
Pensioni
Pensioni, stop alle consulenze a pensionati nelle Pa
Palazzo Vidoni ha pubblicato la Circolare Interpretativa del divieto di conferire incarichi a pensionati nelle Pa. Ma il divieto non è assoluto: ci sono tante eccezioni.
Kamsin Questa settimana è stato messo un altro tassello al decreto legge di riforma della pubblica amministrazione. La titolare della Funzione Pubblica, Marianna Madia, ha firmato, infatti, la Circolare 6/2014 con la quale specifica i limiti al conferimento di cariche pubbliche ai pensionati, un vincolo introdotto proprio con il Dl 90/2014, approvato la scorsa estate.
La legge ha introdotto, infatti, il divieto per le Pa ricomprese nell'elenco Istat (incluse le autorità indipendenti, la Consob, i ministeri, gli enti territoriali) di continuare ad avvalersi di dipendenti in pensione, attribuendo loro rilevanti responsabilità amministrative "per agevolare il ricambio generazionale e il ringiovanimento del personale".
Il testo della circolare, nel precisare i contorni di tale divieto, ribadisce che è vietato conferire «incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati» ai pensionati, di ogni tipo. Per il ministero l'obiettivo è quello di evitare un prolungamento del rapporto di lavoro volto ad «aggirare di fatto lo stesso istituto della quiescenza», ovvero la pensione, bloccando così l'accesso alle nuove generazioni. Ma come per ogni norma ci sono tante eccezioni. Vediamole.
Il divieto di conferire incarichi ai pensionati nelle PA non si applica, prima di tutto, ai commissari straordinari (o ai subcommissari) nominati temporaneamente al vertice di enti pubblici o per specifici mandati governativi (si pensi, ad esempio, a Tiziano Treu, nominato da poche settimane al vertice dell'Inps); sono consentiti mandati post-pensione per i prof e ricercatori, facendo così salvo il campo della docenza purchè si tratti di incarichi «reali», con un impegno didattico definito e un compenso commisurato; esclusi dal divieto anche gli incarichi nelle commissioni di concorso e di gara, quelli in organi di controllo (collegi sindacali e comitati dei revisori, purché non abbiano natura dirigenziale), così come la partecipazione a organi collegiali consultivi, come quelli delle scuole.
C'è infine una deroga generale che riguarda gli incarichi conferiti a titolo gratuito a condizione che la durata sia fissata, massimo, in un anno. Non prorogabile nè rinnovabile. Con la richiesta alle Pa di dedicare "particolare cura all' esigenza di evitare conflitti di interessi, in considerazione del rischio che l'interessato sia spinto ad accettare l'incarico gratuito dalla prospettiva di vantaggi economici illeciti".
Tramite questa eccezione le Pa potranno, quindi, attribuire un incarico gratuito a un dirigente in pensione per consentirgli di affiancare il nuovo titolare dell'incarico per non piu' di anno. La nota di Palazzo Vidoni precisa, inoltre, che il via libera all'incarico riguarda "ciascuna amministrazione". Pertanto, il dipendente pubblico potrà ricevere diversi incarichi in enti diversi, purchè ciascuno rispetti il limite di durata annuale.
Le nuove regole, chiarisce la circolare, si applicano agli incarichi conferiti a partire dalla data di entrata in vigore del decreto Pa, dunque dal 25 giugno scorso: sono salvi, di conseguenza, tutti gli incarichi attribuiti prima ai pensionati, fino al 24 giugno compreso, anche se il compenso è stato definito successivamente.
Zedde
Fonte: Circolare della Funzione Pubblica numero 6/2014
Riforma Pensioni, ecco le novità in arrivo con la Legge di Stabilità
Opzione donna, domande in standby in attesa del parere del Ministero
L'Inps ha chiesto al Ministero del Lavoro un parere circa l'estensione del regime sperimentale donna. Nel frattempo le domande di pensionamento la cui decorrenza si collochi oltre il 2015 non saranno respinte.
