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Riforma Pensioni, via la decurtazione sugli assegni anticipati
Scatterà il 1° gennaio 2015 lo stop alla penalizzazione sugli assegni dei lavoratori con meno di 62 anni di età. La misura resterà in vigore sino al 2017. Da comprendere gli effetti sugli assegni già decurtati.
Kamsin Da domani entra ufficialmente in vigore lo stop alla penalizzazione. La novità, contenuta nell'articolo 1, comma 113 della legge di stabilità 2015 (legge 190/2014), introduce una deroga rispetto al principio generale secondo cui chi accede alla pensione anticipata con un'età inferiore ai 62 anni ha una penalizzazione sulla quota retributiva della pensione. La penalizzazione scatterà, infatti, solo dal 2018.
In sostanza, quindi, chi matura i requisiti di anzianità contributiva tra il 1° gennaio 2015 ed entro il 31 dicembre 2017, otterrà sempre l'importo intero della pensione anticipata a prescindere dalla natura della contribuzione che ha dato diritto alla pensione anticipata.
La penalizzazione di cui stiamo parlando, com'è noto, prevede un taglio dell'1% per ogni anno di anticipo sino a 60 anni e del 2% per ogni anno ulteriore rispetto all'età dei 60 anni. A conti fatti pertanto un lavoratore che ha 60 anni e decide di lasciare incorre in un taglio del 2%, taglio che sale al 4% se ha 59 anni e al 6% se ha 58 anni. Scopo della norma è, infatti, quello di incentivare il lavoratore a restare sul posto di lavoro sino, almeno, a 62 anni per limitare i costi per lo Stato.
La legge nulla dice, invece, per quanto riguarda i lavoratori che già hanno subìto il taglio dell'assegno, perchè hanno lasciato prima del 2015. L'Inps, tuttavia, potrebbe ammettere al ricalcolo e quindi alla depenalizzazione dell'assegno a partire dal 1° gennaio 2015 su apposita domanda dell'interessato.
Seguifb
Zedde
Pensioni, è ufficiale lo slittamento di 4 mesi
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto interministeriale che incrementa di 4 mesi l'età pensionabile dal 1° gennaio 2016. Gli effetti riguarderanno anche i lavori usuranti e i salvaguardati.
Kamsin Come anticipato ieri da pensionioggi.it il decreto del ministero dell'Economia 16 dicembre 2014 è stato pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 30 dicembre (qui il testo del decreto 16 Dicembre 2014). Dal 2016, dunque, scatterà il secondo aumento dei requisiti anagrafici e contributivi dopo l'adeguamento avvenuto nel 2013. In particolare, per le pensioni anticipate diventeranno necessari, per gli uomini, 42 anni e dieci mesi di contributi; per le donne 41 anni e dieci mesi di contributi.
Per la pensione di vecchiaia i requisiti restano differenti per le donne del settore privato rispetto agli uomini e alle donne del settore pubblico. Gli uomini, dipendenti o lavoratori autonomi, dovranno raggiungere i 66 anni e sette mesi di età. Lo stesso requisito è fissato per le donne del pubblico impiego. Per le lavoratrici del settore privato l'aumento della speranza di vita sarà piu' elevato in quanto so cumulano gli effetti dell'innalzamento dei minimi fissati dalla riforma previdenziale per arrivare a parificare i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia. Per le dipendenti del
settore privato serviranno quindi 65 anni e sette mesi, per le autonome 66 anni e un mese.
Novità anche per i lavoratori salvaguardati e per gli usurati, cioè per coloro che si applica il sistema delle quote di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243. Dal 2016 sarà necessario perfezionare 61 anni e 7 mesi di età anagrafica ed il contestuale raggiungimento del quorum 97,6 con un minimo di 35 anni di contributi. Per gli autonomi serviranno, invece, 62 anni e 7 mesi ed un quorum pari a 98,6.
Qui il pensionometro di pensionioggi.it per verificare la data di pensione.
seguifb
Zedde
Milleproroghe 2015, ok alla proroga dei precari delle province
Le assunzioni da turnover ammesse dal decreto madia sulle cessazioni del 2013 saranno consentite anche per tutto il 2015. Arriva la proroga di un anno dei contratti per i lavoratori precari nelle province.
Kamsin Solo una ventina gli slittamenti dei termini contenuti nel decreto legge milleproroghe di fine anno approvato dal Consiglio dei Ministri della vigilia di Natale. Il provvedimento, che attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, prevede, come principale novità, la proroga di un anno dei contratti per i lavoratori precari delle province, effetto della partita che si sta giocando tra governo e sindacati sugli esuberi da ricollocare in attuazione della recente riforma Delrio.
Nel provvedimento c'è poi il prolungamento a tutto il 2015 del termine del turnover nelle Pa per assumere a tempo indeterminato a compensazione delle uscite avvenute nel 2013. Tra le misure c'è anche una disposizione per il Ministero dei Beni Culturali per il quale si prevede la possibilità di attingere fino al 2016, ai fini delle assunzioni in servizio, dalle graduatorie degli idonei a concorso. Novità anche per la giustizia con lo slittamento dal primo luglio al primo settembre 2015 del termine per la soppressione delle sedi distaccate dei Tar nei comuni senza Corte d'appello e dal primo gennaio al primo luglio 2015 della scadenza relativa all'avvio del processo amministrativo digitale.
Il Dl fissa lo slittamento alla fine del prossimo anno degli aumenti dei compensi per i manager statali che siedono nei cda, in organi di indirizzo, direzione e controllo o in organi collegiali degli enti pubblici.
Arriva , inoltre , la proroga di un anno della privatizzazione della croce rossa italiana , il posticipo al primo gennaio 2016 della remunerazione delle farmacie , la proroga delle sanzioni legate al sistri, il sistema di tracciabilità dei rifiuti.
Novità anche sul terreno istruzione con la possibilità per il ministero di erogare agli enti locali fondi per l'edilizia scolastica anche nel corso del 2015. Senza contare che le università potranno chiamare come professori associati chi ha superato l'abilitazione.
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TFS Salvaguardati, così il pagamento della buonuscita
I lavoratori salvaguardati nel pubblico impiego otterranno il pagamento della buonuscita dopo 24 mesi dalle dimissioni. La vicenda coinvolge soprattutto i 4300 lavoratori in congedo per assistere parenti disabili.
Kamsin L'Inps ha chiarito i termini di pagamento dei Tfs e Tfr dei dipendenti pubblici interessati dalle salvaguardie per l'accesso al pensionamento in base alla disciplina previgente al decreto legge 201/2011. Lo ha fatto con il messaggio inps 8680/2014 con il quale ricorda che la salvaguardia disposta dal decreto legge 201/2011 e da successive norme per particolari categorie di lavoratori, consistendo nella conservazione delle regole di accesso alla pensione precedenti il 6 dicembre 2011 (data di entrata in vigore della riforma Monti Fornero), non ha alcun effetto diretto sui termini e le modalità di pagamento dei trattamenti di fine servizio e fine rapporto per i lavoratori che accedono alla salvaguardia.
L'Inps ricorda, pertanto, che i termini di pagamento del TFS per i lavoratori salvaguardati sono quelli vigenti nel regime generale e conseguentemente, qualora non operi alcuna deroga all’applicazione della disciplina generale, si deve tener conto della causa e della data di cessazione dal servizio ai fini dell’applicazione del corretto termine di pagamento secondo le istruzioni diramate con la circolare Inps 73/2014.
La questione interessa soprattutto i lavoratori del pubblico impiego che fruiscono dei congedi e dei permessi di cui alla legge 104/1992 (2500 in quarta salvaguardia ed altri 1800 lavoratori in sesta salvaguardia). In altri termini, secondo la disciplina generale, tali lavoratori, riceveranno il pagamento dell'indennità di buonuscita, dopo 24 mesi dalla data di dimissioni volontarie. Scaduti questi termini, l’istituto ha l'onere di porre in pagamento la prestazione entro 3 mesi pena il pagamento degli interessi. Nei casi di risoluzione da parte della pubblica amministrazione e/o di raggiungimento del limite ordinamentale (65 anni) i termini vengono accorciati a 12 mesi.
Per importi superiori a 50mila euro ma inferiori a 100mila euro il pagamento sarà frazionato secondo quanto previsto dalla legge 147/2013. L'erogazione avverrà in due rate di cui la prima erogata con i termini sopra citati e la seconda trascorsi ulteriori 12 mesi. Se la prestazione dovesse risultare superiore a 100mila euro, l'erogazione avverrà in tre rate con l'ultima rata pagata dopo ulteriori 12 mesi dalla seconda erogazione.
Si ritiene, peraltro, che i dipendenti che grazie alla salvaguardia riescano a conseguire un diritto a pensione entro il 2013 i frazionamenti di 50mila e 100mila siano portati rispettivamente a 90mila e 150mila euro.
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Congedo Maternità, se la nascita non arriva nel giorno presunto
Com'è noto dopo la data effettiva del parto la madre ha diritto ad un periodo di congedo dal lavoro. Si tratta di un periodo obbligatorio di astensione dal lavoro pari a tre mesi successivi al parto, mesi che decorrono dalla data effettiva della nascita del bambino. Kamsin Molti dei nostri lettori ci chiedono cosa accade qualora, però, la madre partorisca qualche giorno prima o qualche giorno dopo la data indicata dal certificato di gravidanza. Può perdere qualche giorno di congedo mentre nell'altro guadagna invece qualche giorno? Oppure la legge opera in diverso sistema di calcolo?
Per evitare spiacevoli discussioni in azienda al rientro dalla maternità è utile sapere che in tali circostanze non si verifica nessuna perdita, al piu' ci sarà un incremento del periodo di riposo. Ad esempio se la madre dovesse partorire 5 giorni dopo la data indicata nel certificato di gravidanza, il periodo di congedo partirà dalla data effettiva del parto con la conseguenza che il periodo di congedo si dilaterà di 5 giorni in avanti rispetto a quanto originarimente previsto. Ad esempio se la madre doveva partorire il 15 gennaio 2015 ma il bambino nascerà il 20 gennaio il congedo arriverà sino al 20 aprile. Nel caso opposto, qualora la data effettiva del parto sarà 10 gennaio (cinque giorni prima): il congedo durerà comunque fino al 15 aprile (tre mesi + cinque giorni di anticipazione dall'11 al 15 gennaio). Quindi, in queste circostanze, la madre vede, in realtà allungarsi il periodo di congedo.
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Zedde
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Pensioni, ecco di quanto aumenterà l'età per la pensione
Firmato il decreto interministeriale che incrementa di 4 mesi l'età pensionabile dal 1° gennaio 2016. Per la pensione serviranno 66 anni e 7 mesi o 42 anni e 10 mesi di contributi.
Kamsin Dal 2016 bisognerà lavorare 4 mesi in piu' per agguantare la pensione. E' l'effetto del decreto interministeriale Lavoro-Economia che adeguerà tutti i requisiti necessari per conseguire la pensione alla stima di vita istat. L'adeguamento fu introdotto da una legge del 2010 (governo Berlusconi) con cadenza triennale. La riforma Fornero lo accelerò, disponendo dal 2019 scatti ogni due anni. Serve, nella logica della legge, per la sostenibilità finanziaria del sistema: più si allunga la durata della vita, più tardi si va in pensione.
Come anticipato da pensionioggi.it i ministeri confermano che il relativo decreto è stato firmato e che sarà a breve pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Dopo il primo scatto nel 2013, che fu di tre mesi, questa volta, quindi, l'aumento sarà maggiore: 4 mesi. Che si sommano sia al minimo d'età richiesto per la pensione di vecchiaia sia al minimo di anni di contributi necessario per la pensione anticipata. Pensione di vecchiaia Questo significa che dal primo gennaio 2016 ai lavoratori dipendenti, sia del privato sia del pubblico e ai lavoratori autonomi, per andare in pensione di vecchiaia non basteranno più 66 anni e tre mesi d'età, come fino alla fine del 2015, ma ci vorranno 66 anni e sette mesi (oltre a un minimo di 20 venti anni di contributi).
Stessa cosa per le lavoratrici dipendenti del pubblico impiego, mentre per quelle del settore privato l'aumento, sempre nel 2016, sarà più forte perché segue uno specifico percorso di armonizzazione previsto dalla legge, che prevede un aumento da 63 anni e 9 mesi, valido fino al termine del 2015, a 65 anni e 7 mesi. Discorso analogo per le lavoratrici autonome che passeranno dagli attuali 64 anni e 9 mesi a 66 anni e un mese dal primo gennaio 2016. Crescono, poi, i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia prevista per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 (sistema contributivo). Si passa da 63 e 3 mesi a 63 e 7 mesi.
Dal 1° gennaio 2016 aumenteranno anche i requisiti per lasciare con la pensione anticipata. Per lasciare il lavoro in anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia, gli uomini devono avere attualmente almeno 42 anni e sei mesi di contributi mentre alle donne bastano 41 anni e sei mesi. Sarà così ancora per un anno, fino alla fine del 2015. Poi dal 2016 il requisito salirà a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne.
Si ricorda, inoltre, che con la legge di stabilità (pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale), è andata in soffitta la penalizzazione - sino al 31 Dicembre 2017 - per chi, pur raggiungendo questo minimo contributivo, fosse andato in pensione con meno di 62 anni d'età.
Ecco quindi i requisiti per conseguire le prestazioni pensionistiche nei prossimi anni.

Le tabelle elaborate dalla Ragioneria generale dello Stato al momento della riforma Fornero sviluppano, infati, fino al 2050 e oltre le conseguenze della norma sull'adeguamento periodico dei requisiti alla speranza di vita. Sulla base di queste stime, peraltro confermate dallo scatto decretato per il 2016, l'età per la pensione di vecchiaia salirà progressivamente fino a 70 anni nel 2050, anno in cui gli anni di contributi necessari per accedere alla pensione anticipata saranno arrivati a 46 anni e 3 mesi.
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Quota 96, il testo della sentenza che cancella la Riforma Fornero
Una sentenza del Giudice del Lavoro di Salerno ha accolto il ricorso di 42 docenti salernitani promosso dallo Snals. Gli insegnanti potranno essere collocati in pensione con effetto giuridico dal 1.9.2012.
Kamsin ll giudice del lavoro del Tribunale di Salerno, Ippolita Laudati, ha riconosciuto con sentenza numero 31595 lo scorso 3 novembre il diritto al pensionamento di 42 prof salernitani in Quota 96, di fatto bocciando la Legge Fornero che li aveva costretti a restare in servizio. Il ricorso è stato presentato dallo Snals. Pubblichiamo di seguito il testo della sentenza del Giudice di Salerno che potrà risultare utile per altri lavoratori nella medesima situazione.
Si rammenta che si stratta di una sentenza di primo grado alla quale Miur e Inps potranno promuovere appello.
TRIBUNALE DI SALERNO - Sentenza 03 novembre 2014, n. 4216
Pubblico impiego - Comparto istruzione - Requisiti anagrafici e contributivi - Collocamento in quiescenza - Diritto a partire dal primo settembre 2012
Ragione di fatto e di diritto
Con ricorso (in riassunzione) depositato in data 11.10.2012, i ricorrenti come in premessa epigrafati, nella loro qualità di docenti attualmente in servizio, convenivano in giudizio il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ritenendo sussistente il loro diritto alla pensione dal 31.8.2012 in forza di quanto delineato dal sistema ante d.l. 201/11 conv. in L. 214/11.
L’art. 24 d.l. 201/11, al comma 3, individua quale elemento discriminante del regime applicabile la data di maturazione dei requisiti di età e di anzianità contributiva alla data del 31.12.2011: per coloro che hanno maturato il diritto entro tale termine vale il vecchio regime, per gli altri il regime successivo.
La circolare n. 2 dell’8.3.2012 del Dip. Funzione Pubblica al punto 6) prende in esame la particolarità del comparto scuola affermando espressamente che rimane ferma la vigenza degli specifici termini di cessazione dal servizio stabiliti in relazione all’inizio dell’anno scolastico per le esigenze di servizio.
Orbene, condividendo quanto già statuito da parte della giurisprudenza di merito, ad avviso dell’ufficio detta circolare appare in linea con il testo della citata legge la quale si occupa esclusivamente della riforma dei requisiti per la maturazione del diritto al trattamento pensionistico, e dunque dei fatti costitutivi del diritto a pensione, modificando le regole stabilite in precedenza con riferimento all’età ed all’anzianità contributiva.
Non sembra invece preoccuparsi dei problemi relativi ad eventuali sfasature temporali tra il momento in cui si verificano i fatti costitutivi del diritto (età-anzianità contributiva) ed il termine dal quale si può far valere tale diritto (cessando di fatto la prestazione lavorativa).
La circolare della quale si sta discorrendo distingue la data di maturazione del diritto dai termini di cessazione dei servizio, ossia distingue i fatti costitutivi del diritto a pensione dai momento afferente la decorrenza Dunque, se la legge nuova non si occupa della decorrenza, avendo presente come discrimen il momento di maturazione dei requisiti di età/anzianità, il termine di decorrenza è regolato dalla vecchia normativa.
Questo è quanto accade nel comparto scuola laddove il DPR n. 358/98 stabilisce una sfasatura tra data di maturazione del diritto e data di collocamento a riposo che coincide con la fine dell’anno scolastico, ossia il 31.8.2012 nel caso di specie.
Di questa sfasatura dà atto la circolare n. 2/12 che evidenzia che nel comparto scuola ci sono specifici termini di cessazione del rapporto a differenza di altri comparti, per cui il dipendente - pur avendo maturato i requisiti costitutivi del diritto a pensione al 31.12.2011 - deve aspettare la fine dell’anno scolastico che termina il 31.8.2012.
Poiché per evitare un disservizio e garantire la continuità didattica al docente viene "imposto" di continuare a lavorare fino al 31.8.2012, appare irragionevole che proprio in forza di questa esigenza egli subisca gli effetti (negativi o positivi poco importa) di leggi successive che modificato il suo diritto già acquisito e non ancora esercitato.
Sulla scorta delle suesposte considerazioni, il ricorso deve esser accolto e, per l’effetto, accertato e dichiarato il diritto dei ricorrenti al collocamento in quiescenza alla data dell’1.9.2012.
Spese di lite compensate in ragione del contrasto giurisprudenziale In materia.
P.Q.M.
1) Accoglie il ricorso e, per l’effetto, accertata e dichiara il diritto dei ricorrenti tutti ad esser collocati in quiescenza alla data dell’1.9.2012;
2) Compensa le spese di lite.
Motivi contestuali.
(Gdl Ippolita Laudati)
Come già anticipato da pensionoggi.it ad analoghe considerazioni era giunto nel 2012 il giudice dr.ssa Baroncini del Tribunale di Roma, collocando in quiescenza due docenti in deroga alla vigente riforma Fornero, senza che il M.I.U.R. proponesse specifico ricorso in appello. Mentre altri giudici del Lavoro si sono espressi differentemente da quelli di Roma e Salerno: in taluni casi hanno respinto la richiesta dei ricorrenti; in altri si sono dichiarati incompetenti per materia e hanno rinviato alla Corte dei Conti; in altri, ancora, hanno rinviato alla Corte Costituzionale per eventuali profili di incostituzionalità.
