Bernardo Diaz

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Bernardo Diaz, dottore commercialista collabora con PensioniOggi.it dal novembre del 2015.  

I lavoratori del settore privato potranno chiedere nella busta paga il Tfr in corso di maturazione. Il decreto ha avuto il via libera del Consiglio di Stato.

Kamsin Da oggi formalmente si potrà chiedere l'anticipazione del Tfr in busta paga. Il via libera definitivo, però, arriverà con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpcm approvato la scorsa settimana dal Consiglio di Stato. Basta una semplice richiesta all'ufficio del personale della propria azienda e quel tesoretto che di solito si riscuote al pensionamento o è stato dirottato al fondo pensione, andrà ad aumentare lo stipendio di ogni mese per un arco di tre anni. Ma siccome la decisione è irrevocabile (per tre anni, sino alla scadenza del 30 giugno 2018), sarà bene farsi un po' di conti. Conviene davvero? 

Vediamo dunque di fare alcune valutazioni sui fattori che possono influenzare la scelta di circa 12 milioni di dipendenti del settore privato.

I vantaggi. L'aspetto positivo è che lo stipendio, per chi si avvale dell'opzione, sarà piu' alto. L'effetto in busta paga scegliendo l'anticipo del Tfr, sarà di circa 72 euro netti al mese per un reddito lordo di 18 mila euro l'anno, 100 euro per un reddito di 25 mila, 125 per uno di 35 mila. Fondi in piu' che in un momento di crisi possono fare comodo. E del resto è proprio questa la ragione dell'introduzione della novità.

Gli svantaggi. Sul tavolo ci sono diverse cose da tenere a mente. A cominciare dalla tassazione che sarà applicata sul Tfr fino agli effetti sul reddito Isee che rischiano di penalizzare le agevolazioni familiari, dalle rette degli asili nido alle mense scolastiche. Poi c'è il problema della minore rendita che sarà erogata dalla previdenza complementare dato che l'opzione blocca per tre anni gli afflussi ai fondi pensione. Tre sono i punti chiave da osservare.

1. Il fisco. Per quanto riguarda il prelievo fiscale, il fatto che il governo abbia deciso di sottoporre il Tfr in busta paga alla ordinaria tassazione Irpef (alla quale si aggiungono le addizionali locali), fa sì che il prelievo risulti maggiore di quello agevolato previsto sul Tfr (si applica l'aliquota media effettiva degli ultimi 5 anni di lavoro), tranne che nei casi di redditi molto bassi (il "pedaggio" che si paga al fisco è evidente nella grafica sottostante).

Ad esempio un reddi-to di 35mila euro su un Tfr annuo di 1806 euro pagherà il 38% di Irpef anziché il 25,3, uno di 23 mila vedrà invece i 1209 euro l'anno di trattamento fine rapporto tassati al 27 anziché al 23,9%. La tassazione ordinaria sarà più pesante di 50 euro per un reddito medio di 23mila e fino a 307 euro per redditi sui 35mila euro. Sarà un vantaggio per redditi entro i 15 mila euro.

2. I Fondi pensione Tra le cose che bisogna valutare bene prima di decidere per il Tfr in busta, c'è la partita relativa ai fondi pensione. Qualora un dipendente decidesse di optare per questa soluzione, in busta finirebbe anche quella parte della liquidazione che il lavoratore destina ai fondi pensione. Con il risultato che l'assegno integrativo rischierà di subire una penalizzazione tra il 10 e il 30%, a seconda del numero di anni di iscrizione al fondo.

3. Isee e detrazioni La busta paga resa più pesante dal Tfr rischia di avere effetti negativi anche sul reddito Isee che serve a usufruire di molte prestazioni sociali, dall'abbonamento agevolato al bus, alle tasse universitarie. Non solo. L'erogazione del cosiddetto Tir inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o su quelle per i familiari. Con l'anticipo del Tfr, sostengono dalla Fondazione Consulenti del Lavoro, ci sarà una ricaduta negativa (tasse in più e sgravi in meno) che potrà arrivare, per un reddito medio di 23.000 euro a 330 euro. Oltre ai 50 euro di imposte in più dovute alla tassazione ordinaria, un lavoratore con un reddito medio rischia di perdere detrazioni per 280 euro.

