Nicola Colapinto

Nicola Colapinto

Nicola Colapinto, avvocato con specializzazione in diritto del lavoro, seguo le principali questioni giuslavoristiche e previdenziali per PensioniOggi.it. 

Con il nuovo anno si riduce la durata della mobilità in deroga. Nelle regioni in cui sarà concessa la durata non potrà superare i 6 mesi (8 mesi nelle regioni del mezzogiorno).

Kamsin Nuova stretta per la mobilità in deroga. Chi accede all'ammortizzatore sociale quest'anno potrà contare su una assistenza fino (massimo) a 6 mesi (erano 7 sino al 31 dicembre 2014). Unica eccezione è prevista per i lavoratori che risiedono nelle Aree svantaggiate del mezzogiorno (di cui al Dpr 218/1978) che potranno contare su un assegno sino ad 8 mesi sia nel 2015 che nel 2016. Sono gli effetti del recente decreto del Ministero del Lavoro 83473 dello scorso 12 agosto che ha dato una stretta agli ammortizzatori sociali in deroga in vista del loro superamento a partire dal 2017.

Quest'anno il trattamento di mobilità in deroga non potrà essere concesso ai lavoratori che hanno già beneficiato dello stesso trattamento per 3 anni o più, anche non continuativi, in passato; mentre chi sarà ammesso non potrà superare comunque i 3 anni e 4 mesi complessivi di fruizione. La mobilità in deroga, inoltre, è riservata ai lavoratori provenienti da imprese di cui all’art. 2082 del codice civile, ivi compresi i piccoli imprenditori di cui all’articolo 2083 del codice civile, che siano disoccupati e che abbiano reso la dichiarazione di disponibilità al lavoro ai sensi del D.Lgs. 181/00; è necessario inoltre avere un'anzianità aziendale di almeno 12 mesi di cui 6 di lavoro effettivamente prestato e risultare privi di altra prestazione legata alla cessazione del rapporto di lavoro (es. Aspi, Mini-Aspi o disoccupazione agricola).

Per accedere all'ammortizzatore si dovrà presentare la domanda per via telematica, alla sede inps territoriale,  a pena di decadenza entro 60 giorni dalla data del licenziamento o dalla scadenza della precedente prestazione.

Per la concessione della mobilità in deroga bisogna comunque fare riferimento agli accordi territoriali siglati nella propria regione di residenza. Quasi tutte le regioni hanno concesso l'ammortizzatore sociale con l'eccezione, per ora, solo di Piemonte e Veneto che hanno preferito dirottare le risorse a finanziare altri strumenti di sostegno. Gli assegni, come noto, vengono posti in pagamento dall'Inps con una procedura che è stata snellita dallo stesso decreto. L'Inps infatti entro 3 giorni dalla ricezione della domanda deve trasmetterla la domanda alle Regioni che devono effettuare la propria istruttoria nel giro di 30 giorni. Alla fine, il provvedimento di concessione viene trasmesso entro 5 giorni all'Istituto di previdenza che è incaricato del monitoraggio mensile di domande, prestazioni e flussi finanziari.

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Tra le novità che i tecnici di Palazzo Chigi e del ministero del Lavoro stanno valutando in vista dell'emanazione del Dlgs sul riordino delle tipologie contrattuali c'è l'abolizione del lavoro a chiamata. Il contratto potrebbe essere sostituito da un ricorso più esteso ai voucher per prestazioni discontinue e occasionali e al part-time.

Kamsin Il Governo è lavoro per l'attuazione delle altre deleghe sul Jobs Act. Dopo l'approvazione dei primi due decreti attuativi (attualmente all'esame delle Commissioni di Camera e Senato) l'esecutivo punta a chiudere la partita sul riordino delle tipologie contrattuali, altro punto caldo della legge delega 183/2014.

L'obiettivo è il graduale superamento delle collaborazioni a progetto, la cancellazione dell'associazione in partecipazione, e del lavoro intermittente (cioè i rapporti a chiamata) che sarà sostituito da un allargamento del voucher per il lavoro accessorio e dal rafforzamento del part-time verticale (per prestazioni a tempo pieno per periodi di tempo predeterminati). In arrivo anche un generale ripensamento della struttura delle collaborazioni coordinate e continuative, per renderle una forma genuina di rapporto flessibile.

Sono queste le ultime indiscrezioni provenienti da Palazzo Chigi in vista del consiglio dei ministri del 20 febbraio che, tra i tanti temi all'ordine del giorno, esaminerà il decreto attuativo del Jobs act che riguarda «il codice dei contratti, ossia la revisione delle tipologie contrattuali».