Kamsin Per ora nessuna proroga dell'opzione donna ma l'Inps non respingerà le domande delle lavoratrici la cui decorrenza della prestazione pensionistica dovesse essere successiva al 31 Dicembre 2015. Le domande saranno tenute in apposita evidenza, non saranno accettate nè respinte ma congelate, in una sorta di standby.
Le risoluzioni Parlamentari e il ricorso avviato lo scorso mese di Ottobre dal Comitato Opzione Donna hanno sortito almeno un effetto cautelativo e aperto alla possibilità, eventuale, del superamento delle Circolari 35 e 37 del 14 Marzo 2012. Con il messaggio inps 9304/2014 l'Istituto di previdenza pubblica ha infatti dato istruzioni alle proprie sedi di non cestinare le domande delle lavoratrici la cui finestra si aprirebbe dopo il 31 dicembre 2015, in attesa di un ulteriore parere richiesto al ministero del Lavoro.
Toccherà a quest’ultimo quindi decidere se prolungare di fatto di un altro anno il regime sperimentale rivedendo l’interpretazione restrittiva (come richiesto tra l’altro dal Parlamento), o addirittura estendere nel tempo l’esperimento: ma in questa decisione avrà un ruolo decisivo la valutazione della Ragioneria generale dello Stato, preoccupata per gli effetti in termini di maggiore spesa pensionistica.
La questione è nota da tempo. La legge Maroni (legge 243/04) ha infatti concesso alle lavoratrici con 57 anni e 35 di contributi la possibilità di andare in pensione con il calcolo contributivo sino al 2015. L'Inps però, con le sopra indicate Circolari, ha inteso che al 31 Dicembre 2015 debba essersi aperta anche la finestra mobile (12 o 18 mesi a seconda se rispettivamente si tratti di lavoratrici dipendenti o autonome) accorciando, nei fatti, di un anno o piu' il termine per la maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi. L'interpretazione, per molti illegittima, è stata piu' volte contestata ed ora l'istituto a rimesso la palla al Dicastero di Via Veneto che dovrà dare il verdetto finale.
Zedde
Pensioni, Istat: per il 41% l'assegno medio è inferiore a mille euro al mese
Pensioni, cresce la spesa ma calano gli assegni dei nuovi pensionati: in media 13.152 euro lordi l'anno. Nel 2013 in Italia il 41,3% dei pensionati ha percepito un assegno pensionistico inferiore a 1000 euro lordi al mese.
Kamsin Nel 2013 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche, pari a 272.746 milioni di euro, è aumentata dello 0,7% rispetto all'anno precedente e la sua incidenza sul Pil è cresciuta di 0,22 punti percentuali, dal 16,63% del 2012 al 16,85% del 2013. E' quanto rileva l'Istat nell'ultimo rapporto sui trattamenti pensionistici della popolazione italiana.
Le pensioni di vecchiaia assorbono oltre i due terzi (il 71,8%) della spesa pensionistica totale; seguono quelle ai superstiti (14,8%) e le pensioni assistenziali (7,9%); molto più contenuto il peso delle pensioni di invalidità (3,8%) e delle indennitarie (1,7%).
L'importo medio annuo delle pensioni è pari a 11.695 euro, 213 euro in più rispetto al 2012 (+1,9%).
I pensionati sono 16,4 milioni, circa 200 mila in meno rispetto al 2012; in media ognuno di essi percepisce 16.638 euro all'anno (323 euro in più del 2012) tenuto conto che, in alcuni casi, uno stesso pensionato può contare anche su più di una pensione.
Le donne rappresentano il 52,9% dei pensionati e percepiscono assegni di importo medio pari a 13.921 euro (contro i 19.686 degli uomini); oltre la metà delle donne (50,5%) riceve meno di mille euro al mese, a fronte di circa un terzo (31,0%) degli uomini.
Il 47,8% delle pensioni è erogato al Nord, il 20,5% nelle regioni del Centro e il restante 31,8% nel Mezzogiorno.
I nuovi pensionati (le persone che hanno iniziato a percepire una pensione nel 2013) sono 559.634, mentre ammontano a 760.157 le persone che nel 2013 hanno smesso di esserne percettori (i cessati). Il reddito medio dei nuovi pensionati (13.152 euro) è inferiore a quello dei cessati (15.303) e a quello dei pensionati sopravviventi (16.761), coloro cioè che anche nel 2012 percepivano almeno una pensione.