Bonus 80 euro La liquidazione in busta paga non inciderà sulla possibilità di ricevere il bonus 80 euro, perché le somme non contribuiranno a sfondare il tetto dei 26 mila euro previsto dalla normativa. Neanche l'imponibile previdenziale sarà influenzato dall'erogazione del Tfr in busta buga.

Infine, il lavoratore che volesse aderire all'operazione Tfr in busta paga dovrebbe anche considerare che, se è iscritto a un fondo pensione da almeno 8 anni può già ora chiedere, senza doverlo motivare, fino al 30% del montante accumulato, godendo di una tassazione più favorevole.

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La scelta tra l'uno e l'altro regime non potrà emergere dalla dichiarazione di inizio attività poiché la casella da barrare è la stessa. Sarà dunque decisivo il comportamento concludente, ossia l'indicazione in fattura delle differenti norme che permettono l'esclusione dall'Iva nel regime dei minimi e nel forfettario.

Kamsin Con la conversione definitiva del decreto legge milleproroghe 2015 quest'anno sarà ancora possibile iniziare un'attività d'impresa o di lavoro autonomo optando per il regime fiscale di vantaggio di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, del dl n. 98/2011. Il regime dei minimi ad aliquota dell'imposta sostitutiva del 5% trova dunque nuova vita dopo che la legge di Stabilità per il 2015 (legge 190/2014) ne aveva inizialmente decretato la definitiva soppressione a far data dal 31 dicembre 2014.

Per tutto il 2015 quindi coesisteranno i due regimi ad aliquota sostitutiva che in un primo momento sembravano destinati a un avvicendamento fra loro: il regime dei minimi a imposta sostitutiva del 5% e il regime forfettario con imposta sostitutiva del 15%. Ma come si scelgono? L'opzione per il regime agevolato dovrà essere sempre effettuata in sede di inizio dell'attività d'impresa o di lavoro autonomo. Al momento della dichiarazione di inizio attività in entrambi i casi occorre barrare la casella del regime di vantaggio (inteso come quello dei minimi al 5%), per effetto di quanto indicato dall'agenzia delle Entrate nel comunicato stampa del 31 dicembre scorso.

Non essendo però prevista espressamente tale possibilità di scelta all'interno dei modelli da utilizzare per l'apertura della partita Iva (l'unica casella da barrare è, per l'appunto, quella del regime di vantaggio ex dl 98/2011), i contribuenti finiranno per distinguersi in vecchi minimi o nuovi forfettari soltanto sulla base del loro comportamento concludente durante l'esercizio 2015.  Così sulla prima fattura emessa bisognerà indicare la diversa norma che permette l'esclusione dall'applicazione dell'Iva: l'articolo 1, comma 100, della legge 244/2007 per i minimi; l'articolo 1, comma 58 della legge 190/2014 per i nuovi forfettari. Comportamento concludente che si estrinsecherà anche da altri connotati, quali per esempio, la non applicazione delle ritenute di acconto nella qualità di sostituti d'imposta che vige solo per i nuovi forfettari previsti dalla legge di stabilità 2015.