La Consulta, il 19 Novembre 2013, si è espressa sull’inammissibilità del ricorso per la sua formulazione: conseguentemente, due ricorsi sono stati ripresentati (da parte dei tribunali di Siena e Ragusa) e sono in attesa di sentenza della Corte stessa.
Tra le particolarità della sentenza che ci appaiono interessanti c'è il fatto che il personale ricorrente sarà posto in quiescenza dal 1° settembre 2012. Ciò dovrebbe far pensare che il tribunale abbia ritenuto inapplicabile anche l'articolo 1, comma 21 del decreto legge 138/2011 che aveva introdotto, dal 1° gennaio 2012, la finestra mobile "suppletiva" anche al comparto in parola.
Seguifb
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Pensioni, l'Inps estende i benefici della sesta salvaguardia
Una nota dell'Inps ammette alla sesta salvaguardia anche i lavoratori che maturano i requisiti anagrafici e contributivi entro i 12 mesi dal termine dell'indennità di mobilità ordinaria.
Kamsin La Direzione Centrale Pensioni dell'Inps in risposta ad un quesito presentato dall'Inca Nazionale ha interpretato in senso estensivo la disposizione di cui all'articolo 2, comma 1 lettera a) della legge 147/2014.
Si tratta del passaggio normativo che ammette ai benefici della sesta salvaguardia i lavoratori "collocati in mobilità ordinaria a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011, cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e che perfezionano, entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità, ovvero, anche mediante il versamento di contributi volontari, entro dodici mesi dalla fine dello stesso periodo, i requisiti previdenziali vigenti al 31.12.2011".
La questione posta dal patronato era relativa alla possibilità o meno di ammettere alla tutela, tra gli altri, anche quei lavoratori che avessero maturato i requisiti anagrafici utili a conseguire il diritto a pensione con le vecchie regole pensionistiche entro i 12 mesi dal termine dell'indennità di mobilità (ordinaria). La norma di legge, infatti, era poco chiara in quanto sembrava ammettere al bonus dei 12 mesi solo coloro che, attraverso la prosecuzione volontaria della contribuzione, maturassero il requisito contributivo mancante al termine dell'indennità di mobilità.
La precisazione dell'Inps indica, invece, che possono fruire della salvaguardia tutti i lavoratori che maturano i requisiti anagrafici e contributivi utili a conseguire la pensione di anzianità (o di vecchiaia) entro i 12 mesi dalla scadenza dell'indennità stessa.
Per effetto della novità, ad esempio, potrà fruire della salvaguardia anche un lavoratore che ha terminato la fruizione dell'indennità di mobilità ordinaria il 31 Dicembre 2014 e che perfeziona i 61 anni e 3 mesi di età anagrafica, necessari per maturare il quorum 97,3 (cioè la vecchia pensione di anzianità) entro il 31 Dicembre 2015.
L'inps ha indicato, inoltre, che la percezione dell'indennità di mobilità in deroga e/o l'eventuale rioccupazione dopo il termine della fruizione dell'indennità di mobilità ordinaria non è causa ostativa all'accesso alla salvaguardia in questione.
I lavoratori, per beneficiare della norma in questione, dovranno presentare domanda online all'Inps tramite la procedura webdom entro il 5 gennaio 2015.
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Documenti: Il testo della nota del 19 dicembre 2014
Aspi 2015, l'indennità di disoccupazione si allunga di due mesi
Con effetto sui licenziamenti dal 31.12.2014, la durata della mobilità si riduce se l’età è pari o sup eriore a 40 ann. Si riduce invece l'indennità di mobilità.
Kamsin In attesa della Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego) che entrerà in vigore «salvo intese» dal prossimo primo maggio, secondo il decreto attuativo varato dal Governo alla vigilia di Natale dal 1° gennaio 2015 cambia la durata delle indennità di disoccupazione Aspi e miniAspi e l'indennità di mobilità.
