Lavoratori precoci, un'uscita a 41 anni di contributi sarebbe un giusto compromesso

Erica Venditti Giovedì, 02 Luglio 2015

Non si placano le discussioni intorno alla riforma pensioni e alla tanto attesa flessibilità in uscita, il tormentone pare essere divenuto negli ultimi tempi 'contributivo sì o contributivo no?' Moltissimi gli esponenti politici che si sono schierati a favore della proposta di Boeri: Zanetti, Draghi, Pisauro, Treu, sono tutti concordi col fatto che chiunque voglia accedere prima alla pensione debba necessariamente rinunciare ad una parte del proprio assegno pensionistico.

La logica di fondo potrebbe anche avere in sé un principio nobile e lungimirante: vista l'aspettativa di vita crescente, chiunque decida di andare in pensione prima dovrà accontentarsi di percepire un assegno più basso in quanto peserà per più anni sull'Inps facendo lievitare le spese di bilancio. Di conseguenza per evitare che i giovani di oggi restino privi un domani di una pensione decorosa è bene che tutti percepiscano in base ai contributi versati.

Cosa non convince però di tale logica?
1. Gli assegni d'oro e le 'maxi' pensioni di coloro , principalmente politici e manager, che hanno lavorato per pochi anni non dovrebbero esistere. Se si chiedono sacrifici ai 'comuni' lavoratori il ragionamento dovrebbe essere esteso a tutti!! Dunque al via il ricalcolo contributivo per quanti percepiscono pensioni da 'nababbi' avendo in realtà lavorato per pochi anni. Siamo certi che già così lo Stato otterrebbe un bel gruzzoletto da poter reinvestire per le misure a favore della flessibilità in uscita, che al momento parrebbero in standy proprio a causa di una carenza di risorse finanziarie.

2. Via i vitalizi ossia addio alle rendite concessa al termine del mandato parlamentare che si protraggono "vita natural durante", al conseguimento di alcuni requisiti di anzianità di permanenza nelle funzioni elettive e stop al cumulo dei vitalizi (Nel caso in cui il beneficiario abbia svolto l'attività politica presso più organi costituzionali, ha il diritto a percepire altrettanti vitalizi e, nel caso di mandato anche al Parlamento Europeo, si possono cumulare anche tre vitalizi). Perché è ora di darci un taglio? Il carattere distintivo del vitalizio, rispetto alle altre provvidenze dello Stato, è che arriva a restituire oltre 7 volte i contributi previdenziali ad esso correlati ossia versati dal beneficiario o dall'ente statale. Dunque un privilegio del tutto fuori luogo se si deve ricevere una quiescenza in base ai contributi versati.

3. Treu intervistato dal Sussidiario .net ha precisato che la flessibilità italiana per essere concessa e funzionare dovrebbe equipararsi a quella francese: dunque i lavoratori dovrebbero rinunciare al 5-6% dell'assegno per ogni anno di anticipo. In buona sostanza chi decidesse di ritirarsi a 62 anni dovrebbe 'lasciare sul campo ' circa il 30% della proprio assegno pensionistico finale. Peccato però che si dimentichi di fare un altro importante confronto la Francia ossia: Per un parlamentare l'importo lordo della pensione mensile ottenibile dopo l'esercizio di un mandato di 5 anni ammonta ora, compresi oneri complementari, a 1.129 euro ed è stato vietato il cumulo fra pensione parlamentare e pensioni professionali, pubbliche o private (ma non è vietato il prosieguo in attività private).

4. Perché escludere la Quota 41 per i precoci che rispecchia in pieno quanto chiesto dallo stesso Treu e da quanti hanno appoggiato la logica di Boeri? Se i lavoratori e con questi intendiamo tutti indistintamente dalla posizione ricoperta nel corso della propria vita (parlamentari, operai, impiegati, manager, etc..) devono accedere alla pensione percependo in base ai contributi versati, nessuno più dei lavoratori precoci ( che hanno iniziato a lavorare a 14/15/16 anni) ha acquisito quel diritto. Che importa ora al Governo se hanno meno di 60 anni?

Forse non si è tenuto conto che l'Inps ha percepito in passato contributi da quei lavoratori bambini, che oggi hanno alle spalle già 40-41 anni di contributi e paradossalmente rischiano di dover andare in pensione subendo una penalizzazione perché troppo giovani. Forse lo sono anagraficamente, ma solo loro sanno quanto hanno dovuto rinunciare in passato (infanzia) per avere già oggi a 58-60 anni tutti quegli anni di contributi versati! Dunque i precoci all'Inps hanno 'pagato tutto il conto ' in termini di contribuzione e di questo ne sono più che certi quelli che esausti si sono uniti su Facebook alla pagina 'lavoratori precoci uniti per i propri diritti'.

5. Non può certo pesare oggi su di loro la mancanza di risorse determinata da politiche sbagliate del passato, come quelle che hanno concesso le baby pensioni (introdotte nel 1973 dal governo Rumor) a centinaia di migliaia di italiani dipendenti pubblici che sono potuti andare in pensione con 14 anni, sei mesi e un giorno di attività lavorativa se donne con prole; 19 anni, sei mesi e un giorno per gli uomini; 24 anni, sei mesi e un giorno per i dipendenti degli enti locali.

Quella sì che fu una follia economica, una grandissima ingiustizia durata quasi venti anni che fu abolita soltanto da Giuliano Amato nel 1992 ma che tuttora pesa sulle casse dell'Inps.
Quelle scelte però non possono e non devono pesare oggi su chi ha versato tutti i contributi richiesti: dunque indipendentemente dalla scelta verso cui propenderà l'esecutivo Renzi si escludano i precoci ( che hanno già versato fin troppo) e si conceda loro la Quota 41 senza penalizzazioni come proposto dal ddl 857 di Damiano. Con questo atto forse il Governo farebbe un primo passo verso la giustizia sociale e concederebbe una pensione serena a chi ha già vissuto un'infanzia difficile e chiede solo di poter invecchiare con dignità!

seguifb

Zedde

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati