Eleonora Accorsi

Eleonora Accorsi

Sono una giornalista freelance. Collaboro con diverse testate e blog nella redazione di notizie ed approfondimenti su materie fiscali e di diritto del lavoro. Dal 2014 collaboro con la redazione di PensioniOggi.it

Secondo l'Ex-ministro del lavoro, Elsa Fornero, il referendum è inammissibile in quanto ha effetti rilevanti sulla Finanza Pubblica.  Anche Treu propende per la bocciatura.

Kamsin Domani la Corte Costituzionale si pronuncerà sull'ammissibilità del referendum proposto dalla Lega per l'abrogazione della Riforma previdenziale del 2011.  Contraria all'abolizione l'ex-ministro del Lavoro, autrice della Riforma, Elsa Fornero che ha fatto notare come il referendum dovrebbe essere giudicato inammissibile perchè riguarda la finanza pubblica. Convinti della non ammissibilità del referendum si sono detti nei giorni scorsi anche il commissario Inps ed ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, il costituzionalista Augusto Barbera e l'esperto di previdenza Giuliano Cazzola. «Faccio fatica a pensare  afferma Fornero  che la Corte Costituzionale possa avallare una pessima politica. Questa è la democrazia  spiega se il Paese decide che vuol tornare indietro su una riforma che è severa ma ha contribuito a evitare la crisi finanziaria bisognerà trovare le risorse. È facile dire eliminiamo una riforma considerata sgradevole. È molto più difficile dire come. Fino al 2020 si prevede di risparmiare 80 miliardi. Se la legge viene abrogata bisogna dire con che cosa si sostituisce». Per Treu, autore anche lui di un'importante riforma del sistema previdenziale (la Dini nel 1995 che introdusse il sistema di calcolo contributivo poi completato con la legge Fornero) ci sono «ragionevoli motivi» per ritenere il referendum «inammissibile».

Si tratta di una materia  aggiunge  che «inerisce alla finanza pubblica» sulla quale non sono ammissibili referendum. Inoltre  spiega  alcuni effetti sull'innalzamento dell'età sono stati ammorbiditi con diversi interventi normativi compreso l'ultimo sugli ammortizzatori sociali.  Anche Barbera esprime forti dubbi sull'ammissibilità del referendum ricordando che oltre vent'anni fa la Corte disse no al quesito promosso da Rifondazione Comunista contro la riforma Amato del sistema previdenziale. «Credo che la Consulta  dice giudicherà il referendum sulla riforma previdenziale promosso dalla Lega inammissibile perchè materia strettamente legata al bilancio dello Stato». «C'è un precedente  spiega Barbera a proposito della pronuncia attesa per mercoledì 14  nel 1994 la Corte giudicò il quesito inammissibile dicendo apertamente che c'era un nesso con il bilancio dello Stato e referendum su questa materia non si possono fare.

Consultazione che, se ammessa, avrebbe anche l'appoggio della Cgil, come ribadito dal segretario Susanna Camusso: «E urgente rimediare a questa follia del prolungamento infinito dell'età di pensionamento» dice la leader del sindacato di corso d'Italia, ricordando la piattaforma messa a punto con la Uil. «Sarebbe utile che il governo aprisse un confronto con noi per cambiare la legge». E avverte: «Se non lo farà neppure per evitare l'eventuale referendum, voteremo sì».

Lo svolgimento del Referendum si potrebbe tenere, qualora la Corte darà parere positivo, entro la prossima primavera.

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Zedde

Il punto in discussione è il mantenimento del reintegro, nei licenziamenti disciplinari, che, nello schema di Dlgs, scatta solo nel caso in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.

Kamsin "Bisogna dare la possibilità anche al datore di lavoro, in caso di condanna alla reintegrazione, di optare per una sanzione economica congrua. Già oggi nei principali paesi europei, Francia, Spagna e Germania, in cui vige la tutela reale, l'impresa può sostituirla con un adeguato indennizzo". E' quanto fa sapere il relatore al decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti (primo decreto attuativo del cd. Jobs Act), Maurizio Sacconi (Ap). Il presidente della commissione Lavoro del Senato, ha presentato ieri la relazione che apre la discussione sul parere che la commissione deve dare entro 30 giorni al provvedimento.

 Stesso termine entro il quale deve esprimersi anche la commissione Lavoro della Camera, dopo di che il consiglio dei ministri varerà definitivamente il decreto. Ma a Montecitorio, invece, Cesare Damiano (Pd), presidente della commissione Lavoro, punta a modifiche di segno contrario, in particolare eliminando le nuove regole peri licenziamenti collettivi, rafforzando l'indennizzo minimo e ripristinando il criterio della proporzionalità fra infrazione commessa e licenziamento disciplinare.

Sacconi ha evidenziato, inoltre, come le nuove regole «debbano ritenersi applicabili anche ai dipendenti del pubblico impiego, con le sole eccezioni riferibili alle procedure concorsuali di accesso e alle cosiddette carriere d'ordine» (cioè magistrature, polizia, forze armate, carriere diplomatica e prefettizia); e ha chiesto pure l'esplicita estensione a tutti i rapporti a termine che, ancorchè precedenti, vengano convertiti a tempo indeterminato dopo l'entrata in vigore del Dlgs. La pensano così anche autorevoli giuslavoristi, come il senatore Pietro Ichino (Scelta civica) e la fondazione dei consulenti del lavoro.

«È inoltre auspicabile  ha proseguito Sacconi prevedere esplicitamente che venga trattato come difetto di giustificato motivo oggettivo l'ipotesi di licenziamento per esito negativo della prova, nel caso in cui il periodo di prova risulti già scaduto, o il relativo patto invalido per qualsiasi motivo». Intanto, il servizio studi del Senato, in un dossier diffuso ieri, solleva intanto numerosi punti a rischio di contenzioso, anche costituzionale. In particolare sulle norme che consentono alle aziende con meno di 15 lavoratori di superare la soglia senza più applicare, anche ai vecchi, dipendenti, l'articolo 18. 

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Zedde

Dalla fine del mese di Gennaio l'Inps inizierà ad inviare le prime certificazioni relative alla sesta salvaguardia, il provvedimento contenuto nella legge 147/2014 che consente a 32.100 lavoratori di beneficiare delle regole di pensionamento ante-Fornero. E' quanto apprende la redazione di pensionioggi.it in esito ad un approfondimento condotto presso l'Inps nei giorni scorsi. Kamsin Le domande per l'ammissione al beneficio in parola si sono chiuse lo scorso 5 gennaio anche se le DTL hanno ancora un mese di tempo per la gestione degli eventuali ricorsi e per la trasmissione delle istanze accolte all'Inps.

La principale criticità riguarda i lavoratori che hanno fruito nel 2011 dei congedi e/o dei permessi per i disabili per i quali la legge 147/2014 ha messo in palio ulteriori 1800 posti. Su questo profilo di tutela concorreranno ora anche i lavoratori che avevano presentato per la IV salvaguardia (articolo 11-bis del Dl 102/2013) le cui domande non sono state accolte per esaurimento dei posti messi a disposizione (2.500).

In merito a tale problematica il ministero del lavoro ha infatti concordato con l'Inps, tenuto conto dell’esigenza di rendere effettivi i principi di salvaguardia a tutela dei lavoratori che ne avevano diritto, di utilizzare il contingente previsto nell’ambito della VI procedura di salvaguardia per la medesima categoria di lavoratori, a vantaggio degli esclusi dalla procedura precedente ritenendo, altresì, che gli stessi non dovessero presentare nuovamente l’istanza. In altri termini è stato ritenuto possibile l’utilizzo della “dotazione numerica di 1.800 unità previste dalla cosiddetta “sesta salvaguardia” nei confronti dei lavoratori di cui all’articolo 24, comma 14, lett. e-ter del DL n. 201/2011, convertito con modificazioni in Legge n. 214/2011) in via prioritaria a favore dei soggetti, aventi i requisiti di legge, esclusi dalla “quarta salvaguardia” per incapienza della dotazione numerica".

Il rischio è che nuovamente il plafond dei 1800 posti risulti insufficiente a garantire la salvaguardia a tutti i potenziali aventi diritto. In tal caso si ipotizza che il ministero del lavoro attivi i cd. vasi comunicanti (articolo 1, comma 193 della legge 147/2013) ed utilizzi i risparmi derivanti dalle precedenti salvaguardie per ampliare il numero degli aventi diritto per legge in questo profilo di tutela. 

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Dopo il giudizio della Consulta sembra destinato a riaprirsi il cantiere sulla previdenza. L'ipotesi dell'esecutivo è di introdurre maggiore flessibilità in uscita.

Kamsin Mercoledì prossimo, la Corte Costituzionale si pronuncerà sull'ammissibilità del referendum proposto dalla Lega per l'abrogazione dell'intera riforma Fornero. Consultazione che, se ammessa, avrebbe anche l'appoggio della Cgil, come ribadito dal segretario Susanna Camusso: «E urgente rimediare a questa follia del prolungamento infinito dell'età di pensionamento» dice la leader del sindacato di corso d'Italia, ricordando la piattaforma messa a punto con la Uil. «Sarebbe utile che il governo aprisse un confronto con noi per cambiare la legge». E avverte: «Se non lo farà neppure per evitare l'eventuale referendum, voteremo sì».

In questi mesi peraltro dovrà essere formalizzato il cambio della guardia all'Inps con il parere delle commissioni parlamentari (non vincolante) sulla nomina di Tito Boeri alla presidenza dell'Istituto. Nomina che comunque sarà formalizzata dopo l'arrivo del nuovo capo dello Stato, dato che necessita di un decreto della presidente della Repubblica. Molto dipenderà dalle decisioni della Corte Costituzionale: è ovvio che dare il libera a una consultazione referendaria sulla legge Fornero aprirebbe scenari con molti interrogativi.

Indipendentemente dall'esito della Consulta è' comunque probabile che il Governo si orienti comunque su una modifica della legge Fornero. In che direzione? La linea  peraltro già espressa da alcuni esponenti del governo nei mesi scorsi va verso una maggiore flessibilità. Sembra più difficile invece l'introduzione di un sistema con un passaggio verso la pensione con un periodo di part time.

Lo svolgimento del Referendum si potrebbe tenere, qualora la Corte darà parere positivo, entro la prossima primavera.

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In Italia il costo dei contributi è mediamente il 37 per cento dello stipendio lordo. Il 29 per cento lo paga l'azienda, l'8 percento il lavoratore. In Germania, invece, il costo è decisamente inferiore e la distribuzione dei costi tra lavoratore e azienda è molto più paritetica.

Kamsin In Italia si offrono pensioni pubbliche tra le piu' ricche d'Europa al prezzo però di comprimere la busta paga dei lavoratori e la competitività delle aziende. E' quanto emerge da uno studio degli analisti Deloitte diffuso nei giorni scorsi dal quotidiano Repubblica. In altri termini, per chi ha avuto la possibilità di lavorare e accumulare i contributi, la pensione italiana è, tra quelle pubbliche, una delle più costose di tutta europa ma, allo stesso tempo, anche una di quelle più generose.

Una serie di esempi formulati dagli analisti di Deloitte che hanno messo a confronto le pensioni di tre generi di lavoratori (dirigente, operaio e autonomo) con identica carriera in Italia, Germania, Spagna e Regno Unito, spiegano perché. Si è scelto di prendere solo lavoratori che hanno cominciato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, anno in cui, con la riforma Dini, è stato introdotto il sistema pensionistico contributivo, quello cioè per cui la pensione dipende da quanto si è versato. 

Immaginiamo un dirigente nato nel 1974 che ha iniziato a lavorare nel 1999, a 25 anni, dopo l'università. Si è fatto strada in una grande multinazionale con sede in Italia e nel 2014, dopo 15 anni, può vantare un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio da 100 mila euro lordi l'anno. Dopo 45 anni di contributi, stimando  una crescita media e progressiva dello stipendio fino a 153.998 euro, nel 2044 - dopo 45 anni di contributi - dovrebbe ricevere in Italia una pensione annua lorda di circa 115 mila euro, più di tre volte rispetto a quanto prenderebbe a parità di carriera in Germania (31.614 euro), più del doppio che in Spagna (50.948 euro, il tetto massimo previsto in questo paese).

Un risultato simile lo si riscontra anche prendendo in considerazione un operaio di un'azienda italiana con la stessa anzianità lavorativa e la stessa età del dirigente ma con uno stipendio nel 2014 di 35 mila euro lordi l'anno. Immaginando anche in questo caso che nel corso della sua carriera continui ad avere la stessa crescita media della busta paga, in Italia  l'operaio dopo 45 anni arriverà a guadagnare 53.899 euro e, andando in pensione, prenderà 40.500 euro l'anno, ben più dei 15.250 euro che prenderebbe in Germania, ma meno dei 50.948 che riceverebbe in Spagna e molto, molto di più dei 6.800 che gli darebbero nel Regno Unito (dove però, probabilmente, avrebbe una pensione integrava).

Non va diversamente per un lavoratore autonomo che guadagna circa 70 mila euro lordi l'anno. Considerato un progressivo aumento di stipendio fino a 107.798 euro, dopo 45 anni di contributi in Italia prenderà 71 mila euro lordi di pensione. Anche in tal caso avrebbe un trattamento pensionistico migliore di tutti gli altri tre stati presi in considerazione.

Insomma, tra i Paesi più industrializzati d'Europa, l'Italia è l'unico paese che offre una pensione pubblica così ricca. Che però ci si paga con alti contributi mentre si lavora. In Germania, la contribuzione è decisamente più bassa, in modo da tenere più alto lo stipendio mensile, in Spagna si contribuisce ma, nelle pensioni, si cerca di spartire la ricchezza il più possibile tra tutti ponendo un tetto massimo, mentre in Inghilterra lo Stato dà solo diritto a una pensione sociale, il resto viene affidato alla previdenza complementare.

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