Non dovrebbero, invece, esserci modifiche sostanziali al contatto a termine, ma solo ulteriori semplificazioni normative nonostante le richieste della minoranza dem che vuole una riduzione della durata del contratto da 36 mesi a 24 mesi; una modifica per evitare che i rapporti si "configurino come periodi di prova allungati nel qual caso c'è il contratto a tutele crescenti, con i vantaggi per il datore di lavoro in termini economici e di maggiore flessibilità" ricorda Fassina.

Sull'apprendistato si va verso una robusta semplificazione degli adempimenti formativi a carico delle imprese e verso un azzeramento dei costi e delle quote obbligatorie di stabilizzazione per l'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (1° livello) e per l'alta formazione (3° livello).

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Le amministrazioni potranno riassorbire i dipendenti con vari strumenti. Il primo è il prepensionamento, secondo le regole ante Fornero, a condizione che la decorrenza della pensione si verifichi entro il 31 dicembre 2016. 

Kamsin Palazzo Vidoni conferma il ricorso al prepensionamento come prima strada per gestire il personale delle province in esubero. Secondo stime sindacali su oltre 20mila dipendenti da ricollocare saranno quasi 5mila coloro che saranno forzosamente collocati in pensione con le vecchie regole. I dettagli si sapranno però non prima del 31 Marzo, termine entro il quale le amministrazioni provinciali dovranno individuare nominativamente il personale eccedentario che dovrà essere ricollocato.

Secondo quanto previsto dalla Circolare della Funzione Pubblica 1/2015, anticipata da pensionioggi.it lo scorso 27 Gennaio, in pratica entro il 31 marzo si dovrà provvedere all’individuazione nominativa dei dipendenti in soprannumero. Si dovrà, quindi, cercare di riassorbire questi dipendenti con vari strumenti. Il primo è il prepensionamento, secondo le regole ante Fornero. Il secondo è l’inserimento nei ruoli regionali, per le funzioni in precedenza finanziate tramite trasferimenti alle province ovvero per le funzioni che la stessa Regione decida di mantenere. In quest’ultimo caso, i dipendenti provinciali assorbono le facoltà assunzionali dell’ente ricevente. Se non riesce l’operazione in Regione, si può tentare con i Comuni e, infine, con le amministrazioni periferiche dello Stato, ma in questi ultimi casi, la partita è gestita dalla stessa Funzione pubblica. I dipendenti provinciali ancora in soprannumero al 31 dicembre 2016 saranno collocati in disponibilità.

Per quanto riguarda il prepensionamento le amministrazioni potranno ricorrere a tale strumento solo a condizione che il personale, dichiarato in soprannumero, abbia maturato la decorrenza della pensione, calcolata secondo le vecchie regole pensionistiche entro il 31 dicembre 2016. Vale a dire, quindi, che i dipendenti devono aver raggiunto la quota 97,3 con almeno 61 anni e 3 mesi di età entro il 30 Dicembre 2015 oppure i 65 anni e 3 mesi e 20 anni di contributi entro la medesima data. Ciò perchè è necessario calcolare una finestra mobile di 12 mensilità. Per chi accede alla pensione indipendentemente dal requisito anagrafico, cioè con i vecchi 40 anni di contributi, i requisiti vanno maturati entro il 30 settembre 2015 (la legge 111/2011 ha infatti introdotto una finestra mobile di 15 mensilità).

Secondo quanto stabilito dalla Circolare della Funzione Pubblica 4/2014 l'ente pubblico dovrà, prima di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro chiedere all'Inps la certificazione del diritto a pensione e della relativa decorrenza. L'istituto previdenziale avrà trenta giorni di tempo per fornire la risposta richiedendo, eventualmente, l'ulteriore certificazione di eventuali periodi mancanti. Il passaggio presso l'Inps è fondamentale tanto che si specifica che la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei limiti del soprannumero potrà pertanto avvenire solo ed esclusivamente dopo aver acquisito la certificazione da parte dell'istituto di previdenza.

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L'indennizzo per la  cessazione dell'attività commerciale non può essere concesso a chi, al momento della domanda, è titolare di una pensione di vecchiaia in base a qualunque norma e da qualsiasi fondo erogata e anche quando il richiedente abbia già maturato il diritto alla pensione di vecchiaia ma non abbia ancora presentato la domanda.