Circa un quarto (24,9%) dei pensionati ha meno di 65 anni, la metà (il 51,0%) un'età compresa tra 65 e 79 anni e il restante quarto (24,1%) ha 80 e più.
Il 41,3% dei pensionati percepisce un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese, un ulteriore 39,4% tra 1.000 e 2.000 euro; il 13,7% percepisce tra 2000 e 3000 euro, mentre la quota di chi supera i 3.000 euro mensili è pari al 5,6% (4,3% tra 3.000 e 5.000 euro; 1,3% oltre 5.000 euro).
I due terzi dei pensionati (67,1%) sono titolari di una sola pensione, un quarto (25,1%) ne percepisce due, mentre il 7,8% è titolare di almeno tre pensioni.
Zedde
Pensioni, così lo stop agli incarichi ai pensionati nelle Pa
La Circolare spiega il divieto di attribuire incarichi ai pensionati all'interno delle Pubbliche Amministrazioni. La norma era stata introdotta con il decreto legge di riforma della Pa la scorsa estate.
Kamsin Il divieto di conferire incarichi ai pensionati nelle PA non si applica ai commissari straordinari (o ai subcommissari) nominati temporaneamente al vertice di enti pubblici o per specifici mandati governativi; agli incarichi di ricerca e di docenza, a patto che siano “reali” e non fatti per aggirare il divieto; gli incarichi nelle commissioni di concorso e di gara, quelli in organi di controllo (collegi sindacali e comitati dei revisori, purché non abbiano natura dirigenziale), così come la partecipazione a organi collegiali consultivi, come quelli delle scuole.
E' quanto precisa la Circolare della Funzione Pubblica numero 6/2014 pubblicata oggi dal Dicastero guidato dal Ministro Marianna Madia. La Circolare precisa i contorni del divieto, introdotto dall'articolo 6 del Dl 90/2014, di affidare ai pensionati incarichi dirigenziali o direttivi, di studio o di consulenza, e cariche di governo nella pubblica amministrazione.
Lo stop, precisa la Circolare, riguarda tutti gli incarichi dirigenziali (compresi quelli di direttori delle Asl e di responsabili degli uffici di diretta collaborazione di organi politici), quelli di studio e quelli di consulenza; ma la limitazione non impedirà, tra l'altro, a chi è andato in pensione per la propria carriera di concorrere per un impiego in un altro settore della Pa, dove i limiti di età sono diversi, o di svolgere attività per incarichi che non comportano funzioni dirigenziali o direttive e siano diversi da quelli di studio o di consulenza.
Sì a incarichi gratuiti per un anno
Restano fuori dal divieto, inoltre, gli incarichi e collaborazioni attribuite a titolo gratuito, con il solo rimborso spese, per al massimo un anno. Si tratta di un’eccezione non prorogabile né rinnovabile, che serve a consentire alle amministrazioni di avvalersi temporaneamente, senza rinunciare agli obiettivi di ricambio e ringiovanimento dei vertici, di personale in quiescenza per assicurare il trasferimento delle competenze e la continuità nella direzione degli uffici.
Il divieto in vigore dallo scorso 25 giugno
La nuova disciplina, precisa la Circolare, si applica agli incarichi conferiti a partire dalla data di entrata in vigore del decreto Pa, dunque dal 25 giugno scorso: sono salvi, di conseguenza, tutti gli incarichi attribuiti prima ai pensionati, fino al 24 giugno compreso, anche se il compenso è stato definito successivamente.
Fonte: Circolare della Funzione Pubblica numero 6/2014
Zedde
Riforma Pensioni, ecco chi avvantaggia lo stop alla penalizzazione
Un emendamento al ddl di stabilità presentato dagli Onorevoli Gnecchi e Damiano consentirà ai lavoratori precoci di accedere alla pensione anticipata senza alcuna decurtazione sino al 2017.
