Nicola Colapinto

Nicola Colapinto

Nicola Colapinto, avvocato con specializzazione in diritto del lavoro, seguo le principali questioni giuslavoristiche e previdenziali per PensioniOggi.it. 

I chiarimenti in una circolare dell'Istituto Assicuratore. Aumenti dello 1,9% con decorrenza dal 1° luglio 202
In un'intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera il consigliere economico di Palazzo Chigi, Yoram Gutgeld, annuncia l'intenzione di voler rendere possibile anticipare la pensione, sia pure con un trattamento inferiore. A molti questo oggi potrebbe andar bene. E con il nostro sistema, ormai contributivo, si può».

Kamsin Yoram Gutgeld, da consigliere economico del premier, cosa la colpisce della vicenda dei vigili di Roma?
«Prima di tutto non vorrei che si facesse di tutta l'erba un fascio: abbiamo una Pubblica amministrazione che numericamente non è superiore alla media europea e che è fatta soprattutto da gente che lavora bene».

Ma...
 «Ma la vicenda romana di fatto ci ricorda che qualche problema nella gestione delle malattie nel pubblico impiego c'è se i certificati dal 2011 al 2013 sono aumentati del 27%. Tutto questo richiede una gestione più attenta anche nel rispetto dei cittadini».

Pensa che trasferire le competenze sui certificati dalle Asl all'Inps sia la cura? «È un'idea che va valutata tenendo conto degli aspetti organizzativi ed economici. I soldi sarebbero sempre pubblici ma l'Inps ha dimostrato di saperli adoperare meglio. Potremmo risparmiarci qualcosa».

La vicenda dei vigili sarà usata come grimaldello per inasprire le regole sul rendimento nel pubblico impiego? «È materia oggi oggetto di una legge delega che ha l'obiettivo di rendere la Pubblica amministrazione più efficiente».

Pensa che si possa estendere il semplice indennizzo anche ai licenziamenti disciplinari nella Pa? E con quale strumento?
 «Non voglio scendere nello specifico. Auspico che la riforma porti a usare i soldi pubblici con un criterio diverso: quello del merito, cioè dare di più a chi fa meglio e viceversa». I sindacati chiedono di intervenire sulla materia con contratto e non per decreto. «L'esecutivo è aperto ai contributi di tutti ma le norme che fa il governo poi passano per il Parlamento».

È giusto intervenire sulla struttura della retribuzione variabile quando quella fissa, oggetto anch'essa di contrattazione, è bloccata da anni? «Il momento economico è difficile, mi rendo conto. Ma è anche vero che chi lavora nella Pa ha mantenuto posti di lavoro che altri hanno perso». Intanto l'Istat prefigura per la prima volta una ripresa. «Gli elementi positivi ci sono. Alcuni sono esogeni: da un lato la riduzione del costo del petrolio che noi importiamo, dall'altro la debolezza dell'euro e il piano della Bce».

Quelli interni quali sono? «Abbiamo ridotto il costo del lavoro del 70% per i neoassunti a tempo indeterminato, e con il Jobs Act daremo una spinta interna forte per assumere di più».

Non ci sono altre misure per sbloccare la crescita? «Tutti sanno che c'è il tema europeo dello scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit, soprattutto quando questi comportano interventi dei privati. E poi c'è il nostro tentativo di correggere il dato del Prodotto interno potenziale che, secondo dati Ocse, è maggiore di quanto stimato dalla Commissione europea, con il risultato che in realtà noi già oggi non saremmo in deficit». Finora si è ottenuto poco. «Che il piano juncker, per quanto limitato, contempli che i contributi dei singoli Stati non vengano calcolati nel deficit è un primo passo. Ma c'è un altro tema che vorremmo porre all'attenzione dell'Ue».

Quale? «Quello delle pensioni: la riforma ha messo sotto controllo il sistema, allo stesso modo in cui sono sotto controllo i costi della sanità. Tutto questo crea una dinamica di lungo termine della spesa pubblica migliore di quella di altri Paesi che però non ci viene riconosciuta. Questo perché il sistema di valutazione Ue guarda la contabilità anno per anno e non tiene conto dei risparmi di lungo termine».

