Pensioni

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Il Ministero dell'Economia e delle Finanze si esprime negativamente circa la possibilità di estendere il regime, nella sua forma attuale, oltre il 2015.

Ancora nulla di fatto per una modifica del regime sperimentale donna di cui alla legge 243/2004. Durante il governo Letta le parti sociali e il Parlamento avevano avanzato diverse richieste affinché l'Inps rivedesse la sua posizione contenuta nella Circolare numero 35 del 14 marzo 2012 che ne ha limitato la fruizione alle sole lavoratrici la cui finestra di decorrenza sia entro il 31.12.2015.

Ieri però è arrivato il parere negativo da parte del Ministero dell'Economia circa la possibilità di estendere il regime oltre il 2015, data della sua naturale scadenza. Alla base della motivazione il Mef evidenzia non solo rischi per la finanza pubblica. Via XX settembre osserva anche che un provvedimento estensivo non appare ormai piu' compatibile con l'attuale quadro in materia di previdenza varato dal legislatore del 2011. Trattandosi infatti di una forma di pensionamento anticipato in deroga alla disciplina generale, "l'opzione donna non trova spazio nell'attuale sistema pensionistico a meno che non si ripensi la disciplina generale in materia previdenziale al fine di garantire a tutti i lavoratori una maggiore flessibilità per l'accesso al trattamento di quiescenza".

In altri termini, secondo il Mef, l'opzione donna così come è oggi concepita non può essere estesa oltre il 2015. La norma può essere modificata in senso universale, includendo cioè anche gli uomini, e prevedendo diversi requisiti di accesso al prezzo eventualmente di una penalizzazione. 

Il Mef ricorda anche che in tema di pensione anticipata l'Europa chiede al nostro paese di equiparare i requisiti per l'accesso al trattamento indipendentemente dall'età anagrafica per uomini e donne. Attualmente infatti le donne accedono al trattamento anticipato con un anno di anticipo rispetto agli uomini (41 anni e 6 mesi contro i 42 anni e 6 mesi per gli uomini).

Il ministero del lavoro comunica che i lavoratori che fruiscono dell'indennità di mobilità sono esclusi dalla quarta salvaguardia.  

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito alcune precisazioni (Prot. 14954 del 5.3.2014,) in ordine alla quarta salvaguardia (artt. 11 e 11bis del D.L. n.102/2013, convertito dalla Legge n.124/2013).

In particolare la nota specifica che rientrano nell’ambito delle ipotesi di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro di cui all’art. 11 del citato Decreto Legge: a) il licenziamento intimato al termine di una procedura di mobilità per il quale il lavoratore, regolarmente iscritto nella relativa lista, abbia sottoscritto una conciliazione individuale avente ad oggetto la rinuncia all’impugnazione del licenziamento, ferma restando, in ogni caso, l’esclusione da tale fattispecie dei lavoratori che risultino fruitori dell'indennità di mobilità, poiché rientranti in altra categoria di salvaguardati; b) le ipotesi dirisoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a tempo determinato,verificatesi prima della scadenza del contratto.

Non rientrano, invece, per contro, i lavoratori che abbiano sottoscritto accordi ai sensi degli artt. 410 e ss. del c.p.c., attesa l'intenzione del legislatore di mantenere separate le due categorie di salvaguardati e più precisamente: 1) i cessati in virtù di accordi collettivi e individuali; 2) coloro che risultino interessati da una risoluzione unilaterale.

Per i lavoratori in congedo tutelati ai sensi dell'art. 11bis, D.L. n. 102/2013, la nota ministeriale evidenzia anche la possibile applicazione della salvaguardia a coloro che, benché autorizzati precedentemente, non hanno fruito,nel corso del 2011, dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della Legge n.104/92, nonchè la possibilità di concedere la salvaguardia in esame anche ai lavoratori stessi portatori di handicap in situazione di gravità- categoria individuata dal comma 6 del medesimo art. 33, Legge n. 104/1992. A tal proposito la nota osserva che non sussistono motivi ostativi alla concessione del benefico a colui che ha usufruito dei permessi in questione, a prescindere che si tratti di un lavoratore che assiste un disabile o che sia esso stesso portatore di handicap.

Nel documento di Cottarelli sulla spending review c'è anche l'incremento dei requisiti di un anno per l'accesso alla pensione anticipata per le donne. 

Nel documento diffuso ieri sui risparmi che potrebbero essere effettuati sulla spesa pubblica per finanziare gli sconti fiscali, il Commissario Cottarelli ha messo nero su bianco anche la possibilità di una modifica della riforma Fornero del 2011. L'intervento, per ora solo proposto, prevede l'innalzamento ulteriore dei requisiti utili per l'accesso alla pensione anticipata di un anno per le donne, i requisiti passerebbero pertanto dai 41 anni e 6 mesi attuali a 42 anni e 6 mesi.

