Bonus Baby Sitting, Il Ministero del Lavoro conferma i voucher

redazione Venerdì, 31 Marzo 2017
Le indicazioni sono arrivate dal ministero del Lavoro e dal Dipartimento politiche per la famiglia all'indomani del decreto legge che ha abolito il lavoro accessorio.
I voucher per i servizi di baby sitting potranno continuare ad essere erogati nonostante il governo abbia cancellato con il decreto legge 25/2017 i voucher per retribuire il lavoro accessorio. Lo ha stabilito ieri l'Inps a seguito delle indicazioni arrivate dal ministero del Lavoro e dal Dipartimento politiche per la famiglia. Era stata la stessa Inps a lanciare l'allarme lo scorso 22 marzo quando comunico' che le domande non potevano essere più presentate in quanto era stata soppressa la struttura per la gestione dei voucher che, come noto, era agganciata a quella per il lavoro accessorio. Ora il dietrofront dell’istituto di previdenza che, a fronte dell’indicazione arrivata dal ministero del Lavoro e dal Dipartimento politiche per la famiglia, comunica che continuerà a erogare il bonus anche tramite voucher. 

I voucher, come noto, sono stati introdotti in via sperimentale con la Riforma del Mercato del Lavoro (articolo 4, comma 24, lettera b), della legge 92/2012), per il triennio 2013-2015, e consistono nella possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo obbligatorio di maternità e in alternativa al congedo parentale, un voucher del valore di 600 euro mensili per l'acquisto di servizi di babysitting, ovvero un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo obbligatorio, per un massimo di sei mesi (che scende a tre mesi per le autonome). La sperimentazione è stata rinnovata nell'anno 2016 dalla legge 208/2015 ed ulteriormente prorogata per un ulteriore biennio, sino al 31 dicembre 2018, dalla recente legge di bilancio per il 2017.  La misura si rivolge alle generalità delle lavoratrici dipendenti, sia del settore privato che del pubblico impiego nonchè alle lavoratrici iscritte presso la gestione separata dell'Inps (sia collaboratrici che professioniste con partita Iva) a condizione che non risultino iscritte presso altre gestioni previdenziali obbligatorie. Dal 2016 la misura è stata estesa anche alle altre lavoratrici autonome ed imprenditrici iscritte ad altra gestione previdenziale dell'Inps (coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, imprenditrici agricole a titolo principale, pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne, disciplinate dalla legge 13 marzo 1958, n. 250).

È bene specificare che il legislatore ha posto la misura come alternativa al congedo parentale, motivo per cui la lavoratrice che decida di avvalersene dovrà espressamente rinunciare ai corrispondenti mesi di congedo. Del pari restano escluse dal beneficio le lavoratrici che non abbiano diritto al congedo parentale (ad esempio, le lavoratrici domestiche, le disoccupate, le autonome che non siano in regola con il versamento dei contributi), nonché quelle già esentate totalmente dal pagamento dei servizi pubblici o privati per l'infanzia o che già usufruiscano del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità. Il periodo in cui si può utilizzare lo strumento coincide con gli 11 mesi successivi al termine del congedo di maternità per le lavoratrici dipendenti mentre risulta individuato nel primo anno di vita del bambino per le lavoratrici autonome. 

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