Il problema riguarda, però, coloro che a gennaio e febbraio hanno già emesso documenti fiscali e che dovranno essere messi in condizione di poter rettificare la scelta effettuata. In sostanza che cosa può fare chi nel 2015 ha già emesso fatture con l'indicazione di volersi avvalere del forfettario e che intende ora optare per i minimi al 5 per cento? In attesa di chiarimenti ufficiali dalle Entrate secondo i tributaristi sarebbe sufficiente riscrivere il titolo di esclusione da Iva sulle fatture di vendita, attestando il regime fiscale correttamente adottato. In questo caso, può rivelarsi ulteriormente utile supportare (e conservare) la sostituzione della fattura con la corrispondenza in trattenuta nei confronti della controparte. Per gli stessi soggetti andrà inoltre chiarito come
revocare l'opzione per l'agevolazione contributiva per i lavoratori autonomi, laddove sia stata già esercitata sulla base delle indicazioni della circolare Inps 29/2015.

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Dal 1° marzo i lavoratori del settore privato potranno chiedere nella busta paga il Tfr in corso di maturazione. Il decreto ha avuto il via libera del Consiglio di Stato.

Kamsin Il decreto che stabilisce le modalità della richiesta del tfr in busta paga, misura introdotta nella legge di stabilià 2015 ha ricevuto alcuni giorni fa l'ok del Consiglio di Stato ed entro la fine di questa settimana il testo sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Circa 12 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato saranno messi di fronte a una scelta. Continuare a impiegare gli accantonamenti annuali del Tfr (trattamento di fine rapporto) come si è fatto finora, cioè lasciandoli in azienda (o nel fondo Inps, per le imprese con più di 50 dipendenti) ai fini della liquidazione al momento del pensionamento, oppure destinandoli al finanziamento di un fondo pensione integrativo? O invece, ed è questa la novità, dirottare gli stessi accantonamenti in busta paga, aumentando così il proprio stipendio, ma ovviamente riducendo l'importo della futura liquidazione o pensione complementare?

Secondo quanto stabilito dalla legge di Stabilità chi vorrà, potrà chiedere con un apposito modulo al proprio datore di lavoro di versare il Tfr maturando in busta paga. Questa scelta si potrà compiere a partire dal primo marzo prossimo e fino alla metà del 2018. L'azienda, quindi, gli verserà la quota mensile di Tfr in ogni stipendio fino a giugno 2018, quando la sperimentazione si chiuderà. È evidente che nel fare la sua scelta il lavoratore terrà conto di molteplici fattori e non solo dell'aspetto fiscale.

I vantaggi. L'aspetto positivo è che lo stipendio, per chi si avvale dell'opzione, sarà piu' alto. L'effetto in busta paga scegliendo l'anticipo del Tfr, sarà di circa 72 euro netti al mese per un reddito lordo di 18 mila euro l'anno, 100 euro per un reddito di 25 mila, 125 per uno di 35 mila. Fondi in piu' che in un momento di crisi possono fare comodo.

Gli svantaggi. Sul tavolo ci sono diverse cose da tenere a mente. A cominciare dalla tassazione che sarà applicata sul Tfr fino agli effetti sul reddito Isee che rischiano di penalizzare le agevolazioni familiari, dalle rette degli asili nido alle mense scolastiche. Poi c'è il problema della minore rendita che sarà erogata dalla previdenza complementare dato che l'opzione blocca per tre anni gli afflussi ai fondi pensione. In ogni caso, inoltre, la scelta è irrevocabile e quindi sino al 30 giugno 2018 non si potrà tornare indietro.

1. Il fisco. Per quanto riguarda il prelievo fiscale, il fatto che il governo abbia deciso di sottoporre il Tfr in busta paga alla ordinaria tassazione Irpef (alla quale si aggiungono le addizionali locali), fa sì che il prelievo risulti maggiore di quello agevolato previsto sul Tfr (si applica l'aliquota media effettiva degli ultimi 5 anni di lavoro), tranne che nei casi di redditi molto bassi (il "pedaggio" che si paga al fisco è evidente della grafica sottostante).