Quindi? «Quindi con il nostro sistema, che ormai è contributivo, se io pensiono anticipatamente un lavoratore con un trattamento inferiore a quello che gli spetterebbe, sto solo anticipando una spesa che recupererò dopo, con un rimborso a rate, non sto aumentando la spesa. .Ma l'Ue guarda solo la spesa attuale».

State già discutendo di questo in sede europea? «Lo faremo: anticipare la pensione sia pure con un trattamento inferiore a molti oggi potrebbe andar bene. Vogliamo renderlo possibile».

Farete un prelievo sulle pensioni più alte? «Non è in agenda». Finora la nostra dialettica con Merkel non è parsa diversa dalla solita contrapposizione flessibilità/austerità. «Riconosciamo che Merkel ha un fronte interno che preme. Ma la discussione sulla flessibilità ormai è in corso e con tutte le riforme che porteremo a casa saremo sempre più credibili: sono ottimista». Intanto a marzo ci attende un nuovo esame Ue sui conti pubblici.

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Entro la fine del Gennaio entrerà in vigore la Riforma della Disciplina dei licenziamenti illegittimi. Il reintegro sarà ammesso solo in casi "residuali".

Kamsin Il reintegro del lavoratore sul posto di lavoro resterà possibile solo per il licenziamento discriminatorio, per quello intimato in forma orale oppure nel caso di licenziamento disciplinare (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) quando sia accertato in giudizio che il fatto contestato al lavoratore non sussiste.  Negli altri casi, per i nuovi assunti resterà solo il meccanismo delle tutele crescenti, cioè un indennizzo proporzionato al periodo di permanenza in azienda: la misura è pari a due mensilità per ogni anno, con un minimo di quattro ed un massimo di ventiquattro. Passiamo dunque in rassegna le novità:

Licenziamenti economici - Nelle imprese con piu' di 15 dipendenti prima, con la riforma Fornero, ogni lavoratore dipendente assunto a tempo indeterminato poteva essere licenziato per ragioni «economiche» in cambio di un indennità monetaria. Ma: 1) si doveva passare per un giudice; 2) serviva molto più tempo; 3) l'azienda avrebbe speso di più (da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità, più eventuali incentivi); 4) il giudice avrebbe potuto decidere di restituire il posto di lavoro al lavoratore licenziato, cioè la tutela dell'articolo 18.

Ora, con la riforma, per chi ha già un contratto di lavoro attivo continuano a valere le regole della legge Fornero. Chi verrà assunto con un contratto «a tutele crescenti», sarà facilmente licenziabile: basterà pagare un'indennità che varia da un minimo di 4 mensilità di stipendio, e sale di 2 mensilità per anno di servizio fino a un tetto di 24 mensilità. Non si passa mai per il giudice, a meno che il lavoratore voglia cercare di dimostrare che si tratta di un licenziamento discriminatorio e nullo. La stessa disciplina riguarda anche i licenziamenti collettivi, quelli effettuati in caso di crisi aziendale.

Nelle imprese con meno di 15 dipendenti (se agricole, meno di 5) la disciplina vigente non prevede mai il reintegro in caso di licenziamento ingiustificato. C'è solo un indennizzo economico che può oscillare tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità.  Con la Riforma Renzi si prevede che per tutti i nuovi assunti in una impresa di piccole dimensioni valgono le procedure stabilite per i licenziamenti economici nelle grandi aziende: soltanto che le indennità economiche sono dimezzate. In pratica, si parte da due mesi di stipendio il primo anno, si sale di una mensilità l'anno fino a un massimo indennizzo pari a sei mesi di stipendio del lavoratore.