Kamsin Diventerà legge entro fine anno l'emendamento che abolisce, o meglio sospende, la penalizzazione. Dal prossimo anno, salvo sorprese dell'ultim'ora, le regole saranno piu' semplici: tutti i lavoratori che raggiungono i requisiti per la pensione anticipata (cioè 42 anni e 6 mesi di contributi, 41 anni e 6 mesi le donne) entro il 31 Dicembre 2017, non dovranno fare piu' i conti con la penalizzazione. Una sorta di moratoria che per ora, per l'appunto, arriverà sino al 2017 ma che, molto probabilmente, sarà prorogata anche oltre nei prossimi anni non appena si troveranno le risorse nelle future manovre.
La penalizzazione di cui stiamo parlando, com'è noto, prevede un taglio dell'1% per ogni anno di anticipo sino a 60 anni e del 2% per ogni anno ulteriore rispetto all'età dei 60 anni. A conti fatti pertanto un lavoratore che ha 60 anni e decide di lasciare incorre in un taglio del 2%, taglio che sale al 4% se ha 59 anni e al 6% se ha 58 anni. Scopo della norma è, infatti, quello di incentivare il lavoratore a restare sul posto di lavoro sino, almeno, a 62 anni per limitare i costi per lo Stato.
Chi sono i beneficiari - La legge attuale prevede che le predette penalizzazioni non si applicano limitatamente a quei soggetti la cui anzianità contributiva (cioè 42 anni e mezzo o 41 anni e mezzo) sia composta da sola prestazione effettiva da lavoro (piu' alcuni, ma limitatissimi e tassativi, periodi di contribuzione figurativa: ferie, cigo, malattia, servizio di leva, congedi e permessi per l'assistenza disabili, donazione di sangue, maternità obbligatoria). Dal prossimo anno, invece, potrà essere fatta valere tutta la contribuzione, a qualsiasi titolo, accreditata.
I principali beneficiari di questa modifica sono pertanto i lavoratori che, nel corso della propria carriera contributiva, hanno avuto periodi ad esempio di disoccupazione indennizzata, mobilità, cigs, maggiorazioni contributive da amianto, da invalidità, scioperi, congedi matrimoniali, riscatto, contribuzione volontaria. Molto probabilmente la casistica sarà ulteriormente precisata dall'Inps tramite apposito messaggio. Tali periodi, secondo la legislazione vigente, devono essere infatti "recuperati" con periodi lavorativi in quanto non sono utili a "depenalizzare". Ma dal 2015 anche questi periodi saranno utili a bloccare la penalizzazione.
Il vantaggio, dunque, è evidente. Si immagini, ad esempio, un lavoratore che ha 58 anni di età e 42 anni e mezzo di contributi al gennaio 2015 di cui, però, un anno di contribuzione (figurativa) da amianto. Con la legge attuale ha tre alternative: o andare in pensione nel gennaio 2015 accettando un taglio del 6% circa sull'assegno, per sempre; o lavorare almeno un anno in piu' (se il lavoro ha la fortuna di averlo ancora) in modo da integrare 42 anni e mezzo di versamenti con contribuzione effettiva da lavoro ed andare in pensione senza penalizzazione; oppure, se ha perso il lavoro, attendere sino a 62 anni ed evitare, parimenti, la penalità.
Dal 2015, se l'emendamento sarà tradotto in legge, le cose si semplificano: il lavoratore potrà andare in pensione a 42 anni e 6 mesi di contributi nel gennaio 2015 senza incappare nella penalizzazione.
Cosa succede dopo il 2017 - Dal 1° gennaio 2018, salvo proroghe, il beneficio però viene meno. Per tutti. Torna il taglio dell'1% per ogni anno di anticipo sino a 60 anni e del 2% per ogni anno ulteriore rispetto all'età dei 60 anni. Quindi se, proseguendo l'esempio precedente, il nostro lavoratore raggiungerà i requisiti di 42 anni e 10 mesi (perchè dal 2016 scatta un adeguamento di 4 mesi alla speranza di vita) nel gennaio 2018 dovrà, per forza di cose, attendere i 62 anni per evitare un taglio del 6%.
La tabella sottostante mostra i cambiamenti se la modifica passerà definitivamente in Parlamento.
Zedde