Pensioni, I contributi degli autonomi si prescrivono in cinque anni

Valentino Grillo Giovedì, 12 Dicembre 2019
La mancata opposizione alla cartella di pagamento e la conseguente formazione del ruolo non determina la conversione del termine di prescrizione da cinque a dieci anni dei contributi. 
Il debitore che non si opponga tempestivamente alla cartella esattoriale avente ad oggetto la riscossione delle pretese contributive dell'Inps non subisce la conversione del termine di prescrizione da quinquennale a decennale. La scadenza dei tale termine, pacificamente perentorio, determina infatti esclusivamente la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione con conseguente irretrattabilità del credito contributivo ma non anche la conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario. Lo ha precisato la Corte di Cassazione con l'ordinanza 32077/2019 con la quale i giudici hanno respinto le pretese contributive dell'Agente di Riscossione nei confronti di un lavoratore autonomo iscritto alla gestione commercianti dell'Inps.

La questione riguarda l'interpretazione da dare all'art. 2953 cod. civ. con riguardo specifico all'operatività o meno della ivi prevista conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, nelle fattispecie originate da atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali. La controversia è se la decorrenza del termine - pacificamente perentorio - per fare opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produca soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito oppure determini anche l'effetto di rendere applicabile l'art. 2953 cod. civ. ai fini della operatività della conversione del termine di prescrizione breve (quinquennale secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995) in quello ordinario decennale in materia contributiva.

La Corte di Cassazione conferma così l'orientamento già espresso in una decisione a Sezioni Unite del 2016 (Cass. SSUU 23397/2016) ribadendo che la conversione del termine di prescrizione può verificarsi soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che dal 1° gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto. La mancata opposizione alla cartella di pagamento con la conseguente formazione del ruolo in relazione alle pretese dell'Ente della Riscossione non comporta, quindi, alcun effetto sulla prescrizione del credito contributivo previdenziale ma solo l'irretrattabilità del credito contributivo. In altri termini in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l'esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dall'art. 3, legge 335/95 invece che la regola generale sussidiaria di cui all'art. 2946 cc, e ciò in conformità alla natura di atto interno all'amministrazione attribuita al ruolo.

Per la Cassazione poi non assume alcun rilievo il richiamo all'art. 20, dlgs 112/99 che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore.

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