Novità anche sui licenziamenti disciplinari. Con la legge Fornero in alcuni casi erano i contratti collettivi, in altri un giudice, a stabilire che cosa accadeva a un lavoratore licenziato per ragioni disciplinari, se la sanzione del licenziamento era proporzionata alla colpa commessa o meno. In generale, il lavoratore poteva recuperare il posto se il fatto contestato non esisteva oppure rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa. In altri casi il lavoratore perdeva il posto, ricevendo però un indennizzo dal datore di lavoro, variabile a seconda dei casi da un minimo di 6 a un massimo di 24 mensilità di stipendio. Adesso per tutti i lavoratori assunti dopo la riforma la reintegra nel posto di lavoro diventa piu' difficile. Resterà infatti in vigore soltanto per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato, a prescindere da quello che stabiliscono i contratti.  In tutte le altre situazioni il lavoratore sarà licenziato, e riceverà in cambio una indennità economica.

Per quanto riguarda, infine, il capitolo dedicato ai licenziamenti discriminatori, la normativa attualmente vigente prevede che se il licenziamento è riconosciuto come discriminatorio (legato a orientamenti sessuali, religione, opinioni politiche, attività sindacale, motivi razziali o linguistici, handicap, gravidanza, malattia, come stabiliscono leggi e Costituzione) il lavoratore sia subito reintegrato dal giudice nel suo posto di lavoro. In più all'azienda si impone il pagamento dello stipendio maturato nel periodo di assenza obbligata per il lavoratore.  La Riforma Renzi lascia immutata questa disciplina stabilendo, però, che dagli stipendi arretrati il datore di lavoro possa detrarre quanto incassato dal lavoratore licenziato grazie ad altri lavori. Viene anche precisato che il risarcimento minimo è pari a 5 mensilità piu' i contributi arretrati. Resta ferma la possibilità per il lavoratore di andarsene comunque dall'azienda prendendosi un'indennità di 15 mensilità.

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Con effetto sui licenziamenti dal 31.12.2014, la durata della mobilità si riduce se l’età è pari o sup eriore a 40 ann. Si riduce invece l'indennità di mobilità.

Kamsin In attesa della Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego)  che entrerà in vigore «salvo intese» dal prossimo primo maggio, secondo il decreto attuativo varato dal Governo alla vigilia di Natale  dal 1° gennaio 2015 cambia la durata delle indennità di disoccupazione Aspi e miniAspi e l'indennità di mobilità.

Per Aspi e miniAspi vale, infatti, ancora il regime transitorio previsto dalla riforma Fornero del 2012, che stabilisce periodi variabili per le indennità dal 2013 al 2016. Dal 2015 in arrivo nuove regole anche per l'arco temporale massimo relativo alla mobilità, diverso tra CentroNord e Sud Italia, con una marcata penalità per i lavoratori del Mezzogiorno. Vediamo allora le novità, che riguardano nel complesso una platea di circa 300mila persone a livello nazionale (secondo le ultime domande presentate all'Inps che eroga le prestazioni), di cui quasi 200mila nel Meridione.

Dal 1° gennaio 2015 i lavoratori dipendenti che avranno perduto involontariamente l'occupazione e che abbiano un periodo contributivo di almeno un anno nell'ultimo biennio e meno di 50 anni di età avranno diritto a due mesi in più di indennità di disoccupazione, ovvero dieci mesi in tutto (erano otto nel 2014). I mesi restano invece dodici, come nel 2014, se chi ha perso il lavoro ha tra i 50 e i 55 anni. Due mesi in più anche per chi ha oltre 55 anni: per loro l'aumento della durata dell'Aspi arriverà a sedici mesi di indennità (rispetto ai 14 mesi del 2014). In pratica, per costoro, risulterà piu' conveniente essere licenziati dal 1° gennaio 2015 rispetto che nel 2014.

Dal 1° maggio 2015 l'Aspi verrà, però, assorbita nella Nuova Aspi (Naspi) e dunque chi perderà involontariamente l'occupazione da maggio vedrà nuovamente cambiare i criteri di assegnazione e di durata dell'ammortizzatore sociale. Per quanto riguarda invece l'indennità di mobilità, destinata a confluire nell'Aspi dal 2017 secondo la riforma Fornero (e per la quale il decreto non prevede novità), l'anno prossimo la durata, in caso di licenziamenti in aziende industriali o commerciali con almeno 50 dipendenti, resterà di dodici mesi per chi ha fino a 39 anni, ma si ridurrà di sei mesi (da diciotto a dodici) per chi risiede nel Mezzogiorno. Per chi ha tra 40 e 49 anni passerà da 24 a 18 mesi (da 36 a 24 nel Meridione), mentre per gli over 50 l'indennità di mobilità passerà da 36 a 24 mesi (da 48 a 36 nel Sud).