Secondo Cottarelli l'età per la pensione anticipata verrebbe in questo modo equiparata a quella prevista per gli uomini; la novità potrebbe comportare risparmi di 200 milioni di euro per il 2014, di 500 milioni di euro per il 2015 sino a raggiungere il miliardo di euro dal 2016 in poi. Secondo la Cgil la proposta "è irricevibile perchè va a penalizzare ulteriormente le lavoratrici donne che già hanno visto allungarsi notevolmente l'età pensionabile con la riforma Fornero".

Anche se per ora fonti vicine a Palazzo Chigi smentiscono che saranno attuati questi tagli è evidente che la strada si preannuncia stretta e tortuosa per Renzi che dovrà decidere entro metà aprile quali coperture presentare a Bruxelles per dare credibilità al suo piano taglia Irpef. Se per il 2014 i fondi si possono trovare senza grandi impatti sociali, il governo dovrà fornire alla Commissione europea dei tagli strutturali per almeno 10 miliardi l'anno per il futuro affinché la riduzione fiscale annunciata dall'esecutivo possa essere credibile e duratura nel tempo. E il capitolo pensioni che da solo vale oltre il 16 % del Pil pare non possa proprio essere al riparo da nuove strette.

Nel piano proposto da Cottarelli compaiono, oltre al contributo di solidarietà, una stretta alle pensioni di reversibilità, l'indennità di accompagnamento e sussidi di guerra. 

La cura da cavallo che il commissario alla spending review Carlo Cottarelli ha in programma e che sarà utilizzata per finanziare la riduzione delle tasse si arricchisce di nuovi capitoli soprattutto per quanto riguarda il settore previdenziale. 

Nei giorni scorsi il commissario aveva indicato l'introduzione di un contributo temporaneo di solidarietà per gli assegni superiori ai 2500 euro lordi mensili. Misura che non appena annunciata aveva subito suscitato diverse reazioni da parte dei sindacati e dei lavoratori costringendo il premier Renzi a smentire la proposta. Ma nel menù dei tagli che Cottarelli ha predisposto non c'è solo il contributo di solidarietà. Ci sono anche molte altre misure sul piatto che, se approvate, potrebbero costare molto caro ai pensionati italiani.

Salta subito agli occhi la proposta di innalzare da 41 anni a 42 anni l'anzianità contributiva delle donne utile per l'accesso alla pensione anticipata. Se oggi sono necessari 41 anni e 6 mesi domani potrebbero diventare 42 anni e 6 mesi. In tal modo la pensione anticipata verrebbe parificata quella degli uomini con un risparmio di 200 milioni di euro quest'anno e di un miliardo a regime. Un'altra stretta è prevista riguardo alle pensioni di invalidità. Qui Cottarelli vuole inserire un tetto massimo al reddito per poterne fruire: 30 mila euro individuali e 45 mila euro in caso di reddito familiare.

Nel piano si mettono a bilancio anche tagli sulle pensioni di guerra che costano ancora 1, 5 miliardi di euro e sulle pensioni di reversibilità che dovrebbero essere legate a specifiche fasce di reddito. Ciliegina sulla torta il Commissario mette di nuovo sul tavolo la deindicizzazione delle pensioni con una stretta a partire dal 2015. Il risparmio previsto sarebbe pari a 600 milioni nel 2015 e di 1,5 miliardi nel 2016; si ricorda che le pensioni sono state appena "reindicizzate" dal governo Letta (totalmente fino a tre volte il minimo e poi misura decrescente).

Poi c'è il capitolo "macchina statale" che secondo i piani dovrà dimagrire in modo significativo con un consistente numero di esuberi nel pubblico impiego. Cottarelli spiega che gli esuberi dipenderanno dei piani di specifici di riforma anche se ammette che i numeri in gioco sono alti: almeno di 85 mila persone per un costo complessivo di oltre tre miliardi di euro.
Il problema è talmente delicato che nel documento diffuso la questione è indicata come critica. Per Cottarelli l'idea è di partire dai prepensionamenti con l'eliminazione delle posizioni superflue e fare ricorso, ove possibile, all'istituto dell'esonero dal servizio che garantisce ai lavoratori metà stipendio ma una contribuzione piena ai fini pensionistici. Possibile anche il collocamento in disponibilità del personale in esubero con un taglio della retribuzione oppure incentivi all'uscita dal settore pubblico con finanziamenti una tantum ed il rafforzamento della mobilità obbligatoria.

Il governo dovrà stabilire se la salvaguardia dei docenti che hanno raggiunto i requisiti di pensionamento nell'anno scolastico 2011/2012 è meritevole di tutela.