Kamsin L'Inps ha precisato con il messaggio 604/2015 che l’indennizzo per la cessazione dell'attività commerciale non può essere concesso ai soggetti che al momento della domanda risultino titolari di un trattamento pensionistico di vecchiaia ai sensi di qualunque norma concesso e da qualsiasi fondo erogato. La concessione dell’indennizzo non è parimenti ammessa nelle ipotesi in cui il richiedente abbia già maturato il diritto alla pensione di vecchiaia ma non abbia ancora presentato la relativa domanda.

Inoltre, se al momento della domanda di indennizzo il richiedente risulta beneficiario di una delle disposizioni di salvaguardia per l'accesso alla pensione di vecchiaia in base ai requisiti previgenti il Dl 201/2011, l'indennizzo può essere concesso solo fino alla prima decorrenza teorica determinata dalla salvaguardia, indicata nella certificazione inviata all’interessato. Ciò a prescindere dalla circostanza che i soggetti in possesso della certificazione possono presentare la domanda di pensione in salvaguardia in qualsiasi momento successivo all’apertura della finestra. Nelle ipotesi in cui, invece, il richiedente risulti beneficiario di una delle disposizioni di salvaguardia per l’accesso alla pensione di anzianità, l’indennizzo potrà essere concesso, se ne sussistono le condizioni, fino al compimento dell’età pensionabile di vecchiaia anche qualora il beneficiario presenti domanda di pensione di anzianità e diventi titolare del relativo trattamento in corso di godimento dell’indennizzo

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Un articolo del disegno di legge di Riforma della Pubblica Amministrazione prevede il rafforzamento del telelavoro e servizi di sostegno alla genitorialità.

Kamsin Scade oggi il termine per la presentazione dei subemendamenti al disegno di legge delega di Riforma della Pubblica Amministrazione. Ad oltre cinque mesi dall'assegnazione, l'esame del disegno di legge è ancora alla discussione preliminare, un rallentamento che non piace al governo ma che è "inevitabile" secondo quanto affermato dal Relatore al provvedimento Giorgio Pagliari (Pd) stante l'ingorgo di provvedimenti in discussione al Senato.

Subito dopo dovrebbero seguire le discussioni sui singoli emendamenti e le conseguenti votazioni. Nella circostanza il condizionale appare d'obbligo se si considera che tra i membri della commissione, come si evince chiaramente dai resoconti parlamentari, i pareri sono tutt'altro che univoci. Prevarrà, come sempre più spesso sta accadendo, l'orientamento deciso dal governo.

Sul disegno di legge in esame, una delle principali novità per i dipendenti pubblici riguarda l'art. 11, rubricato come "promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche".

L'articolo prevede infatti che le amministrazioni pubbliche, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adottino misure organizzative per il rafforzamento del telelavoro e dei meccanismi di flessibilità dell’orario di lavoro, stipulino convenzioni con asili nido e provvedano, anche attraverso accordi con altre amministrazioni pubbliche, per servizi di supporto alla genitorialità, aperti duranti i periodi di chiusura scolastica.

Nel provvedimento si fa specifico riferimento al rafforzamento del lavoro ripartito, orizzontale o verticale, tra dipendenti - istituto (noto anche come job sharing) nel quale due lavoratori assumono in solido l'adempimento di un'unica obbligazione lavorativa. Inoltre, si prevedono la definizione di obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro, anche nella forma del telelavoro misto (o smart working), e la sperimentazione di forme di co-working (termine con cui si fa riferimento alla condivisione di un ambiente di lavoro da parte di lavoratori dipendenti da diversi datori di lavoro o anche parasubordinati ed autonomi o imprenditori). Spetterà però ad una direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri la definizione degli indirizzi per l’attuazione della norma.

Sempre per sostenere la conciliazione della vita-lavoro si prevede il rifinanziamento del Fondo per l’organizzazione e il funzionamento di servizi socio-educativi per la prima infanzia presso enti e reparti del Ministero della difesa e modifica la disciplina dell'ambito dei relativi soggetti destinatari; riguardo a quest'ultimo, il provvedimento conferma che esso concerne tutti i minori di età fino a 36 mesi, introducendo un criterio di priorità per i minori figli di dipendenti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, per i minori figli di dipendenti delle amministrazioni locali e per i minori che non trovino collocazione nelle strutture pubbliche comunali. Il rifinanziamento è pari a 2 milioni di euro per il 2014 ed a 5 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016.

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