2. I Fondi pensione Tra le cose che bisogna valutare bene prima di decidere per il Tfr in busta, c'è la partita relativa ai fondi pensione. Qualora un dipendente decidesse di optare per questa soluzione, in busta finirebbe anche quella parte della liquidazione che il lavoratore destina ai fondi pensione. Con il risultato che l'assegno integrativo rischierà di subire una penalizzazione tra il 10 e il 30%, a seconda del numero di anni di iscrizione al fondo.

3. Isee e detrazioni La busta paga resa più pesante dal Tfr rischia di avere effetti negativi anche sul reddito Isee che serve a usufruire di molte prestazioni sociali, dall'abbonamento agevolato al bus, alle tasse universitarie. Non solo, l'erogazione del cosiddetto Tir inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o su quelle per i familiari. Con l'anticipo del Tfr, sostengono dalla Fondazione Consulenti del Lavoro, ci sarà una ricaduta negativa (tasse in più e sgravi in meno) che potrà arrivare, per un reddito medio di 23.000 euro a 330 euro. Oltre ai 50 euro di imposte in più dovute alla tassazione ordinaria, un lavoratore con un reddito medio rischia di perdere detrazioni per 280 euro.

4. Bonus 80 euro La liquidazione in busta paga non inciderà sulla possibilità di ricevere il bonus 80 euro, perché le somme non contribuiranno a sfondare il tetto dei 26 mila euro previsto dalla normativa. Neanche l'imponibile previdenziale sarà influenzato dall'erogazione del Tfr in busta buga.

Infine, il lavoratore che volesse aderire all'operazione Tfr in busta paga dovrebbe anche considerare che, se è iscritto a un fondo pensione da almeno 8 anni può già ora chiedere, senza doverlo motivare, fino al 30% del montante accumulato, godendo di una tassazione più favorevole.

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Il diritto all'indennità di maternità non verrà bloccato dal mancato pagamento dei contributi alla gestione separata dell'Inps da parte del committente.

Kamsin La maternità arriverà anche per le co.co.co. In attesa della soppressione di questa figura contrattuale la bozza attuativa del Jobs Act, prevede, anche se solo per il 2015, una sorta di estensione ai parasubordinati del principio cd. di automaticità delle prestazioni in base al quale, anche se il datore di lavoro non ha versato tutti i contributi dovuti sulle retribuzioni, i dipendenti conservano comunque il diritto alle prestazioni. Lo stesso principio non vige per la gestione separata Inps, anche se al versamento dei contributi devono provvedere i committenti (al pari dei datori di lavoro) nel caso di co.co.co. e co.co.pro.

Con riferimento all'indennità di maternità, l'articolo 13 della bozza del provvedimento approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri prevede che i lavoratori e le lavoratrici, non iscritte ad altre forme obbligatorie, conservano il diritto al trattamento economico anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi da parte del committente.

Altra novità degna di nota riguarda l'estensione del congedo di paternità ai lavoratori autonomi, in caso di non fruizione da parte delle proprie congiunte, anch'esse lavoratrici autonome e imprenditrici agricole. Il T.u. maternità, si ricorda, prevede la corresponsione di un'indennità giornaliera a favore di tali lavoratrici per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto, per una durata di cinque mesi: due prima e tre dopo il parto. La riforma prevede che la stessa indennità spetti al padre, anch'egli lavoratore autonomo, per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre lavoratrice autonoma o per la parte residua in caso di morte o di grave infermità ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

Stessa estensione di tutela riguarda i professionisti. In base all'attuale disciplina, le libere professioniste hanno diritto ad un'indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa. La riforma prevede che la stessa indennità vada riconosciuta al padre libero professionista per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre libera professionista o per la parte residua, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

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La Naspi potrà essere fruita anche dai lavoratori che hanno presentato le dimissioni per giusta causa. Sostituirà l'Aspi, la Mini-Aspi e, dal 2017, l'indennità di mobilità ordinaria. 

