In questo quadro, pertanto, non possono essere poste a fondamento della determinazione dell'inabilità le tabelle previste per la valutazione dell'invalidità civile. Queste ultime, del resto, vengono dettate per accertare la diminuzione permanente della capacità di lavoro generica per tale intendendosi la capacità di esercitare proficuamente un lavoro che impegna la persona umana nelle sue componenti psico-fisiche e nella sua dignità. Nel caso in parola, invero, l'inabilità deve essere accertata secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento dell'astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell'art. 36 Cost. e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico (Cass. 26181/2016).
Quanto detto comporta che lo svolgimento dell'attività lavorativa fa presumere, dunque, l'inesistenza della totale inabilità e quindi non consente il conseguimento della pensione ai superstiti (e se la prestazione è stata conseguita ne determina la sua decadenza). A tal riguardo bisogna tuttavia segnalare, che il legislatore con espressa disposizione normativa (articolo 8, comma 1-bis della stessa legge 222/1984) ha previsto un'eccezione a tale principio. Esso ha disposto la non rilevanza ai fini del riconoscimento della pensione superstiti l'attività lavorativa con orario non superiore a 25 ore settimanali svolta con finalità terapeutica dei figli riconosciuti inabili, presso le cooperative sociali di cui alla legge 381 del 1991, ovvero presso datori di lavoro che assumono tali soggetti con convenzione di integrazione lavorativa ai sensi della legge per il collocamento dei disabili (articolo 11 legge 68/1999) attraverso contratti di formazione e lavoro, contratti di apprendistato o con le agevolazioni previste per l'assunzione di disoccupati di lunga durata. In tali circostanze, pertanto, il figlio inabile può percepire un piccolo reddito mensile cumulandolo con la reversibilità del dante causa.
Bisogna menzionare, inoltre, dello stato di inabilità in cui in parola deve sussistere al momento della morte del lavoratore o pensionato, a nulla rilevando eventuali aggravamenti dello stato di salute del superstite che siano intervenuti dopo la morte del familiare. Il venir meno dello stato inabilità fa, inoltre, cessare il diritto alla prestazione previdenziale ai superstiti in quanto inabili.
Una ulteriore condizione per il riconoscimento della prestazione previdenziale a favore dei superstiti in favore dei figli inabili maggiorenni, è determinata nella circostanza che, alla data del decesso del dante causa, fossero a suo carico. Tale requisito deve essere accertato attraverso il possesso congiunto di due condizioni: a) la non autosufficienza economica del figlio e; b) dal mantenimento abituale del superstite da parte del dante causa.
Non autosufficienza economica
In caso di figli maggiorenni inabili superstiti ai fini dell’accertamento del requisito di non autosufficienza economica si fa riferimento al rispetto di un determinato livello di reddito annuo che non deve essere superato. Esso è pari nel 2019 a 16.814 euro annui. Per i percettori dell'indennità di accompagnamento il predetto limite deve essere aumentato dell’importo dell’indennità stessa. E pertanto il limite di reddito risulta pari a 23.028 euro. Ai fini dell’accertamento dei limiti decritti, devono essere presi in considerazione i soli redditi assoggettati all’IRPEF, con esclusione dei redditi esenti (pensioni di guerra, provvidenze economiche in favore di minorati civili) o comunque non computabili agli effetti dell'IRPEF (rendite INAIL), secondo quanto stabilito dall’ articolo 14-septies della legge 29 febbraio 1980, n. 33. Resta inteso che nel caso di figlio inabile coniugato, il diritto alla pensione in favore del medesimo è subordinato alla circostanza che il figlio inabile, non disponendo il coniuge di mezzi sufficienti al suo mantenimento, risulti a carico del genitore alla data del decesso di quest’ultimo. Quindi, in tale ipotesi ai fini della verifica del requisito del carico devono essere anche valutati gli eventuali redditi del coniuge.
Mantenimento abituale da parte del deceduto
Ai fini del mantenimento abituale occorre accertare che il dante causa concorreva in maniera rilevante e continuativa al mantenimento del superstite. Tale condizione si desume dall’effettivo comportamento di quest’ultimo nei confronti dell’avente diritto. Ebbene se il figlio inabile conviveva con l'assicurato (cioè condivideva sia il tetto che la mensa) l'Inps prescinde dalla verifica del mantenimento abituale. Se il figlio non conviveva bisogna invece accertare, anche mediante un esame comparativo dei redditi del dante causa e del superstite, se il primo concorreva effettivamente in maniera rilevante e continuativa al mantenimento del figlio non convivente. Non è richiesto però che l’assicurato o pensionato deceduto provvedesse in via esclusiva al mantenimento del figlio non convivente. Ad esempio si può dimostrare che il pensionato deceduto provvedeva al pagamento delle utenze elettriche dell'appartamento, al pagamento del condominio, acquisto dei medicinali per le cure terapeutiche, eccetera. In tali ipotesi si può sostenere che il figlio inabile era economicamente dipendente dal dante causa. Una ipotesi particolare di concorso al mantenimento si ha in caso di ricovero del superstite in un istituto di cura o di assistenza con retta di degenza a carico di ente o persona diversa dal lavoratore deceduto, il quale tuttavia forniva al medesimo, con carattere di continuità, i mezzi di sussistenza. In tal caso il requisito del carico sussiste purché il superstite non possa procurarsi altri mezzi di sussistenza.