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Le domande delle lavoratrici che maturano i requisiti nel corso del 2015 non dovranno essere respinte in attesa che il Ministero del Lavoro decida sull'estensione di un anno del regime.

Kamsin La fine del 2014 riserva alcune importanti novità per quanto riguarda l'opzione donna. Com'è noto si tratta della possibilità offerta alle lavoratrici di conseguire prima la pensione in presenza cioè di almeno 35 anni di contributi e un'età non inferiore a 57 anni e tre mesi (lavoratrici dipendenti) ovvero 58 e tre mesi (autonome). Unica condizione: optare per il calcolo di tutta la pensione con la regola contributiva.

L'opzione è stata salvata dalla riforma Fornero del 2012 che ha allungato l'età per la pensione a 63 anni e 9 mesi (dipendenti del privato) e a 66 anni e 3 mesi (impiegate pubbliche). Nella circolare Inps 35/2012 l'Istituto ha precisato che le lavoratrici possono avvalersene soltanto se, entro il termine del 31 dicembre 2015, riescono a ricevere la liquidazione della pensione (cioè la decorrenza) e non solamente a maturare i requisiti (cioè il diritto). In pratica, nel calcolo del termine per l'opzione (31 dicembre 2015), deve tenersi conto anche della finestra mobile di 12 mesi per i dipendenti e 18 mesi per gli autonomi.

L'Inps con gli ultimi messaggi di dicembre diramati in proposito, ha indicato, tuttavia, che le donne che maturano i requisiti nel 2015 possono comunque presentare la domanda di pensione. Nello specifico nei messaggi, l'Ente assicuratore ha precisato che le donne lavoratrici con un'età anagrafica di 57 anni e 3 mesi e 35 di contributi, conseguiti nel corso del 2015, anche se la decorrenza del trattamento pensionistico è successiva al 31 dicembre 2015, non devono essere rigettate ma "tenute in evidenza" in attesa che il Ministero del Lavoro decida sull'eventuale stralcio dei limiti imposti dalle attuali Circolari. Le domande, pertanto, non saranno rigettate ma tenute al momento in sospeso (limitatamente a quelle provenienti dalle lavoratrici che maturano i requisiti durante l'anno 2015).

Un esempio può aiutare a comprendere cosa cambia. Prima della novità dell'Inps la domanda di pensione volta a fruire dell'opzione donna di una lavoratrice che ha raggiunto, ad esempio, i 57 anni e 3 mesi di età e 35 di contributi nel maggio 2015 sarebbe stata rigettata in quanto la decorrenza della prestazione si sarebbe verificata dal 1° giugno 2016, oltre la deadline stabilita dalla Circolare Inps 35/2012 (cioè del 31 Dicembre 2015). Ora invece la domanda non sarà rigettata ma sospesa in attesa che il Ministero decida se possono essere ammesse all'opzione donna tutte coloro che maturano i requisiti (e non la decorrenza) entro il 31 dicembre 2015. Se il Ministero aprirà alla rivisitazione dei termini le domande, tenute per ora in sospeso, potranno essere accolte.

In pratica, dunque, tutte le lavoratrici (autonome, dipendenti o del pubblico impiego) che maturano 57 anni e 3 mesi e 35 di contributi entro il 31 Dicembre potranno fare domanda di accesso all'opzione donna e attendere di conoscere l'esito del quesito posto dall'Inps al ministero del Lavoro.

L'apertura "cautelativa" dell'Inps è il risultato delle pressioni del «Comitato opzione-donna» che ha promosso la Class action contro l'Inps contro l'indebita restrizione imposta, all'improvviso, nel 2012. Le potenziali beneficiarie sarebbero circa 6 mila donne.

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