei tre anni precedenti la cessazione del rapporto, abbiano avuto periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi.
Ed invero, prosegue la Corte, la modifica non può che aver determinato «un allargamento della platea dei beneficiari dell’APE sociale a coloro che sono stati occupati con contratto a tempo determinato ed a coloro che dopo la cessazione di un rapporto a tempo indeterminato per le causali già previsto dalla pregressa normativa (recesso) siano stati assunti con un contratto a termine di durata superiore a sei mesi, cui è conseguita a termini di legge la cessazione dello stato di disoccupazione».
L’irrilevanza
Di conseguenza la Corte ribadisce che i requisiti di accesso all’Ape Sociale (es. occupazione per 18 mesi nei 36 mesi precedenti alla cessazione del rapporto, e successiva disoccupazione; licenziamento con successiva disoccupazione) vanno riferiti all’ultimo dei lavori - a tempo indeterminato o a tempo determinato con durata superiore a sei mesi - precedenti la prestazione, restando irrilevante che dopo la cessazione del detto rapporto vi sia stata rioccupazione per periodi inferiori a sei mesi.