Jobs Act, E' illegittimo il criterio di liquidazione dell'indennità per il dipendente licenziato con vizi formali

Bernardo Diaz Domenica, 28 Giugno 2020
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale bocciando l'articolo 4 del Dlgs 23/2015: la quantificazione dell’indennità non può considerare soltanto gli anni di servizio del lavoratore.
La quantificazione dell'indennità dovuta al dipendente licenziato con vizi formali non può tenere conto soltanto degli anni di servizio del lavoratore. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale questa settimana, decidendo sulle questioni di costituzionalità sollevate dai tribunali di Bari e Roma sull'art. 4 del dlgs n. 23/2015. La Corte ha dichiarato incostituzionale l'articolo nella parte in cui fissa l'importo dell'indennità «pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», un criterio ritenuto eccessivamente rigido ed automatico in quanto legato al solo parametro dell'anzianità di servizio.

La questione

La decisione riguarda il nuovo regime di tutela dei lavoratori subordinati per i licenziamenti affetti da vizi formali e procedurali introdotto con il cd. Jobs Act nel 2015. Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri assunti con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 l'articolo 4 del Dlgs 23/2015 ha stabilito la corresponsione di un indennizzo economico nei casi in cui il licenziamento sia stato intimato in violazione del requisito di motivazione (art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966) o procedura (art. 7, legge n. 300/1970). In questi casi in luogo della reintegra sul posto di lavoro di cui all'articolo 18 della legge 300/70 (che continua ad applicarsi con riferimento ai soggetti già in forza al 7 marzo 2015) l'articolo 4 del predetto Dlgs 23/2015 dispone che il giudice dichiari estinto il rapporto di lavoro alla data di licenziamento condannando il datore di lavoro al pagamento di un'indennità, non soggetta a contribuzione, d'importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione per il calcolo del Tfr per anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a 12 mensilità.

Le motivazioni

Le motivazioni alla sentenza saranno depositate nelle prossime settimane ma appare abbastanza scontato che la Consulta abbia seguito il ragionamento già espresso nella sentenza numero 194/2018 con cui è stato dichiarato incostituzionale l'art. 3, comma 1, dello stesso dlgs n. 23/2015. Tale articolo nel disciplinare l'indennità dovuta dai datori di lavoro condannati d'illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giusta causa ancorava la stessa ad un importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio. In quel caso la Corte ha ritenuto in contrasto il rigido criterio di calcolo dell'indennità con il principio di eguaglianza e con quello di ragionevolezza.

L'indennizzo, in particolare, non può essere standardizzato ma deve essere liberamente apprezzabile dal giudice sulla base di fattori anche diversi dalla sola anzianità di servizio come ad esempio il comportamento e la condizione delle parti, le dimensioni dell'attività economica ed il numero di dipendenti occupati, personalizzando il danno patito dal lavoratore e garantendo una funzione dissuaditrice all'indennità contro il rischio di un licenziamento illegittimo.

La Corte, in sostanza, afferma il principio che, fermo restando gli importi minimi e massimi stabiliti dall'articolo 4 del Dlgs 23/2015, il giudice deve essere libero di stabilire l'indennità risarcitoria anche nei confronti del lavoratore licenziato per vizi formali e procedurali.

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