Oggi è previsto il voto in Commissione Bilancio alla Camera sulla proposta di legge Ghizzoni-Marzana di cui è relatrice Barbara Saltamartini. Nell'ultima seduta la Commissione aveva già espresso parere favorevole all'unanimità sul progetto di legge 249 che consente il mantenimento delle previgenti regole di pensionamento agli insegnanti che hanno raggiunto i requisiti per l'eta' pensionabile entro la fine dell'anno scolastico 2011/2012.

La vicenda delle pensioni della scuola va avanti ormai da oltre un anno e sta provocando una spaccatura profonda tra sostenitori e detrattori dell'intervento. Da un lato c'è infatti chi difende la proposta indicando inaccettabile la discriminazione di quei docenti che hanno maturato i requisiti dopo il 31 dicembre 2011 ma pur sempre all'interno dello stesso anno scolastico di riferimento che sono costretti a restare sul lavoro per almeno altri 4-5 anni; dall'altro c'è chi ritiene prioritario destinare le risorse ad avvantaggiare gli esodati piuttosto che quei lavoratori che avrebbero comunque un salario garantito a fine mese.

Ad ogni modo presto la questione rischia di diventare una grana del governo Renzi. Il Ministero dell'Economia e la Ragioneria generale dello Stato hanno dato parere negativo al progetto di legge nei giorni scorsi ma ancora una volta i componenti della Commissione Ncd, Pd, 5 Stelle, e Sel si dicono pronti a votare a favore della proposta. Muro contro muro. In definitiva sarà dunque Renzi a dover sbrogliare la matassa ed indicare soprattutto quali risorse destinare. La proposta infatti costa circa 400 milioni la cui copertura è quantomai incerta.

Nel provvedimento si scaricano i costi sul Fondo esodati istituito dalla legge 228 2012 ma la Ragioneria dello Stato ha bocciato tale intervento. Francesco Boccia presidente della commissione Bilancio si è detto tuttavia positivo: "chiederemo al governo di dare il via libera al provvedimento. In quel caso la Commissione indicherà eventualmente altre poste".

La deroga - La proposta introduce una deroga al regime introdotto dalla cosiddetta riforma Fornero estendendo le vecchie regole di pensionamento al personale della scuola che abbia maturato i requisiti per la pensione entro l'anno scolastico 2011/2012. In pratica vengono ricompresi nel beneficio gli insegnanti che maturano i vecchi requisiti tra il 1° gennaio 2012 ed il 31 agosto 2012. 

La pensione per i beneficiari sarà posta in pagamento dal 1° settembre 2014 nel limite massimo di 4.000 soggetti. La procedura di monitoraggio prevede che l'Inps definisca un elenco numerico delle domande dei lavoratori che intendono avvalersi del beneficio basato, ai fini dell'ordine di priorità, sul criterio progressivo risultante dalla somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva vantate dei singoli richiedenti al 31 dicembre 2012.

Cgil, Cisl e Uil attaccano il governo: i pensionati italiani sono allo stremo. In 15 anni gli assegni hanno perso il 30 per cento del loro potere d'acquisto.

Sventato per il momento la possibilità di un contributo di solidarietà i pensionati protestano contro le misure approvate da Renzi. Del resto il primo ministro è stato molto chiaro: "per il momento i soldi in tasca e pensionati non li metto. Per loro non cambia nulla, non prendono di più e non danno di più a meno che non incassino cifre come 8 mila euro al mese".

Terminata quindi la querelle sulle eventualità di un prelievo extra sulle fasce medie resta aperta la questione degli sgravi Irpef garantiti ai lavoratori che guadagnano fino a 1500 euro netti al mese e non riconosciuti anche ai pensionati. 

La questione non piace ai sindacati che attaccano il governo su questo fronte. La leader della Cgil Camusso ricorda che "per favorire la ripresa il governo deve guardare ai tanti pensionati che hanno trattamenti bassi. Anche a loro è dovuta una restituzione fiscale". Una linea condivisa anche da Cisl e Uil e per i pensionati lavoratori autonomi Cupla che precisano "come la stragrande maggioranza degli assegni stia sotto i mille euro, altro che pensioni d'oro".  

Dal loro punto di vista i sindacati fanno presente che negli ultimi 15 anni le pensioni hanno perso il 30 per cento del loro potere d'acquisto eroso dall'aumento generale delle tasse e dal fatto che sono state trasformate in un nuovo amortizzatore sociale per le famiglie. "Ora però gli anziani non ce la fanno più dato che negli ultimi due anni le vendite di nuda proprietà sono incrementate del 23 per cento" ha detto il segretario Camusso.

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