Per Aspi e miniAspi vale, infatti, ancora il regime transitorio previsto dalla riforma Fornero del 2012, che stabilisce periodi variabili per le indennità dal 2013 al 2016. Dal 2015 in arrivo nuove regole anche per l'arco temporale massimo relativo alla mobilità, diverso tra CentroNord e Sud Italia, con una marcata penalità per i lavoratori del Mezzogiorno. Vediamo allora le novità, che riguardano nel complesso una platea di circa 300mila persone a livello nazionale (secondo le ultime domande presentate all'Inps che eroga le prestazioni), di cui quasi 200mila nel Meridione.
Dal 1° gennaio 2015 i lavoratori dipendenti che avranno perduto involontariamente l'occupazione e che abbiano un periodo contributivo di almeno un anno nell'ultimo biennio e meno di 50 anni di età avranno diritto a due mesi in più di indennità di disoccupazione, ovvero dieci mesi in tutto (erano otto nel 2014). I mesi restano invece dodici, come nel 2014, se chi ha perso il lavoro ha tra i 50 e i 55 anni. Due mesi in più anche per chi ha oltre 55 anni: per loro l'aumento della durata dell'Aspi arriverà a sedici mesi di indennità (rispetto ai 14 mesi del 2014). In pratica, per costoro, risulterà piu' conveniente essere licenziati dal 1° gennaio 2015 rispetto che nel 2014.
Dal 1° maggio 2015 l'Aspi verrà, però, assorbita nella Nuova Aspi (Naspi) e dunque chi perderà involontariamente l'occupazione da maggio vedrà nuovamente cambiare i criteri di assegnazione e di durata dell'ammortizzatore sociale. Per quanto riguarda invece l'indennità di mobilità, destinata a confluire nell'Aspi dal 2017 secondo la riforma Fornero (e per la quale il decreto non prevede novità), l'anno prossimo la durata, in caso di licenziamenti in aziende industriali o commerciali con almeno 50 dipendenti, resterà di dodici mesi per chi ha fino a 39 anni, ma si ridurrà di sei mesi (da diciotto a dodici) per chi risiede nel Mezzogiorno. Per chi ha tra 40 e 49 anni passerà da 24 a 18 mesi (da 36 a 24 nel Meridione), mentre per gli over 50 l'indennità di mobilità passerà da 36 a 24 mesi (da 48 a 36 nel Sud).
seguifb
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Congedo Post-Partum, il beneficio può essere prolungato
In talune circostanze una lavoratrice dipendente incinta potrebbe non essere in grado di proseguire il lavoro fino al termine del settimo mese per poi assentarsi dal lavoro nei due mesi restanti. In questo caso è utile ricordare che è possibile ottenere dalle amministrazioni pubbliche l'ampliamento del periodo di lontananza dal lavoro senza, però, perdere il diritto all'indennità di maternità pagata dall'Inps. Kamsin Questa assenza anticipata può essere disposta in tre casi: a) dalla Asl, nel caso di gravi complicazioni della gravidanza o di preesistenti forme morbose che potrebbero essere aggravate dal particolare stato della donna; b) dalla Direzione territoriale del lavoro, quando le condizioni di lavoro sono di pregiudizio alla salute della donna e del bambino, oppure quando la donna, addetta a lavori pesanti, pericolosi o insalubri, non possa essere spostata ad altre mansioni.
Questo stato precario di salute della donne potrebbe poi incidere pesantemente sul parto, che comunque è sempre un rischio non legato alle precedenti vicende di salute. Perciò il testo unico sulla maternità e paternità prevede quattro casi in cui sia il padre ad avere diritto al congedo post-partum, indipendentemente dal fatto che la madre ne abbia diritto in quanto lavoratrice. Il padre ne ha diritto quando la madre abbia una grave infermità che le consente di assistere il neonato; in caso di premorienza della madre o di abbandono del figlio; in caso di affidamento del figlio in via esclusiva al padre. In queste ipotesi passa all'uomo il diritto di restare a casa fruendo della indennità Inps. Diritto che viene riconosciuto fino al terzo mese di vita del figlio o per la minore parte residua che sarebbe spettata alla madre.
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