Kamsin La Naspi sarà sempre piu' un ammortizzatore universale destinato ad inglobare la maggior parte dei sostegni economici attualmente erogati nei confronti dei lavoratori dipendenti che hanno perso il lavoro. E' questo il disegno che emerge nel decreto legislativo attuativo per il riordino dell'intera normativa in materia di ammortizzatori sociali licenziato dal Consiglio dei ministri di venerdì scorso.

L'ammortizzatore unico. La Naspi sarà applicabile a tutti i lavoratori che abbiano perduto involontariamente il lavoro a decorrere dal 1° maggio 2015 e sostituirà, dalla stessa data, le prestazione di Aspi e miniAspi introdotte dalla Legge Fornero. Il regime sarà pertato riunificato in un unico ammortizzatore che assorbirà, dal 2017, anche i lavoratori che attualmente percepiscono l'indennità di mobilità ordinaria (legge 223/1991), il trattamento speciale edile e tutti i trattamenti in deroga che saranno soppressi.

I destinatari. L'ammortizzatore sarà applicabile a tutti i lavoratori dipendenti, con la sola esclusione degli assunti a tempo indeterminato dalle pubbliche amministrazioni e degli operai agricoli per i quali continua a trovare applicazione una normativa ad hoc. Per accedere è necessario poter far valere almeno 13 settimane di contribuzione nel quadriennio precedente l'inizio del periodo di disoccupazione e, contestualmente, far valere 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi che precedono il periodo appena citato. Naturalmente è necessario essere in stato di disoccupazione ai sensi del dlgs 181/2000.

Il perimetro della tutela sarà tuttavia piu' ampio. Potranno fruire del sostegno sia quei lavoratori che hanno perso involontariamente il posto di lavoro, sia in caso di dimissioni per giusta causa (ad esempio il mancato pagamento della retribuzione; l'aver subito molestie sessuali nel luogo di lavoro; il non accettare modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative; il Mobbing; ecccetera) nonché nelle ipotesi di risoluzione consensuale sottoscritta presso la Dtl in seno al tentativo obbligatorio di conciliazione introdotto dalla riforma Fornero. 

La NASPI spetterà anche nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, cioè nei casi di conciliazione con esito positivo. 

La misura. L'importo della Naspi sarà rapportato alla retribuzione imponibile previdenziale degli ultimi quattro anni e ancorata a un sistema di calcolo che porta l'indennità concedibile sino ad massimo di 1.300 euro, con un decremento del 3% mensile a decorrere dal quarto mese di fruizione. Il tutto per un periodo pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni, al netto dei periodi contributivi utilizzati per la percezione dell'indennità di disoccupazione. A decorrere dal 1° gennaio 2017 la Naspi non potrà essere corrisposta per un periodo che ecceda le 78 settimane.

La Richiesta. Nulla cambia sulle modalità di richiesta, visto che in ogni caso la richiesta sarà telematica con le relative tempistiche, 68 giorni oltre il quale si va in decadenza, e decorrenza: dall'ottavo giorno della cessazione del rapporto di lavoro se la richiesta viene presentata in tale intervallo ovvero dal primo giorno successivo alla data di presentazione negli altri casi.

Condizioni per beneficiare della Naspi saranno la partecipazione del beneficiario a iniziative di attivazione lavorativa ovvero a percorsi di riqualificazione, ma anche attività di politiche attive per ricollocarsi sul mercato del lavoro le cui azioni verranno definite da un decreto ministeriale entro 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto.

Nell'intero sistema di riordino, infine, rientra anche il Contratto di ricollocazione, ovvero una dote individuale spendibile presso i soggetti accreditati al fine di trovare, in tempi rapidi, un'occupazione stabile. L'intera procedura sarà curata dal soggetto accreditato e l'assegno di ricollocazione sarà incassato solamente a occupazione avvenuta. Un insieme di misure, quindi, che riorganizzano in un tutt'uno le politiche attive e passive del lavoro che si inseriscono nel più ampio disegno di riforma del mercato del lavoro rappresentato dal Jobs Act.

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